La Bielorussia conferma la sua scelta politica

di Luigi Marino*

bielorrusia lukashenkoLe elezioni per il Parlamento bielorusso svoltesi il 23 settembre sono state quasi del tutto ignorate. Non hanno comunque avuto particolare risalto sulla stampa italiana, che si è limitata a registrare l’elezione, ritenuta scontata, di tutti i candidati dei partiti che sostengono il Presidente Lukashenko, dando per certa, come d’abitudine, “la manipolazione e la poca trasparenza del voto”.

Diversi partiti dell’opposizione avevano invitato la popolazione a boicottare la consultazione popolare, ma Fabrizio Dragosei, sul Corriere della Sera del 25 settembre, è costretto a riconoscere che “pure se l’opposizione fosse stata tutta presente e persino se si fosse presentata a ranghi serrati, Lukashenko avrebbe vinto”.

Il sistema elettorale e i partiti in campo

Occorre anzitutto rilevare che in Bielorussia per la Camera dei rappresentanti il sistema adottato è il maggioritario secco, con collegi uninominali. Per il Consiglio della Repubblica (Camera Alta) l’elezione invece è di secondo livello: ogni consiglio regionale e il consiglio comunale di Minsk eleggono i propri rappresentanti (senatori). Il sistema uninominale è quello stesso che pochi anni fa consentì al centro destra di vincere in Sicilia per 61 a zero contro i candidati del centro-sinistra! E, mentre nel nostro Paese si sta ancora discutendo di una improbabile modifica della legge elettorale vigente, il “porcellum”, non si esita da più parti a riproporre quella precedente senza nessun ripensamento su quelli che possono essere gli inevitabili esiti, ove si adottino analoghi meccanismi. In termini di rappresentatività solo il sistema proporzionale può garantire l’eguaglianza politica dei cittadini, a differenza del sistema uninominale maggioritario che favorisce solo i partiti maggiori. Anche in Inghilterra vige il sistema uninominale, ma non vi è la dispersione partitica esistente in Bielorussia, ove l’opposizione, ancorché compatta, non costituirebbe comunque un’alternativa credibile alla politica di Lukashenko.

In Bielorussia sono registrati quindici partiti, alcuni dei quali hanno scarsissimo seguito: Partito Agrario Bielorusso, Partito Comunista Bielorusso, Partito Patriottico, Partito Bielorusso “I Verdi”, Partito Bielorusso della sinistra “Mondo Giusto”, Partito Social-democratico (Gramada), Partito Social-sportivo, Partito Social-democratico del Consenso Popolare, Partito Repubblicano del Lavoro e della Giustizia, Partito Repubblicano, Partito B.N.F. (Fronte Popolare Bielorusso), Partito Civico Unito, Partito Conservatore-cristiano, Partito della Socialdemocrazia bielorussa e infine Partito Liberal-democratico.

Tra i partiti politici registrati, il Partito Patriottico, il Partito Conservatore Cristiano e il Fronte Popolare Bielorusso non hanno espresso loro candidati e hanno invitato gli elettori ad astenersi dal voto.

Monitoraggio internazionale e svolgimento delle elezioni

Queste elezioni parlamentari sono state ancora una volta ampiamente monitorate. La Bielorussia, tempestivamente e senza limitazioni, ha esteso un invito all’ODIHR, all’Assemblea parlamentare dell’OSCE e alla CSI a monitorare le elezioni. La CSI ha inviato osservatori a lungo termine e circa 350 osservatori a breve termine. Dal 16 al 18 luglio una missione dell’OSCE-ODIHR ha operato nella Repubblica per valutare la situazione nella fase preelettorale e per stabilire le modalità del monitoraggio. Successivamente l’OSCE ha inviato una nutrita missione di osservatori per controllare l’osservanza degli standard internazionali nello svolgimento della consultazione. Secondo l’OSCE “l’interesse dei cittadini verso le elezioni è basso per la mancanza di fiducia dell’opinione pubblica nel procedimento elettorale”. Tuttavia, malgrado il boicottaggio organizzato dalle forze di opposizione, l’astensionismo si è attestato sul 25% con la conseguenza di avere favorito i candidati a sostegno della maggioranza.

L’OSCE ha anche criticato il sistema del voto anticipato, come avviene per i residenti all’estero e per le persone impossibilitate a partecipare nell’unico giorno fissato per la consultazione, perché non offrirebbe le dovute garanzie di trasparenza. Ma la consistenza del voto anticipato non è stata superiore ad un terzo dei votanti e comunque in nessun caso avrebbe potuto alterare il risultato finale. Infine l’OSCE ha criticato la poca trasparenza nella formazione delle commissioni elettorali. Ancora una volta non sembra che vi sia stata una collaborazione costruttiva da parte dell’OSCE, che insiste, sia pure in modo meno ostile che in precedenza, nel sostenere la non rispondenza agli standard delle elezioni svoltesi in Bielorussia.

Rispetto al 2008 nelle 110 commissioni elettorali è entrato il doppio dei rappresentanti dei partiti politici e delle associazioni di massa.

La giornata elettorale si è svolta in un’atmosfera di assoluta serenità sia a Minsk che a Vitebsk, ove mi sono recato come osservatore.

In tutti i seggi erano esposti i profili biografici dei candidati – da 4 a 7 nelle varie circoscrizioni – con le loro foto. Ai lati del tavolo della commissione elettorale i banchi degli osservatori interni. Quelli internazionali, esibite le credenziali, venivano di volta in volta registrati in apposito albo. In quasi tutti i seggi le urne erano in plexiglas in sostituzione di quelle vecchie di legno. Sui ricorsi presentati la Commissione Centrale per le elezioni ha ammesso come candidati due noti dissidenti, membri dell’opposizione. Uno solo è stato escluso per scorrettezza nella dichiarazione dei redditi (non aveva dichiarato un terreno, di cui aveva diritto di usufrutto) e per irregolarità nella raccolta delle firme. Gli eletti sono stati 109 su 110, perché in un distretto non è stato superato il 50% e quindi si andrà al ballottaggio. Un seggio per ciascuno hanno conquistato il Partito Agrario, il Partito del Lavoro e della Giustizia ed il Partito Liberal-democratico. Tre seggi sono andati al Partito Comunista Bielorusso. Nessun seggio per il Partito Social-democratico (Gramada), per “Mondo Giusto” e per altri piccoli partiti dell’opposizione.

La politica economico-sociale di Lukashenko

Da parte dei mass-media occidentali non c’è nessuno sforzo di comprendere perché sia diffuso nella maggioranza della popolazione il timore di un cambiamento della situazione. E tutto questo malgrado la recente svalutazione del rublo bielorusso abbia inciso notevolmente sul potere d’acquisto di salari e pensioni.

Il Partito Comunista, fondato nel 1996, ha sostenuto e sostiene Lukashenko, in quanto ritiene che i punti fondamentali del suo programma coincidano con le linee e gli orientamenti della politica attuata in Bielorussia, volta a preservare molte delle conquiste sociali dell’epoca sovietica.

In Bielorussia non si è consentito di procedere a privatizzazione selvaggia dei settori fondamentali dell’economia, respingendo così le condizioni/imposizioni del F.M.I e della stessa Banca Mondiale, la quale non ha esitato a sospendere i prestiti alla Bielorussia per le mancate “riforme” in senso liberista. Queste organizzazioni internazionali hanno più volte criticato la politica di Lukashenko contraria alle dismissioni, la “scarsa apertura del paese agli investimenti esteri e al commercio internazionale”!

Tra l’altro, con Decreto Presidenziale del febbraio 2004, è stata estesa la clausola della “golden share” alle imprese private di ex proprietà statale in caso di contesto economico-finanziario non favorevole. In sostanza, a differenza degli altri paesi dell’ex URSS e della stessa Federazione Russa, l’80% delle industrie e dei servizi resta pubblico, mentre solo il 20% privato.

Si è mantenuta quindi la proprietà statale delle più importanti imprese, delle risorse naturali, delle terre coltivabili e del sottosuolo, il che non ha impedito uno sviluppo consistente di piccole e medie imprese. In Bielorussia vige il salario minimo; le pensioni e le borse di studio sono le più alte tra i paesi della CSI. Consistenti gli investimenti nell’istruzione, nella scienza, nella cultura. L’alfabetizzazione è del 99%. La nuovissima biblioteca di Minsk è un capolavoro di architettura e di funzionalità. Al Teatro dell’Opera e del Balletto in settembre è andata in scena una splendida edizione del Nabucco di Verdi con una scenografia non priva di brillanti innovazioni.

L’assistenza medica è gratuita e il welfare è particolarmente attento ai problemi dei disabili e delle famiglie numerose. Il tasso di mortalità infantile è il più basso tra i paesi della CSI.

Il Partito Comunista, nell’avallare in gran parte la politica del Presidente, opta in sostanza per un sistema di economia mista, in cui si riconoscano e si sviluppino le varie forme di proprietà in economia, compreso il sistema cooperativo, conformemente agli stessi principi contenuti nella Costituzione bielorussa, privilegiando comunque il sistema pubblico, che è condizione imprescindibile per la costruzione di una società di giustizia sociale. Il P.C. ha operato in tutti questi anni per unificare le forze che si richiamano al socialismo, mentre “Mondo Giusto”, che è all’opposizione, nel respingere la proposta, ha assunto posizioni sempre più filo-occidentali e filo-NATO, stipulando patti con i partiti borghesi e nazionalisti, anche con leader come Suskevic, il quale agì per la dissoluzione dell’URSS.

Perché l’Occidente attacca Lukashenko e perché il popolo lo sostiene

E qui va ricordato che Lukashenko, invece, eletto deputato del Soviet bielorusso nel 1980, fu l’unico a votare contro l’accordo che scioglieva l’Unione Sovietica e dava luogo nel dicembre 1991 alla Comunità degli Stati Indipendenti.

Con il 77% dei voti i cittadini sovietici nel marzo di quell’anno si erano espressi nel referendum a favore della conservazione dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche. Ma l’8 ottobre nella foresta di Beloves in Bielorussia, a pochi chilometri dal confine polacco, il Presidente della Repubblica Russa El’cin, quello dell’Ukraina Kravcjuk e lo speaker del Parlamento bielorusso Suskevic, che rappresentavano solo tre repubbliche su quindici, non esitarono a dichiarare la fine dell’URSS. L’accordo di Beloves era del tutto illegittimo, non solo perché contratto solo da una minoranza, ma soprattutto perché contrastante con quella che era stata l’espressione di voto largamente maggioritaria delle popolazioni delle diverse repubbliche sovietiche. Si disse allora che i tre sottoscrittori dell’accordo erano pronti a rifugiarsi nella vicina Polonia, ove fossero stati accusati di alto tradimento. È pur vero che con il successivo accordo di Alma Ata, che seguì dopo alcune settimane, i rappresentanti delle altre repubbliche decisero di accettare il fatto compiuto. Nel Parlamento bielorusso quindi contro la “ratifica” fu solo Lukashenko.

Certamente un Lukashenko, che – pur avendo aderito alla Partnership for peace – si oppone all’allargamento della NATO, respinge i diktat del FMI e quindi impone il controllo pubblico di settori vitali dell’economia, che mantiene un saldo rapporto con la Russia a differenza di altre repubbliche ex sovietiche, non può godere di buona reputazione presso i governi occidentali. Di qui la campagna diffamatoria, orchestrata soprattutto da fonti statunitensi, sì da definire Lukashenko l’“ultimo dittatore” in Europa, specialmente dopo l’estensione del mandato presidenziale da quattro a sette anni (referendum del novembre 1996 con il 70% dei voti favorevoli) e dopo la vittoria al primo turno del 2001 e poi al referendum dell’ottobre del 2004, che cancellò il limite dei due mandati con l’80% a favore.

Nelle successive elezioni presidenziali del 2006, dall’OSCE ritenute “non conformi agli standard internazionali”, Lukashenko vince con quasi l’83% dei voti, mentre il suo principale oppositore tra i vari concorrenti, ancorché sostenuto dai vari governi occidentali, ottenne appena il 6% dei voti a favore.

Ed ancora nelle presidenziali del 2010 Lukashenko vince con il 79% dei consensi.

Ma questi risultati non sono che lo specchio della volontà della stragrande maggioranza dei bielorussi, che chiedono anzitutto stabilità, cioè conservazione del welfare sovietico e delle strutture economico-sociali che assicurino la garanzia dei salari, le prestazioni in materia pensionistica e sanitaria, l’istruzione pubblica gratuita, uno sviluppo controllato dallo Stato e non sottoposto quindi ai rischi connessi ai processi incontrollati delle privatizzazioni.

Economia di mercato socialmente orientata

Infatti il successo di Lukashenko nel luglio del 1994, quando diventò Presidente con l’80% dei voti al secondo turno, fu dovuto anzitutto alla sua ferma opposizione alle “riforme di mercato”, contro la politica delle privatizzazioni ad oltranza e la corruzione strettamente connessa a queste. È dalla politica el’ciniana delle privatizzazioni che avvenne nelle altre repubbliche ex sovietiche la nascita degli “oligarchi”, i quali si sono impadroniti, in quella che la stessa Thatcher definì “la più grossa ruberia del secolo”, delle materie prime, delle banche, delle assicurazioni, delle fabbriche e dei settori vitali dell’economia.

Lukashenko, divenuto Presidente, cancellò queste “riforme” liberiste del precedente governo e, dopo il disastro intervenuto con il crollo dell’Unione Sovietica, con appropriate misure, come ad esempio quella della reintroduzione del controllo dei prezzi da parte dello Stato e del raddoppio del salario minimo ai fini dell’allargamento della domanda interna, avviò il paese verso la stabilizzazione, anche attraverso l’unione economica con la Russia, da cui la Bielorussia dipende per l’approvvigionamento delle risorse energetiche, di gas e di elettricità. Tuttora nel commercio con l’estero il paese rimane fortemente dipendente dall’interscambio con l’area dell’ex URSS.

La crisi economico-finanziaria globale non poteva non avere ripercussioni anche sulla Bielorussia, considerato che la quota dell’export è pari al 60% del PIL. Con il rallentamento dell’economia mondiale si sono verificati squilibri strutturali anche nel settore monetario. Di qui la svalutazione della moneta nazionale, che se da un lato ha comportato sacrifici per la popolazione, dall’altro ha accresciuto l’export nel 2011. Attualmente si cerca un nuovo punto di equilibrio per una crescita socio-economica sostenibile.

In definitiva la Bielorussia con Lukashenko ha adottato un “modello di economia di mercato socialmente orientato”, come è detto nei documenti ufficiali. Malgrado la difficile congiuntura economica, ha tuttavia continuato a condurre una politica sociale attiva, concentrando gli sforzi e le risorse verso le fasce più vulnerabili della popolazione, come le famiglie con bambini piccoli, gli anziani, i disabili, i residenti nelle zone colpite dal disastro di Chernobyl.

In politica estera la Bielorussia persegue una politica di pace multidirezionale. La Russia è ovviamente il partner strategico naturale, stante la complementarietà delle economie e gli stretti legami di cooperazione. Con la Russia e il Kazakhstan è stata creata nel 2011 un’unione doganale, ma l’obiettivo è quello di costituire uno spazio economico unico: l’Unione Economica Euroasiatica come parte sostanziale di una integrazione paneuropea. Il governo bielorusso auspica che questa iniziativa trovi rispondenza presso l’Unione Europea e che nel prossimo futuro si riesca a costituire uno spazio economico comune da Lisbona a Vladivostok.

L’U.E. resta comunque un rilevante partner commerciale, un importante investitore. In una recente intervista il Ministro degli Esteri bielorusso ha sottolineato: “La Bielorussia per l’Europa è sempre stata e sarà un partner affidabile. Noi garantiamo il transito ininterrotto di merci e di energia. La Bielorussia è anche partner essenziale per gli U.S.A. nella lotta al terrorismo, al traffico di droga, al riciclaggio di denaro sporco ed alla tratta di esseri umani”.

Ma la politica estera è portata avanti su larga scala stabilendo relazioni con la Cina, partner anch’esso strategico, e con altri paesi di Asia, America Latina, Africa, Medio Oriente, con i quali di fatto non vi sono divergenze politiche.

Quello che viene sottolineato più spesso è che né la U.E. né altri dall’esterno hanno alcun diritto di stabilire i tempi o l’ordine in cui devono avvenire le riforme in Bielorussia: il che significa volontà di collaborazione con qualsiasi organizzazione internazionale, ma sulla base di precise condizioni, quali il rispetto del principio di uguaglianza e di non interferenza negli affari interni e il riconoscimento del diritto ad un percorso autonomo di sviluppo.

* Luigi Marino fa parte del Consiglio direttivo dell’Associazione Marx XXI