di Spartaco A. Puttini per Marx21.it
Negli ultimi anni è aumentata la tensione tra Usa e Russia e parallelamente si è sviluppata un’intensa campagna mediatica volta a dipingere un pericolo russo e, più in particolare, un “pericolo Putin”. Con varie sfumature i media occidentali di quasi ogni colore politico si sono fatti docile veicolo di input russofobi, la cui ricaduta principale, ne siano o meno coscienti, è quella di fare il coro ai tamburi di guerra che minacciano l’umanità. In realtà, per comprendere la politica estera di Mosca all’inizio del nuovo secolo occorre anzitutto tenere presente il contesto nel quale questa si inserisce.
Quale sfida abbiamo di fronte?
Con la fine della Guerra Fredda e la dissoluzione del blocco sovietico gli Stati Uniti sono rimasti l’unica vera superpotenza. Il mondo, privo di contrappesi, pareva ai loro piedi. In quel contesto, sotto l’Amministrazione di Bush senior, Washington formulò l’ambizioso progetto di costruire un “Nuovo Ordine Mondiale” unipolare. Da allora gli Usa hanno perseguito con lucida determinazione l’obiettivo di imporre al resto del mondo la loro indiscutibile egemonia. Le scelte strategiche compiute dagli Stati Uniti nel corso degli ultimi 20 anni, qualsiasi siano state le motivazioni ufficiali addotte, sono state dettate dal tentativo di garantire a Washington un dominio a pieno spettro sulle altre civiltà del pianeta.
E’ per questa ragione che gli Stati Uniti non hanno rispettato la promessa di non estendere la Nato ad Est, ma si sono spinti in profondità verso il territorio della Russia fagocitando nella loro orbita persino alcuni stati ex-sovietici. Per puntellare la propria superiorità militare la Casa Bianca ha unilateralmente rigettato il trattato ABM, una pietra miliare della distensione con Mosca, al fine di tenersi le mani libere per la costruzione dello scudo antimissile, strumento grazie al quale conta di cancellare l’equilibrio basato sulla deterrenza nucleare. Nei progetti statunitensi un posto di rilievo è riservato all’obiettivo di ottenere il diretto controllo delle principali riserve di idrocarburi, onde esercitare un esplicito potere ricattatorio nei confronti degli altri paesi minacciandone la crescita. Gli Usa continuato a guidare la corsa agli armamenti, spendendo da soli quanto il resto del mondo messo assieme e nel recente passato hanno rappresentato la principale fonte di instabilità internazionale a causa delle numerose guerre d’aggressione che hanno promosso.
Con le sue risorse (naturali, materiali, umane) e in virtù della sua stessa collocazione geografica la Russia rappresenta l’argine naturale all’egemonia anglo-americana sul continente eurasiatico e per questo resta oggetto di aspra e tradizionale ostilità da parte delle due talassocrazie atlantiche.
La crescita economica delle realtà emergenti e principalmente l’ascesa della Cina e la ripresa della Russia, in correlazione con la profonda crisi degli Stati Uniti, hanno cambiato profondamente la scena globale. La tendenza naturale all’emersione di un ordine multipolare ha messo in crisi il disegno unipolare statunitense. Gli Usa si sono trovati all’inizio del secolo impegnati in una corsa contro il tempo per chiudere la partita con i loro antagonisti e per questo sembrano sempre più inclini a ricorrere alla loro superiorità militare. Il braccio di ferro è ancora in corso. Il suo esito non è scontato. Il pericolo costituito dall’egemonia statunitense è reale e costituisce il non circoscrivibile contesto nel quale collocare le scelte operate dal Cremlino nell’era Putin.
Dietro la propaganda
La Russia è un argine, elemento di resistenza e contrappeso, sponda per quanti non vogliono chinare la testa a Washington e proprio per questo è oggetto di una campagna di demonizzazione che nasconde opportunamente il fatto che la politica estera russa sia stata finora reattiva e difensiva rispetto alla politica di aggressione e accerchiamento scatenata dagli Usa e dall’Occidente al loro seguito, tramite il guinzaglio della Nato.
Non è Mosca che ha fomentato un golpe in Canada per assorbire il paese nel suo sistema di alleanze, ma sono gli Usa che hanno fomentato un golpe a Kiev per fagocitare anche l’Ucraina nella Nato, che puntano i missili in Europa orientale, che spostano la loro flotta nel Mar Nero, che tengono maestose esercitazioni nel Baltico.
In questo contesto, per ribaltare la frittata, sono state alimentate ad arte le isterie scioviniste e filo-fasciste della Polonia e dei paesi baltici, avamposti della nuova guerra fredda. Così mentre gli Usa installano dispositivi per il lancio dei missili e rafforzano i loro contingenti in Europa orientale, cercando di espandere ancora più ad est la Nato, presentano una incredibile e prossima invasione russa ai danni dei suoi vicini e sparlano di una presunta aggressione russa all’Ucraina e di un’invasione della Crimea. Laddove la Crimea ha deciso con un proprio referendum l’adesione alla Federazione russa mentre in Ucraina è in corso la guerra di un regime golpista contro parte rilevante della sua popolazione, certo appoggiata, anche se in modo molto limitato, da parte di Mosca. Il pericolo di un’invasione dei paesi baltici da parte della Russia è poi la riproposizione 2.0 delle idiozie che decenni fa dipingevano i cosacchi a San Pietro. Un pericolo inesistente ma all’epoca strumentalizzato per giustificare il radicarsi della presenza politica e militare statunitense in Europa e l’inizio della sovranità limitata per i paesi europei conquistati nell’orbita di influenza americana. Oggi, con alcuni distinguo minori, la propaganda di Washongton proietta un remake dello stesso film.
Intossicare i cuori e le menti
Sir Richard Shirreff, un generale britannico a quattro stelle, sino a due anni fa il militare europeo più in alto in grado nella Nato, secondo al solo comandante supremo, ha pubblicato recentemente un romanzo il cui titolo è War with Russia. E’ la storia di una catastrofica guerra resa possibile dall’incapacità della Nato e dell’Occidente di resistere a un’aggressione della Russia con l’invasione prima dell’Ucraina, poi dei Paesi baltici [1]. Cioè una storia che ricalca fedelmente la propaganda attualmente in voga. Con gli aggressori che si difendono e gli aggrediti che sono minacciosi.
L’utilizzo di romanzi e di generi di largo consumo culturale rappresenta il vettore migliore per radicare determinate convinzioni nell’opinione pubblica, per orientarla e prepararla alla guerra. Significativo in proposito anche il titolo scelto dal rifugiato Kasparov per il suo scritto politico antiputiniano e antirusso: L’inverno sta arrivando. Di per se il titolo veicola l’idea di un’invasione o di un pericolo imminente. Ma il titolo è anche una citazione, tratta da una serie tv di grande successo ambientata in un mondo fantasy nel quale i belligeranti regni degli uomini sono tenuti adeguatamente al riparo dal pericolo rappresentato dai barbari (bruti) e da creature demoniache disumane (gli estranei) da una grande barriera. Nella serie, “l’inverno sta arrivando” indica proprio la marcia delle armate della morte degli estranei sul mondo degli uomini. Sulla copertina dell’edizione italiana del libro di Kasparov si può ammirare una parata sulla Piazza Rossa in occasione del Giorno della Vittoria. Queste assonanze possono far sorridere solo chi sottovaluti il ruolo preponderante dei pop media nella costruzione degli immaginari collettivi. Le serie tv di oggi sono i feuilleton del secolo scorso.
Russofobia e putinfobia [2]
Un accanimento particolare viene riservato alla denigrazione del presidente Vladimir Putin, perché?
Al momento del suo arrivo al vertice del potere Vladimir Putin si è trovato alle prese con una difficile eredità. La politica gorbacioviana della perestrojka (o della katastrojka [3], come sarebbe più giusto definirla sulla scorta di Aleksandr Zinov’ev visto gli esiti che ebbe) lungi dal rianimare il colosso sovietico gli inflisse un colpo mortale. Nel volgere di pochi anni Mosca intraprese un disarmò unilaterale che la portò al ritiro dall’Afghanistan prima, dall’Europa centro-orientale poi. Mentre lo Stato si avviava al dissesto e l’economia veniva disorganizzata era la stessa periferia dell’unione a prendere fuoco a causa di movimenti separatisti prontamente sovvenzionati. In breve arrivò il crollo vero e proprio e la Russia si ritrovò rattrappita dal punto di vista geopolitico e moralmente e materialmente prostrata dal grande sacco compiuto dagli oligarchi liberali filo-occidentali all’ombra della presidenza Eltsin. Ad ovest il paese era ritornato ai confini del XVII secolo, a sud aveva perso il Caucaso meridionale e la preziosissima Asia centrale, dove di lì a poco sarebbe iniziato un nuovo e vitale “Grande gioco”. Ma il processo di disintegrazione non accennava a fermarsi ed aveva contagiato la stessa Federazione russa: la Cecenia aveva ingaggiato una furibonda guerra di secessione che minacciava di allargarsi a macchia d’olio a tutto il Caucaso settentrionale e in prospettiva metteva in discussione la stessa sopravvivenza dello Stato russo. Il potere centrale era stato minato da ogni lato dalla politica di Eltsin e del suo clan, mirante a concedere ampie autonomie alle regioni della Federazione. Il patrimonio pubblico, collante dell’autorità dello Stato e strumento del suo concreto operare per orientare la nazione, era stato svenduto. Stando alle cifre fornite da Arkady Volsky, presidente dell’Unione russa degli industriali e imprenditori, negli anni ’90 dalle privatizzazioni di 145000 imprese lo Stato incassò solo 9,7 miliardi di dollari, pari alle spese effettuate dai turisti russi all’estero nel solo 2003. Nel 2000 persino il “Financial Times” aveva dovuto ammettere che la Russia stava vivendo del suo passato sovietico. Lo stesso Putin riconobbe nel suo programma del ’99, “La Russia al tornante del millennio”, che il 70% delle attrezzature aveva più di 10 anni di vita, un livello doppio rispetto a quello dei principali paesi sviluppati. Secondo le fonti del Ministero della Difesa, nel 1999 gli stanziamenti per le Forze Armate ammontavano a un decimo di quanto erogato nel 1991 mentre la quota investita nella ricerca e nello sviluppo per il settore militare era scesa nello stesso periodo dal 12,8% allo 0,5%. L’intero complesso militar-industriale era stato completamente disorganizzato dalle riforme della katastrojka e «dopo il crollo dell’Urss furono i clienti stranieri a decidere della maggiore o minore prosperità di un’attività o di un’altra» [4]. Il direttore di “Russia in Global Affairs”, Fedor Lukjanov, ha ricordato come «La conversione operata durante la perestrojka è consistita nel fabbricare pentole in fabbriche predisposte per la costruzione di aerei supersonici. Durante le riforme di Gajdar, negli anni ’90, non sapendo che fare del complesso militar-industriale, lo si è isolato dal resto dell’economia, lasciandolo in balia delle esportazioni» [5]. Il repentino e drammatico peggioramento delle condizioni di vita della popolazione a seguito dell’adozione delle misure neoliberiste provocò il crollo delle aspettative di vita, l’aumento della mortalità infantile e una pesante crisi demografica da cui il paese non si è ancora riavuto. Di fronte a un simile scenario lo stesso Henry Kissinger ebbe a dire: «Francamente ancor oggi non capisco perché Gorbaciov ha fatto tutto questo» [6].
E’ con questo bilancio che Putin ha dovuto fare i conti. Nelle sue “Memorie di oltrecortina” il leader russo espresse sin da subito la sua visione della catastrofe geopolitica che si era abbattuta sul paese. Le esternazioni ivi contenute sono piuttosto significative, perché mostrano che il leader del Cremlino aveva già dai primi anni della sua presidenza ben chiari nella mente alcuni punti fermi, nonostante la mancanza di un orientamento ideologico definito.
«[…] avrei voluto che al suo [dell’Unione Sovietica] posto si costruisse qualcosa di diverso. Nessuno invece propose qualcosa di nuovo, ecco quello che mi feriva. Lasciarono semplicemente perdere tutto […] Molti problemi non si sarebbero posti se l’Unione Sovietica non avesse abbandonato così rapidamente l’Europa orientale» [7].
«La Russia non diventerà la seconda edizione degli Stati Uniti o della Gran Bretagna, dove i valori liberali hanno delle profonde tradizioni storiche. Il nostro Stato e le sue istituzioni e strutture hanno sempre giocato un ruolo eccezionalmente importante nella vita del paese e delle persone. Per i russi uno Stato forte non è un anomalia da cui liberarsi. Al contrario è una fonte di ordine e la principale forza che orienta qualsiasi cambiamento» [8].
Per prima cosa Putin si impegnò per risolvere il conflitto in Cecenia, onde evitare che il separatismo e il terrorismo potessero contagiare altre regioni dello sterminato paese. Secondariamente cercò di ristabilire l’autorità dello Stato sulle altre forze centrifughe rappresentate dalle autorità locali e dalle oligarchie liberali filo-occidentali, vere e proprie quinte colonne insediate nei gangli vitali dello Stato. Con la paziente ricostruzione della verticale del potere e l’emarginazione degli oligarchi più pericolosi legati al clan Eltsin (come Berezovskij e Khodorkovsky) Putin si è trovato con un margine di manovra più ampio per impostare una politica che potesse consentire alla Russia di risalire la china e di accumulare le forze necessarie a ricostruire la sua Potenza e difendersi così dalla sfida americana.
La politica di Putin è reattiva e difensiva. Perché elaborata in un contesto concreto: quello del tentativo di egemonia statunitense. Difendendo la Russia difende l’equilibrio internazionale. Mette un bastone nelle ruote del carro dell’egemonia statunitense. Questo spiega come mai i circoli di potere atlantici abbiano da tempo messo Putin nel loro mirino.
Progressivamente nel corso dei suoi due mandati da Presidente, Putin ha promosso una serie di parziali nazionalizzazioni e ristrutturazioni nei settori strategici dell’economia del paese, a partire dall’energia e dal complesso militar-industriale, al fine di garantire alla Russia gli strumenti per agire autonomamente sulla scena internazionale in difesa dei propri interessi [9]. Il processo di concentrazione industriale a prevalente guida pubblica promosso da Putin nelle industrie strategiche della difesa (come l’aerospaziale e altri settori di punta ad elevata intensità tecnologica) ha dimostrato la chiara volontà della nuova dirigenza russa di delineare con mano ferma l’intera politica del paese nel settore secondo una visione che mette l’interesse nazionale (valutato anche nel medio e lungo periodo) in cima all’ordine delle priorità [10]. Benché la strada da percorrere per poter sviluppare pienamente le potenzialità del paese ed evitare che in futuro la Russia sia condannata a svolgere principalmente il ruolo di fornitore di materie prime in cambio di macchinari sia ancora lunga, è comunque innegabile la netta svolta impostata dal Cremlino, quantomeno nei settori strategici. Anche se sulla politica interna, economica e sociale pesano ancora numerose ambiguità.
Energia e complesso militar-industriale sono anche le due carte che Mosca può giocare per tessere la rete di relazioni e cooperazioni necessarie a costruire un fronte di resistenza all’attacco anglo-americano al potere mondiale.
La russofobia 2.0 e la putinfobia vengono alimentate, come è caratteristico della guerra culturale statunitense, sfruttando ogni possibile canale. Per i settori conservatori dell’opinione pubblica Putin viene presentato come il dirigente del KGB che riabilita il passato sovietico tramite le celebrazioni di Andropov e della Grande guerra patriottica. Per le sinistre addomesticate (liberal o radical) diventa lo zar autocratico, omofobo e sostenitore delle destre europea e di ogni cattivo euroscettico di qualsiasi colore. In quest’ultimo caso è opportuno richiamare alla mente che questi mantra sono stati dati in pasto all’opinione pubblica proprio mentre era l’Occidente a sostenere i neonazisti in Ucraina. Ma quando si tratta di battere (volontariamente o meno poco importa) la lingua sul tamburo per l’imperialismo una certa sinistra sinistrata non si pone probabilmente molte domande. Ogni volta che si pone in discussione la patente di democratico di Putin occorrerebbe ricordare che fu il suo predecessore, Eltsin, a promuovere il bombardamento di un parlamento russo recalcitrante (tra gli applausi dei “democratici” occidentali, da Clinton in poi) e ad essere eletto solamente grazie ai brogli (nonostante l’impegno degli spin doctor fornitigli dai suoi amici americani).
Identità e collocazione
Dopo un periodo di torbidi e convulsioni la Russia ha in realtà la necessità di trovare un nuovo equilibrio con cui guardare la sua storia e la sua identità. In questo caso è normale che Putin promuova una visione inclusiva della storia nazionale nella quale tutto ciò che ha concorso alla costruzione dello Stato e allo sviluppo della civiltà multinazionale russa venga salutato con favore: dalla costruzione dell’impero da parte di alcuni zar alla costruzione dell’Unione Sovietica. Critico con la rivoluzione di Lenin, lo è assai meno con la costruzione dell’Urss di Stalin, la cui prova del 9 fu la Grande guerra patriottica, conclusasi vittoriosamente e obbligata pietra angolare dell’identità nazionale. E’ un atteggiamento per certi versi simile a quello che caratterizzava l’ispirazione di De Gaulle, statista assai presente a Putin che, lo ricordiamo, viene da San Pietroburgo, Leningrado, la finestra russa sull’Europa. Proprio guardando a San Pietroburgo Sergio Romano ha recentemente sostenuto: “Sembra esservi nella città il desiderio di usare monumenti e toponomastica per abbracciare tutto ciò che le appartiene… Nessuno chiede perdono alle vittime del passato, ma nessuna vittima è dimenticata. Forse è questo il modo migliore per scrivere la storia di una città che ha avuto molti passati” [11]. Un ragionamento che potrebbe essere esteso all’immenso paese.
In questi anni tra Russia e Cina si è sviluppata una vera intesa strategica. La tenuta di questa intesa è di fondamentale importanza per l’equilibrio internazionale e per l’affermarsi di un ordine multipolare.
E’ ai suoi confini occidentali che Mosca ha incontrato serie difficoltà, ciò in virtù del retaggio della Guerra Fredda che ha consegnato l’Europa all’influenza anglo-americana. Il presupposto dell’egemonia statunitense è costituito dalla supremazia degli Usa sugli altri membri della Triade dei paesi a capitalismo avanzato e Washington non perde occasione per intralciare la cooperazione mutuamente vantaggiosa tra l’Unione europea e la Federazione russa. Gli Usa perseguono la politica del “diaframma”, cioè dell’erezione di un nuovo “cordone sanitario” antirusso approfittando delle pedine della “Nuova Europa” (Polonia, stati baltici…). Il problema è costituito principalmente dal fatto che i paesi dell’Est si trovano sulle rotte di transito che trasportano le materie prime e le merci tra la Russia e i suoi partner della “Vecchia Europa”.
Le relazioni tra Russia e Usa sono profondamente antagonistiche e questo dato di fatto non è destinato a cambiare a meno che non si verifichino sostanziali mutamenti negli equilibri politici interni ai due paesi. Con il dispiegamento dello scudo antimissilistico in Europa orientale Washington punta alla completa supremazia termonucleare sul suo rivale. Ci si prepara al momento in cui le risorse del pianeta non basteranno più a soddisfare la sete e le aspettative di tutti, allora il gioco diventerà presumibilmente molto duro ed il ricatto atomico della Potenza che cerca il “dominio a pieno spettro” potrebbe essere una tentazione concreta e pericolosissima. Gli stessi esperti statunitensi, nelle loro analisi sul potenziale nucleare Usa, hanno sostenuto senza troppi veli quale sia il significato da attribuire allo scudo, vale a dire che il suo impiego non deve essere preso in considerazione in un contesto difensivo ma in una modalità operativa offensiva al fine di neutralizzare possibili risposte ad un primo strike nucleare statunitense lanciato contro Russia e/o Cina [12].
Il mondo è ancora in bilico sul precipizio. La Russia rappresenta un antemurale essenziale ai sogni di dominio di Washington e l’alleato irrinunciabile delle nazioni e dei popoli che si oppongono all’egemonia statunitense. La Russia rappresenta la chiave dell’equilibrio multipolare e dell’integrazione eurasiatica. E’ la sua funzione in questa epoca storica che, in un’ottica antimperialista, spiega il fatto che da più parti si consideri positivamente la politica estera di Mosca e che lo stesso Putin venga visto come un fenomeno essenzialmente positivo, proprio sulla base di un giudizio positivo del ruolo che svolge.
NOTE
1. Si veda in proposito: R. F. Levi, La Russia di Putin avversario strategico dell’Occidente?; in: “Corriere della sera”, 9 giugno 2016.
2. G. Chiesa, Putinfobia; Piemme, Milano 2016.
3. A. Zinov’ev, Katastrojka: la perestrojka nel culo della Russia, Spirali/Vel, Milano 1989.
4. V. Cheterian, Russia, l’industria militare sotto shock, “Le Monde diplomatique”, nr.10/ottobre 2011, pp.12-13
5. Ibidem
6. V. Putin, Memorie di oltrecortina, Carocci, Roma 2001, p.87
7. Ibidem, p.86-87
8. Ibidem, p.208
9. «…Dobbiamo imparare la lezione degli anni Novanta e riflettere sull’esperienza delle riforme di mercato… La Russia ha bisogno di dare vita a un sistema che consenta allo Stato di regolare l’economia e la sfera privata… Bisogna fare dello Stato un coordinatore efficiente delle forze economiche e sociali del paese». Si veda: V. Putin, op. cit., p.212
10. Simon Carta, Sviluppi del settore industriale-militare russo e prospettive delle relazioni russo-europee, in: “ISPI Policy Brief”, nr.72, Gennaio 2008.
11. S. Romano, San Pietroburgo Viaggio nella città dai molti passati, immagine di una Russia imperiale che oggi prova a ritrovare la sua ragion d’essere; in: “Corriere della sera”, 8 giugno 2016.
12. Keir A. Lieber, Daryl G. Press, The Rise of U.S. Nuclear Primacy, “Foreign Affairs”, marzo-aprile 2006.