Tre donne, esponenti del complesso musicale punk “Pussy Riot” hanno fatto irruzione nel mese di marzo nella Chiesa del Cristo Salvatore di Mosca, disturbando la funzione religiosa, deridendo le credenze dei fedeli e attaccando pesantemente il presidente russo Vladirmir Putin (video). Le musiciste, Maria Alyokhina,Nadezhda Tolokonnikova ed Ekaterina Samutsevitc, sono state arrestate e, nei giorni scorsi, condannate a due anni di detenzione per atti di teppismo motivato da odio religioso. Le tre provocatrici hanno affermato che il loro obiettivo era voler attirare l’attenzione sulla repressione del dissenso operata da Putin. Subito, in Occidente, tutti i media hanno gridato allo scandalo, alla repressione quasi di tipo “fascista” del regime di Putin. L’obiettivo: truffare i cittadini ignari, disinformati ma con buone intenzioni e far credere loro la solita manfrina manicheista: in Occidente l’unica vera democrazia, altrove (in questo caso in Russia) la dittatura e la repressione.
L’ipocrisia nel nome della “democrazia”
Quando tutti i giornalisti occidentali cantano all’unisono una stessa melodia bisogna stare attenti: sappiamo infatti che i mass-media nonostante “liberi” e “plurali” sono legati in realtà a pochissimi centri del potere economico e politico e che servono a conformare il pensiero delle persone. In questo caso uno dei nemici dell’Occidente è proprio il governo russo di Putin “colpevole” di non voler bombardare la Siria da un lato e “colpevole” di sviluppare un’economia autonoma dalle multinazionali americane dall’altro. Bisogna quindi che i media occidentali lo demonizzino in ogni modo indottrinando l’opinione pubblica. E forse, appunto, anche le “Pussy Riot” possono servire a questo scopo.
Nessuno si rende però conto, sembra, in questo contesto di generale isteria anti-russa, che se le “Pussy Riot” avessero fatto lo stesso in un paese come l’Italia o la Svizzera o la Gran Bretagna avrebbero ricevuto un trattamente molto simile. Lo ricorda sul nostro sito, in questo articolo, il prof. Davide Rossi e gli fa eco anche il giornalista Tony Cartalucci, ripreso dal bollettino di informazione geo-politica “Aurora”, che dichiara: “Se degli skinhead avessero fatto qualcosa di simile in una sinagoga in occidente, sicuramente avrebbero già da tempo pagato multe salate e cominciato un lungo periodo di carcerazione per “insulti in pubblico sulla base dell’origine, appartenenza religiosa, razza o origine etnica”. Volete delle prove? Eccole: sito 1 e anche qui:sito 2 . Stando poi alla testimonianza di Alberto Parise, un attivista anti-clericale italiano: “Le Pussy Riot non sono un gruppo punk. Sono un collettivoartistico. Qui in Occidente continuano a sbagliare definendole un gruppo ma loro non fanno canzoni, tanto meno punk. In qualsiasi paese al mondo sarebbero state messe in galera. Dopo tutta una lunga serie di atti vandalici (tipo ribaltare le auto della polizia), film porno fatti al nono mese di gravidanza dentro ad un museo aperto, farsi scudo con i propri bambini e neonati, ecc.”. Quando si dice lotta per la libertà e la democrazia…
Andrebbe peraltro ricordato a certi giornalisti pagati dai politici occidentali che attaccano Putin come “dittatore”, che proprio il leader del Cremlino ha dimostrato in questa occasione particolare tolleranza: egli aveva infatti chiesto ai giudici una condanna solo simbolica e di molto inferiore a quella effettiva. Per questo suo invito, gli stessi suoi oppositori, che oggi affermano che la condanna è esagerata e ingiusta, lo avevano contestato per interferenza sulla Magistratura!
Che c’è dietro alle “Pussy Riot”?
Il processo contro la “Pussy Riot” è uno “show” – sostiene il “The Guardian”. E’ vero: è una messinscena mediatica per denigrare la Russia troppo poco allineata ai voleri corporativi e finanziari degli USA e dell’Unione Europea (UE). E come sempre, in tutto questo gioco mediatico, ma in realtà profondamente geo-politico, ci sono la miriade di ONG, le cosiddette “Organizzazioni non governative” tanto “non governative” che però indirettamente sono finanziate proprio dal governo di Washington. E le “Pussy Riot” sono parte di questo gioco. I primi a solidarizzare con l’azione di ribellione sono stati l’artista americanaMadonna, l’italiano Elio e le storie tese, e soprattutto l’ex magnate del petrolio ora in carcere, il mafioso russo Mikhail Khodorkovsky, che ha paragonato – secondo la Reuters – il processo ad una “inquisizione medievale”. Ma per quale motivo la potente agenzia di stampa Reuters usa una citazione di un criminale condannato come titolo per difendere una banda punk-rock? Tutto ciò ha senso – afferma perentorio il giornalista d’inchiesta statunitenseMike Whitney, editorialista di “CounterPunch” – “solo se i media sono parte di una più grande strategia per attaccare Putin. E direi (…) che è esattamente quello che sta succedendo. Non si tratta di Pussy Riot e della loro traversia legale, né di femminismo o di libertà di parola. Sono tutte manovre politiche per mettere Putin in cattiva luce” e ancora: “Ai media non piace segnalare le violazioni delle libertà civili in patria. Preferiscono puntare il dito contro gli altri. Ecco perché ci sono 2500 articoli che difendono le povere Pussy Riot abusate ma non c’è una parola (…) sulle migliaia di manifestanti di Occupy che sono stati gasati, presi a pugni e incarcerati durante le proteste dello scorso anno. Le idee di queste persone non appaiono in prima pagina né come campioni dei diritti civili, come Khodorkovsky, perché non sono ricchi e potenti e non hanno un servizio di propaganda per difendersi”.
La difesa delle tre ragazze, particolarmente ben fornita in fatto di mezzi, ha chiamato a deporre 13 testimoni. Fra di essi anche Alexey Navalny, uno dei dirigenti dell’opposizione neo-liberale a Putin. Navalny è noto non solo per aver lavorato per conto degli oligarchi russi che volevano mettere le mani su aziende nazionali come Gazprom, Vtb Bank, Transneft, ecc. ma anche in quanto vicepresidente del partito di destra “Jabloko” e fondatore del movimento “Alternativa Democratica” (DA) che è finanziato dal “National Endowment for Democracy” (NED) come si può leggere qui (leggi).
La NED, fondata dal Partito Democratico e dal Partito Repubblicano degli USA, si occupa di “promuovere la democrazia” attraverso un finanziamento approvato dal Congresso americano nel capitolo sull’Agenzia degli Stati Uniti per lo Sviluppo Internazionale” del budget del Dipartimento di Stato del governo prima di Bush e oggi di Obama. Secondo il giornalista statunitense William Blum tale organizzazione sarebbe stata creata appositamente per “sostituire” la CIA, ipotesi che ha trovato conferma anche da uno dei fondatore della NED, Allen Weinstein. Vale la pena aggiungere, per tornare in Russia, che nel movimento “Alternativa Democratica” che sta garantendo appoggio alle “Pussy Riot” gioca un ruolo di primo piano Marija Gajdar, figlia dell’ex primo ministro Egor Gajdar, l’esecutore delle radicali riforme economiche di stampo neo-liberista che Boris Eltsin preparò per la Russia post-sovietica.
Già questo potrebbe essere sospetto: che la “Pussy Riot” siano ben altro che non un gruppo musicale, quanto piuttosto un progetto politico legato agli USA e ai settori oligarchici dell’economia russa arrabbiati con Putin? Ma non è tutto. La campagna di solidarietà alle tre “innocenti scalmanate” è gestita da Oksana Chelysheva, esponente della Società di Amicizia Russo-Cecena, a sua volta legata al Dipartimento di Stato americano guidato da Hillary Clinton. In realtà l’amicizia fra i popoli c’entra poco: la società della Chelysheva è direttamente legata al traffico di armi per organizzare gli attenti anti-russi dei gruppi islamisti ceceni. Insomma… forse la sinistra occidentale dovrebbe approfondire meglio le cose prima di solidarizzare con queste presunte perseguitate!