di Luis Carapinha
“Avante!”, Settimanale del Partito Comunista Portoghese (PCP)
da http://www.avante.pt
Traduzione di Mauro Gemma per Marx21.it
Gli eventi in Bielorussia, a seguito delle elezioni presidenziali del 9 agosto, smascherano inequivocabilmente la potente campagna di ingerenza volta a minare e distruggere l’indipendenza, la sovranità e persino l’integrità territoriale del Paese, facendo precipitare lo scenario golpista per il cambio di regime. molto coltivato da USA, UE e NATO.
Così, una risoluzione del Parlamento europeo (PE) adottata il 17 settembre afferma di non riconoscere il nuovo mandato di Lukashenko, vincitore delle elezioni con l’80% dei voti, il cui insediamento è avvenuto il 23 settembre. La risoluzione del Parlamento europeo è stata preceduta dalla dichiarazione del rappresentante per la politica estera dell’UE, Borrel, di non accettazione dei risultati del voto e di non riconoscimento della legittimità del presidente rieletto. Anche gli Stati Uniti e la Gran Bretagna hanno dichiarato di non riconoscere la legittimità di Lukashenko. Berlino ha chiesto l’avvio di negoziati con l’ “opposizione” e lo svolgimento di nuove elezioni presidenziali.
Alla fine di settembre, Macron è andato a Vilnius per incontrare l’ex candidato Tikhanovskaia e ha avvertito che Lukachenko dovrebbe andarsene. Il governo lituano è intervenuto prima che che l’UE imponesse sanzioni alla Bielorussia e ha ufficialmente riconosciuto Tikhanovskaia come presidente eletto. Allo stesso modo, il Primo Ministro della Polonia, Morawiecki, ha ricevuto a Varsavia con gli onori di Stato Tikhanovskaia, alla quale ha messo a disposizione una sede per la sua attività sovversiva. Il delirio ha raggiunto un punto tale che il governo polacco ha proposto un piano Marshall per la Bielorussia. Questi due paesi della NATO sono la base operativa del complotto golpista, il cui violento schema blitzkrieg è stato sventato la notte del 9 agosto per le strade di Minsk. Gli Stati Uniti, evitando di intervenire in primo piano nella cospirazione, giocano in ogni caso un ruolo cruciale nell’intero processo.
È Washington che sovrintende all’agenda della leader fantoccio Tikhanovskaia e che promuove il cosiddetto Consiglio di coordinamento per il “trasferimento di potere” con l’Ue. Ci sono informazioni che dal 2019 gli Stati Uniti hanno incanalato circa 20 milioni di dollari a varie Ong per organizzare manifestazioni antigovernative e promuovere “leader popolari” al ruolo di futuri leader della “Bielorussia democratica”. Secondo la Russia, a tal fine, istruttori della CIA e del Pentagono addestrano nazionalisti radicali nel territorio di Polonia, Georgia, Ucraina e paesi baltici. Si promettono nuovi finanziamenti per paralizzare le società statali bielorusse.
Un copione ben noto
La subordinazione diretta della Polonia e dei paesi baltici agli Stati Uniti e il rafforzamento della presenza militare del Pentagono nei loro territori provoca pruriti a Berlino e Parigi, ma quando si tratta di “democratizzare” la Bielorussia, la guerra intestina e i disaccordi con Trump e Pompeo scompaiono.
È chiaro che la campagna anti-bielorussa per istigare dissensi interni e montare un potere parallelo imita la vergognosa farsa di Guaidó per attaccare il regime costituzionale del Venezuela e asfissiare il paese. L’offensiva guidata dagli Stati Uniti, ispirata ai manuali di “guerra ibrida”, mobilita risorse a livello politico, diplomatico, mediatico, economico, culturale e militare per incoraggiare disordini interni e stress economico e sociale nell’ex repubblica sovietica. La sconfitta del primo assalto ha costretto ad alterare il copione con la progettazione di marce pacifiche, di azioni spontanee di disobbedienza e di preparazione a tensioni prolungate e alla destabilizzazione, lasciando sempre aperta la possibilità di portare a compimento il colpo di Stato. Gli obiettivi restano immutati e mirano non solo a invalidare i risultati elettorali ottenuti, ma a rovesciare lo stesso ordine costituzionale e a far cedere il potere ai burattini dell’imperialismo.
Il tentativo mascherato di colpo di Stato trae particolare ispirazione dalle vicende del Maidan in Ucraina, che ha avuto conseguenze così deplorevoli e tragiche per i destini del Paese vicino. Se c’erano dubbi sulla natura del processo che ha portato alla conclusione del colpo di Stato del febbraio 2014, la sua natura marcatamente anti-popolare è stata confermata dalla fascistizzazione del potere della giunta golpista di Kiev e dallo scoppio della guerra nel Donbass. Ciò è stato seguito dall’applicazione di successive misure di austerità imposte dal FMI, dall’approfondimento del corso di privatizzazione e dal venir meno della sovranità nazionale.
Interferenza e manipolazione
In Bielorussia, a prescindere dai problemi e dai motivi di insoddisfazione presenti, esiste anche una base sociale interna composta da settori della borghesia nazionale particolarmente permeabili alla strumentalizzazione esterna dei protagonisti dell’attuale campagna antinazionale. Il nocciolo duro di questi settori cerca più spazio economico e influenza sociale e la pienezza del potere politico. Nella lotta in corso, i settori più oscuri della società, comprese le forze ultranazionaliste e neofasciste, vengono arruolati e posti al servizio del programma golpista.
Se una simile operazione avesse successo, per quanto ipocritamente pretenda di essere democratica e pacifica e intenda camuffarsi sotto la copertura delle aspirazioni e dei sentimenti di protesta diffusi tra giovani e donne che manifestano, soprattutto nelle strade di Minsk, significherebbe la perdita di indipendenza e sovranità nazionale e una vera sconfitta della democrazia, dei diritti fondamentali e del tenore di vita della stragrande maggioranza dei lavoratori. La mega-operazione di manipolazione, dall’evidente contenuto reazionario e antipopolare, che aspira a inserirla nel novero delle rivoluzioni colorate, non ha nulla di rivoluzionario nella sua essenza.
Tuttavia, la sua agenda è ambiziosa. Il trionfo dell’interferenza dell’imperialismo in Bielorussia comporterebbe la cessione al grande capitale dei settori strategici dell’economia, gettando il paese nell’onda di privatizzazioni che era già in corso negli anni ’90, dopo la fine dell’URSS. Il risultato sarebbe, come si è visto dalla vicina esperienza dell’Ucraina e dei paesi baltici, la distruzione dell’agricoltura e dell’industria bielorusse moderne e l’inesorabile apertura e deregolamentazione del mercato interno. A livello geopolitico, l’imperialismo intende svuotare gli importanti legami di cooperazione economica e il quadro esistente di strette relazioni con la Federazione Russa, accanto alle principali dinamiche di cooperazione nello spazio post-sovietico. E lo sviluppo delle relazioni sovrane e reciprocamente vantaggiose della Bielorussia con la Cina e altri paesi nel mondo.
Il riconoscimento di questo fatto non esclude il calcolo politico e le manovre del capitalismo russo in relazione a quanto accade a Minsk.
Sovranità e progresso
Come si evince dalla crescente azione provocatoria della NATO lungo i confini di Bielorussia e Russia, i circoli dominanti di Washington e delle principali capitali della vecchia Europa non rinunciano alla via dell’espansionismo e delle pressioni contro Cina e Russia, nonostante il clima di conflitto tra le due sponde dell’Atlantico e l’inasprimento delle contraddizioni e delle rivalità derivanti dalla profonda crisi strutturale capitalista. In questo senso, la Bielorussia costituisce una piattaforma per eccellenza per fare pressione sulla Russia e la via più veloce che porta a Mosca.
È anche in questo contesto che si inserisce la campagna di revanscismo e di revisione della storia intorno alla Seconda Guerra Nondiale – vedi l’uso da parte dell’opposizione dei simboli legati alla dominazione lituana in tempi lontani della storia e, soprattutto, all’occupazione nazista del 1941- 44 -, al servizio degli obiettivi guerrafondai della strategia imperialista che oggi cerca di trasformare la Bielorussia in una testa di ponte di nuove provocazioni e avventure nel confronto con la Federazione Russa, analogamente a quanto accaduto in Ucraina. L’avvertimento di Lukashenko, in un’intervista alla stampa russa, ha quindi senso quando afferma “se il Paese cade, la Russia cade” [1].
La campagna dell’imperialismo contro Lukashenko e il modello di sviluppo sovrano bielorusso non è nuova, risale praticamente al suo arrivo al potere nel 1994. Da allora, il Paese ha seguito un percorso unico nello spazio dell’ex URSS, in controtendenza rispetto alle riforme della “terapia d’urto” applicata da Eltsin in Russia. Ecco perché Lukashenko è stato definito dall’imperialismo “l’ultimo dittatore d’Europa” e la Bielorussia è stata calunniata e soggetta a sanzioni.
Non importano le terribili conseguenze della restaurazione capitalista nell’ex URSS e nell’Europa orientale, descritte in un rapporto delle Nazioni Unite del 1999 in cui si afferma che “è difficile immaginare che qualcosa di simile possa mai essere accaduto in tempo di pace”. In Russia, in particolare, “diversi milioni di persone non sono sopravvissute agli anni ’90, cosa che sarebbe accaduta se l’aspettativa di vita del 1990 fosse stata mantenuta”. La conclusione generale è che la “transizione” [al capitalismo] ha avuto “conseguenze devastanti per lo sviluppo umano” [2].
Invece, la Bielorussia ha respinto le disastrose ricette del FMI, ottenendo risultati notevoli. Triplicando il PIL tra il 1995 e il 2005, è stato il primo paese nello spazio post-sovietico a ripristinare il livello economico del 1990 [3]. Ciò è stato ottenuto prevenendo la privatizzazione e la distruzione dei principali settori dell’economia, dalle cooperative e dalle aziende agricole alle grandi aziende industriali. È stata mantenuta la proprietà pubblica nei settori produttivi strategici e ripresa la preparazione dei piani quinquennali approvati dall’Assemblea nazionale del popolo che si tiene ogni cinque anni. I livelli di povertà e disoccupazione sono bassi e l’istruzione e la sanità sono gratuite. Un articolo di Bloomberg, non sospetta di simpatie per il modello bielorusso, non nasconde che il rifiuto delle privatizzazioni negli anni ’90 ha impedito l’emergere dell’oligarchia e sottolinea che il livello di disuguaglianza sociale in Bielorussia è inferiore a quello di qualsiasi paese dell’UE [4].
Costruire il futuro
Lukashenko ha già ammesso di essere stato al potere troppo a lungo. Sostiene l’accelerazione del processo di riforma costituzionale e l’elevamento del ruolo dei partiti. Fa notare l’errore di essersi fatto troppo appoggiare dall’apparato amministrativo e non dagli operai.
Allo stato attuale, le sfide sono quindi enormi per comunisti e patrioti bielorussi. L’affermazione e il rafforzamento della coscienza e dell’organizzazione della classe operaia e dei lavoratori, come elemento determinante della necessaria mobilitazione e partecipazione popolare, è un fattore cruciale per la difesa della sovranità e il perseguimento del percorso di sviluppo nella nuova fase che si sta aprendo. La costruzione del futuro in Bielorussia implica lo smascheramento e la sconfitta dell’interferenza imperialista e dei suoi scopi golpisti.
Note:
1) 09.09.2020, https://russian.rt.com/ussr/article/781543-lukashenko-intervyu-polnyi-tekst
2) UNDP, Transition 1999: human development report for Europe and the CIS
3) Roy Medvedev, Aleksandr Lukachenko, Kontury novoi modeli, 2010
4) 27.11.2019, https://www.bloomberg.com/news/articles/2019-11-27/belarus-s-soviet-economy-has-worked-better-than-you-think