Fascismo: passato e presente

anfibi neridi Jorge Cadima

da “O Militante”, rivista teorica del Partito Comunista Portoghese, n° 355 luglio-agosto 2018

Traduzione di Mauro Gemma per Marx21.it

Come nel ventesimo secolo, l’attuale ascesa dell’estrema destra è un’espressione della profonda crisi del sistema capitalista, che cerca di affermare il suo potere e garantirne la sopravvivenza. Combattere il pericolo del fascismo, con le sue caratteristiche vecchie e nuove, richiede una comprensione della sua essenza. Richiede che le lezioni della storia non vengano ignorate, mentre si identificano le nuove caratteristiche che il fascismo assume oggi.

L’essenza del fascismo

Nel 1933, l’anno della ascesa di Hitler, con il fascismo che estendeva la sua influenza e raccoglieva sostegno tra le grandi borghesie europee, il XIII Plenum del Comitato Esecutivo dell’Internazionale Comunista (CEIC) caratterizzava il fascismo come “la dittatura apertamente terrorista degli elementi più reazionari, più sciovinisti e più imperialisti del capitale finanziario”. La definizione andava al cuore della questione: la natura di classe di questo nuovo fenomeno, che era salito al potere un decennio prima, in Italia con Mussolini. Il fascismo è emerso dalle viscere della grande crisi del sistema capitalista mondiale, con la catastrofe della prima guerra mondiale, e dopo il 1929 la profonda crisi economica, con epicentro negli Stati Uniti, si diffuse rapidamente ad altri paesi del centro imperialista. La guerra diede luogo nel 1917, alla prima grande rivoluzione socialista della a storia dell’umanità, che ispirato i lavoratori e i popoli di tutto il mondo, ha mostrato l’alternativa al militarismo, alla povertà, allo sfruttamento e all’oppressione del capitalismo. Il grande capitale temeva di perdere il controllo.

La realtà storica venne affermata dall’Internazionale Comunista: “nato nel grembo della democrazia borghese, il fascismo è, agli occhi dei capitalisti, un modo per salvare il capitalismo dal collasso”, che “cerca di assicurare una base di massa per il capitale monopolistico tra la piccola borghesia”. Il fascismo è sempre stato un’arma dell’attacco contro il movimento operaio e contro il pericolo che il malcontento delle grandi masse nei confronti degli effetti della crisi del capitalismo si diriga verso un percorso rivoluzionario, mettendo in discussione il sistema stesso.

Violenza, demagogia, paura e capri espiatori

All’inizio la natura del fascismo non era chiara a tutti. Se la sua estrema violenza contro il movimento operaio era evidente, la sua natura era nascosta da menzogne e demagogia mistificante, apparentemente “rivoluzionaria”, “anti-liberale” e nazionalista, che mirava a nascondere la sua vera essenza, permettendo così di capitalizzare il malcontento di grandi masse, vittime del capitalismo.

Nel suo Rapporto al 7 ° Congresso dell’Internazionale Comunista (1935), Dimitrov disse: “Il fascismo arriva al potere come partito di attacco al movimento rivoluzionario del proletariato, alle masse popolari che sono in stato di agitazione; eppure presenta la sua ascesa al potere come un movimento “rivoluzionario” contro la borghesia in nome di “tutta la nazione” e per la “salvezza” della nazione. Ricordiamo la “marcia su Roma” di Mussolini, la “marcia” su Varsavia di Pilsudski, la “rivoluzione nazional-socialista” di Hitler in Germania “. E aggiunse: “Il fascismo non è una forma di potere dello Stato” che si colloca al di sopra delle classi – del proletariato e della borghesia, come dice, ad esempio, Otto Bauer [leader socialdemocratico austriaco]. Non è la “rivolta della poccola borghesia che si è impadronita della macchina statale”, come afferma il socialista britannico Brailsford. […] Il fascismo è il potere del capitale finanziario stesso”.

Non è un caso che Hitler abbia definito il suo partito “Nazional-Socialista” o che l’avventuriero Mussolini sia arrivato dalle file del Partito socialista italiano. La demagogia giocava sulla confusione. Nel 1919 Mussolini affermava: “Sono rivoluzionario e reazionario” e “Il fascismo è un movimento senza pregiudizi” (1). La demagogia permette a tutti di ascoltare ciò che vogliono sentire, anche quando le dichiarazioni sono contraddittorie o incoerenti. L’importante era cavalcare il malcontento e conquistare le masse alla violenza reazionaria.

Una delle novità del fascismo, che lo distingue da altri partiti dominati dalla borghesia, è la creazione di truppe d’assalto di massa reazionarie. Lo storico tedesco Kurt Gossweiler cita lo stesso Hitler: “Quando comprenderemo che è vitale distruggere il marxismo, tutti i mezzi saranno buoni per il nostro fine. Primo, un movimento che si è prefissato questo obiettivo deve rivolgersi alle masse più vaste possibili, le masse con le quali il marxismo stesso combatte. La massa è la fonte di ogni forza. […] Se posso portare la grande massa nel seno della Nazione, chi mi censurerà per i mezzi usati? Se vinciamo, il marxismo sarà spazzato via. […] Non ci riposeremo finché rimarranno un giornale, un’organizzazione, una scuola o un centro culturale che non abbiamo sradicato fino a quando l’ultimo marxista non sarà stato riportato sulla strada giusta, o non lo avremo sterminato. Non ci sono mezze misure” (2).

La paura gioca un ruolo importante nella demagogia fascista, dando spazio all’irrazionalità e alla violenza. Negli anni ’20 e ’30, ampie fasce della piccola e media borghesia furono rovinate dalla crisi del capitalismo e temevano di cadere nella miseria vissuta da gran parte dei lavoratori. Trasformare la paura della miseria dei lavoratori nella paura dei lavoratori stessi è stato il passo breve verso la demagogia fascista. La strategia di incolpare lavoratori e sindacati per i mali del paese è ben nota. O quella di incolpare lo straniero. La “nazione” come entità astratta promette solidarietà di fronte alla paura e, legata alla mitologia della “razza” e della “tribù” (molto presente nel nazismo), permette di sognare società sopra le classi e la brutalità dello sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo. Più la realtà è brutale, più il sogno diventa allettante.

Nel caso concreto del nazismo tedesco, lo sfruttamento della paura ha acquisito una forma specifica, con conseguenze terribili: l’antisemitismo. Gossweiler richiama l’attenzione (p. 48-9) sul fatto che, nei suoi discorsi di fronte ai grandi industriali, Hitler ignorava il discorso antisemita, anche se “la destra tedesca già [era] antisemita molto prima che Hitler ne facesse il suo programma ‘. “Sembra chiaro che Hitler ha risparmiato ai suoi ascoltatori milionari – come fu anche il caso dei suoi discorsi davanti ai magnati della Ruhr – le tirate antisemite che costituivano la base dei suoi discorsi alle masse”. L’antisemitismo non era necessario per ottenere il sostegno della classe che Hitler intendeva servire. Ma era indispensabile “per manipolare le masse”. L’antisemitismo sembrava conciliare l’inconciliabile: nella demagogia nazista, gli ebrei non erano solo i proprietari di Wall Street e della grande finanza che avevano rovinato la Germania dopo la prima guerra mondiale con le riparazioni draconiane del Trattato di Versailles, ma anche i responsabili del bolscevismo che voleva “distruggere la Germania attraverso la rivoluzione”. La “cospirazione ebraico-bolscevica” è una tesi che oggi sembra assurda, ma era moneta corrente tra buona parte delle classi capitaliste europee degli anni ’30, inclusa la Chiesa cattolica. L’antisemitismo permetteva così di deviare l’odio per il capitalismo in quanto sistema e classe, contro uno specifico gruppo di capitalisti (risparmiando gli “ariani” capitalisti), nello stesso momento in cui si apriva la strada alla persecuzione e ai crimini sfrenati contro i comunisti e i popoli dell’Europa orientale che Hitler aveva a lungo cercato di sottomettere (in definitiva, “ebrei” e “subumani”).

Quando il grande capitale scommette sul fascismo

Il fattore decisivo nell’ascesa del fascismo al potere fu la luce verde che, a un certo momento, ricevette dal grande capitale (e dai grandi agrari) per attuare il suo programma di soffocamento del movimento operaio e popolare (3).

Mussolini fu espulso dal partito socialista nel 1914 per aver difeso l’ingresso dell’Italia nella prima guerra mondiale, contraddicendo la posizione del PSI. Presto fondò un nuovo giornale, con i capitali “di industriali di orientamento più o meno interventista ‘o almeno interessati a maggiori commesse militari”, compresi i proprietari della Fiat (Agnelli) (4). Ma fu nel 1920 che l’ascesa del fascismo al potere divenne un pericolo reale. In tutta Europa, lo “spettro del comunismo” stava guadagnando terreno. Alla vittoriosa Rivoluzione d’Ottobre del 1917 in Russia fece seguito la rivoluzione tedesca del novembre 1918 che mise fine alla prima guerra mondiale (brutalmente schiacciata nei mesi successivi, in un’anticipazione della salita al potere del nazismo). In Italia, il PSI si presentò alle elezioni del 1919 con un programma rivoluzionario volto “alla creazione di una repubblica socialista e alla dittatura del proletariato”, dopo aver aderito in marzo all’Internazionale comunista di nuova costituzione. Divenne la più grande forza politica del paese, con il 32,3% dei voti. Il “biennio rosso” del 1919-20 fu testimone di enormi lotte di lavoratori e contadini. È in questo contesto che il grande capitale italiano ricerca la soluzione della forza. Dal 1920 diventano frequenti assalti armati a scioperanti e manifestanti e aggressioni violente e incendi dolosi alle sedi di partiti, sindacati, giornali del movimento operaio (come in Portogallo nel 1975), alimentati da agrari e grandi industriali. Come in altri paesi, la violenza fascista venne aiutata e spalleggiata dal potere giudiziario e dalla polizia, dai mezzi di comunicazione al servizio del grande capitale, che incolpavano le vittime degli attentati di cui erano bersaglio. La collusione della vecchia borghesia liberale con il fascismo si esplicitò nelle prime elezioni del 1921 con la formazione di liste comuni, chiamate Blocchi Nazionali, “incoraggiato da grandi industriali di Milano, tra cui Pirelli e Olivetti” (5). Anche se i blocchi nazionali si piazzarono dietro ai socialisti e alla nuova formazione Partito comunista d’Italia (in totale 29,3%, nonostante il terrore fascista), tutti i partiti borghesi in Parlamento collaborarono alla creazione della dittatura fascista che sarebbe durata 20 anni e avrebbe portato l’Italia al disastro.

L’ascesa di Mussolini al potere fu salutata in modo entusiasta dalle classi dominanti, e numerosi furono i suoi discepoli, tra cui Salazar. Il biografo inglese di Winston Churchill, Clive Ponting, scrive: “Churchill era un grande ammiratore di Mussolini […]. Visitò l’Italia nel 1927 […] e a Roma incontrò Mussolini, sul quale espresse elogi […]. ‘Se fossi italiano, sono sicuro che sarei stato con tutto il mio cuore al vostro fianco, dall’inizio alla fine, nella vostra lotta trionfante contro gli appetiti e le passioni animalesche del leninismo ». Per i successivi dieci anni, Churchill continuò a lodare Mussolini” (6).

La grande crisi economica del capitalismo nel 1929 diede un nuovo impulso alle simpatie del grande capitale per il fascismo. Il contrasto tra la caduta economica e sociale delle grandi potenze capitaliste e lo sviluppo impetuoso che, sulla base dei piani quinquennali, ha reso l’Unione Sovietica socialista una delle maggiori potenze industriali del pianeta, ha rafforzato il prestigio del socialismo e del comunismo. È così che il grande capitale tedesco spinse Hitler al potere. Gossweiler ricorda che nelle elezioni del novembre 1932 il Partito hitleriano perse più di 2 milioni di voti e che i comunisti salirono al 17%, affermando: “Con il declino del NSDAP e il rischio di vedere svanire tutte le loro speranze e i loro piani per la conquista, i monopolisti, i militaristi e gli Junker misero nell’armadio dissensi e liti e decisero di affidare il più rapidamente possibile il potere al partito di Hitler. Il 19 novembre, importanti banchieri, grandi industriali e grandi proprietari terrieri presentarono una petizione al presidente Hindenburg, insistendo perché nominasse Hitler alla cancelleria”. Cosa che sarebbe successa nel gennaio del 1933, aprendo le porte alla tragedia in Germania e nel mondo. Le vittorie elettorali dei Fronti Popolari in Francia e in Spagna nel 1936 accentuarono l’abbraccio del grande capitale con il fascismo (in Francia con la capitolazione a Hitler dopo l’invasione del 1940).

Oggi molti intendono scuotere l’acqua dal mantello e lavarsi le mani con l’acqua santa. Ma l’entusiasmo di grandi settori di grande capitale per il fascismo non è smentibile.

Militarismo e guerra

Il fascismo al potere fu caratterizzato dal disprezzo per la sovranità dei popoli, dal militarismo e dalla guerra di aggressione. La violenza esterna era il rovescio della medaglia della violenza interna. Se, da un lato corrispose alla finalità delle potenze fasciste di ridisegnare la mappa del mondo a loro vantaggio, con la conquista di spazi coloniali a cui erano arrivate in ritardo, d’altro canto è stato il risultato quasi inevitabile del ‘keynesismo militare’ che serviva a rinvigorire economie in profonda crisi. La consapevolezza che “il fascismo è la guerra” (il titolo di un articolo Dimitrov (7)) ha portato l’URSS e l’IC a cercare attivamente la cooperazione antifascista con le maggiori potenze imperialiste del tempo (Inghilterra, Francia, Stati Uniti d’America). La cooperazione fu respinta da queste potenze, che sognavano di vedere Hitler distruggere l’Unione Sovietica socialista, fino a quando i calcoli di guerra di Hitler lo condussero a scatenare prima la guerra in Occidente, nel tentativo di vendicare la sconfitta tedesca del 1918 e di assicurare il controllo dell’enorme potere economico dell’Europa occidentale prima di lanciarsi contro l’URSS. La guerra portò alla sconfitta dellle potenze nazi-fasciste, grazie al sacrificio eroico e decisivo dell’Unione Sovietica, del suo popolo e dell’Armata Rossa, con il contributo determinante della resistenza in altri paesi, che ebbe nei comunisti il proprio elemento centrale.

Il fascismo non è mai scomparso

Il ruolo determinante dell’URSS socialista e dei comunisti nella sconfitta del nazifascismo nel 1945, ha modificato in profondità il rapporto di forze globale, non permettendo l’imposizione delle soluzioni di forza da parte del grande capitale del centro imperialista e costringendolo a concessioni senza precedenti. Ma questo non ha significato la fine del fascismo. Non solo è rimasto una realtà al potere (come in Portogallo e Spagna), ma una parte importante dei fascisti sconfitti sono stati reclutati e posti al servizio delle potenze imperialiste vincenti nella Seconda Guerra Mondiale. Salazar divenne un membro fondatore della NATO. I nuovi leader della Germania Ovest (RFG) erano in gran parte nazisti riciclati. I fascisti greci furono messi al potere dagli inglesi e dagli americani per schiacciare la resistenza antifascista. Il riciclaggio di migliaia di nazifascisti è stato particolarmente importante per l’apparato repressivo (militari, polizia, servizi segreti), anche nei paesi formalmente democratici, come la Francia, l’Italia, la Germania occidentale, Stati Uniti d’America. Ha svolto un ruolo di primo piano nella sovversione e nella violenza delle reti tipo Gladio (come in Italia). Ha segnato la cosiddetta Guerra Fredda. La “dittatura apertamente terroristica degli elementi più reazionari, più sciovinisti e più imperialisti del capitale finanziario” è stata anche l’arma scelta dalle “democrazie occidentali” per contenere le grandi aspirazioni alla liberazione nazionale e sociale nel mondo.

Il momento attuale

Il capitalismo sta vivendo oggi una nuova acuta fase di crisi. Se, da un lato, la distruzione dell’URSS e del sistema socialista mondiale sembra avere rimosso temporaneamente il “pericolo”” delle rivoluzioni popolari e socialiste, e la macchina della propaganda è più capillare ed efficace che mai, d’altro canto, la vittoria del capitalismo nel passaggio al nuovo secolo ha reso più evidente la vera natura del sistema e i suoi limiti storici. Si diffonde il malcontento verso le politiche di impoverimento diffuso, il maggiore sfruttamento, la guerra permanente e la violazione sistematica dei diritti e delle libertà. Sebbene grandi masse non siano ancora consapevoli della propria forza, le classi dominanti sono terrorizzate da questa eventualità e temono le rivoluzioni che le condizioni obiettivamente richiedono. Ovunque il grande capitale prepara i meccanismi per imporre la sua dittatura aperta, che possano essere innescati in un momento di particolare necessità.

La promozione sistematica di un feroce e multiforme anticomunismo, insieme a un bellicismo senza freni, all’autoritarismo, a meccanismi di sorveglianza generalizzata e di repressione, alla distruzione sistematica delle strutture e dei principi dell’ordine mondiale stabilito dopo la sconfitta del nazi-fascismo non sono tipici di questo o di quel settore del grande capitale. La deriva reazionaria è generale. Trump gioca di nuovo sul nazionalismo, e il più pericoloso e violento dei fascismi attuali è salito al potere in Ucraina con la connivenza attiva degli Stati Uniti di Obama e l’Unione Europea “liberale”. Le sempre più acute rivalità inter-imperialiste sembrano solo ricomporsi quando si tratta di combattere i popoli. Già Lenin avvertiva che “l’imperialismo è l’epoca del capitale finanziario e dei monopoli, che portano con sé, ovunque, la tendenza al dominio, e non alla libertà. La reazione su tutta la linea, qualunque sia il regime politico; l’estrema esacerbazione delle contraddizioni.” (8)

Oggi, il più grande pericolo di guerra proviene dalle vecchie potenze imperialiste (USA, UE) che cercano di preservare con la forza lo status quo e di prevenire il profondo cambiamento in corso nel rapporto di forze economiche, con il protagonismo di nuove potenze.

La situazione attuale non è, in generale, una situazione di aperta dittatura, e non è indifferente per la classe operaia, i lavoratori e i popoli, preservare e difendere ogni libertà e diritto esistente. Non tutti i settori della borghesia sono uguali. Ma la lotta contro l’ascesa dell’estrema destra deve essere condotta senza illusioni sulla reale natura delle forze presenti.

La demagogia fascista odierna è parallela a quella del passato, proclamando la sua presunta opposizione alla grande finanza e al capitalismo selvaggio, mentre allo stesso tempo cerca di incanalare il malcontento e le rinnovate paure di impoverimento contro gli immigrati e i rifugiati, i lavoratori sindacalizzati, il movimento dei lavoratori organizzato e i comunisti. Alcuni capri espiatori possono cambiare: il ruolo riservato agli ebrei otto decenni fa oggi è in gran parte attribuito ai musulmani (o ai russi). Ma l’essenza del fenomeno è la stessa: dividere i popoli, per meglio imporre a tutti il dominio del grande capitale.

L’impatto attuale della demagogia fascista è ancora maggiore in quanto parte importante del movimento operaio e comunista è ancora debole dopo le vittorie controrivoluzionari della fine del XX secolo, e in alcuni casi, si è convertita a progetti al servizio del grande capitale, come nel caso dell’Unione Europea. L’abbandono delle posizioni di classe e la difesa intransigente dei diritti e delle aspirazioni dei lavoratori e dei popoli, anche se fatto in nome della necessità di sbarrare la strada all’avanzata della destra estrema, offre oggettivamente spazio per il successo di questa tra le classi popolari, come evidenziano molti esempi, come in Italia. Il fascismo non viene fermato ignorando la natura di classe del potere capitalista, che è la stessa del fascismo. Si blocca l’avanzata dell’estrema destra organizzando la lotta dei lavoratori e dei popoli per i loro interessi, mettendo in evidenza la vera natura di queste forze e del sistema che le genera, le nutre e – in casi estremi – le colloca al potere per affermare il modo più brutale il suo potere di classe.

Note

(1) Enzo Santarelli, Storia del Movimento e del Regime Fascista, Ed. Riuniti, 1967, p. 143 e p. 107.↲
(2) Kurt Gossweiler, Hitler: ascensão irresistível?, Ed. «Avante!», 2009, pp. 46-7.↲
(3) Para mais pormenores, vejam-se os numerosos dos artigos sobre o ascenso do fascismo em anteriores edições de O Militante.↲
(4) Idem, Enzo Santarelli. Citações nas pp. 60, 111 e 153.↲
(5) Denis Mack Smith, Mussolini, Paladin, 1983, p. 59.↲
(6) Clive Ponting, Sinclair-Stevenson, Churchill, 1994, p. 350.↲
(7) Publicado em O Militante, N.º 335, Março de 2015.↲
(8) V. I. Lénine, Obras Escolhidas em 6 tomos, Ed. «Avante!», tomo 2, 1984, p. 397.