di Enrico Campofreda | da Contropiano.org
Di Jorge Rafael Videla, dei trentamila desaparecidos, degli ottomila omicidi, dei terribili racconti che abbiamo ascoltato dalla voce rotta dei rifugiati argentini, dei filmati delle coraggiosissime madri della Piazza di Maggio, nella mente un copioso, triste ma formativo bagaglio.
Il pugno nello stomaco, la scarica elettrica data dai suoi scherani alle migliaia di scomparsi e sopravvissuti infliggeva quel terribile dolore fisico che generazioni di torturati hanno subìto e subiscono dagli oppressori. Ma la nausea, il senso di morte senza la morte che gli stessi superstiti ai mille “Garage Olimpo” hanno narrato ha rinnovato a lungo la perversione e l’ignavia dei piccoli Videla disseminati in una società che per viltà, identificazione, superficialità, perversione sosteneva il piano del massacro giustificato dalla voglia d’ordine. Di Jorge Rafael Videla, degli oltre trentamila desaparecidos, degli ottomila omicidi ammessi da lui stesso, ordinati o provocati che fossero, dei terribili racconti che abbiamo ascoltato direttamente dalla voce rotta dei rifugiati argentini, dei filmati delle coraggiosissime madri della Piazza di Maggio, di storie conosciute da fonti letterarie resta nella mente un copioso, triste ma formativo bagaglio. Però c’è qualcosa che pesca più a fondo quando questo nome viene pronunciato.