Venezuela. Paga le tasse per il socialismo

di Geraldina Colotti | da il Manifesto del 16 ottobre 2012

venezuela-sfSpanNonostante le immense riserve di greggio che il paese può vantare, per promuovere il benessere della comunità il «proceso bolivariano» deve lottare contro l’evasione fiscale e la corruzione. Ma le grandi imprese e i grandi capitali non versano volentieri le imposte dovute.

«Fai il tuo dovere, versa quanto richiesto dallo Stato, così il governo può avere le risorse necessarie per promuovere il benessere della collettività». In ogni angolo del Venezuela, vicino alle innumerevoli pubblicità educative rivolte ai cittadini, spicca la campagna contro l’evasione fiscale: va bene che c’è il petrolio, di cui il governo si serve per ampliare le misure sociali, ma non può durare così in eterno, anche i cittadini devono contribuire.

In un paese che custodisce la prima riserva di greggio accertata a livello mondiale e in cui un litro di benzina costa molto meno di una bottiglia d’acqua, il concetto di “restituzione” alla collettività in termini tributari è però ancora difficile da far passare.

Così, quasi quotidianamente, sulla stampa si ha notizia di esercizi commerciali obbligati a chiudere per un periodo determinato, fabbriche insolventi multate, grandi ristoranti sanzionati in base alla normativa stabilita dal Codigo Organico Tributario (Cot). A fine agosto, il Servicio Nacional Integrado de Administración Aduanera y Tributaria (Seniat) annunciava di aver recuperato, per l’anno in corso, 119.732.696.814,70 bolivares di tasse non petrolifere. Secondo il Seniat, le entrate tributarie non legate al petrolio costituiscono in media il 12% del Prodotto interno lordo (Pil). Nel 1994, la percentuale era del 7,42%. Risultati acclamati o contestati, a seconda del colore politico e della posizione sociale: perché in un paese che si dice «in transizione verso il socialismo», a dover pagare per primi sono le grandi imprese e le grandi fortune. E non lo fanno volentieri.

Il Venezuela ha una trentina di contenziosi aperti a livello internazionale, pendenti per molti milioni di dollari, dovuti all’espropriazione attiva di alcune multinazionali. Alla fine del 2004, viene infatti approvata la nuova legge sugli idrocarburi, che mira a una parziale nazionalizzazione. Aumentano le tasse sul petrolio estratto. Se prima il 53% dei profitti andava alle imprese multinazionali e il 47% allo stato, da allora va allo stato il 94% e solo il 6% viene intascato dalle imprese miste: la legge obbliga le multinazionali a formare società miste in cui Pétroleos de Venezuela (Pdvsa) sia azionista di maggioranza. Dal 2005, le corporation devono rinegoziare i contratti con Pdvsa oppure andarsene. In quell’anno, il Seniat impone alle compagnie straniere di versare un importo superiore per compensare il corrispettivo non rimborsato tra il 2001 e il 2004. Con quel guadagno, che prima finiva nelle tasche delle grandi corporazioni petrolifere (e dei corrotti) si è costruita l’ossatura del “socialismo bolivariano”. Nel 2012, il contributo fiscale di Pdvsa è aumentato del 50% e apporterà allo stato 12,33 miliardi di dollari Usa in royalties 1,4 miliardi di dollari di dividendi.

Un vecchio vizio coloniale

Lotta all’evasione significa anche lotta alla corruzione, un vecchio vizio erede del dominio coloniale (già il Libertador Simon Bolivar emanò diverse leggi al riguardo) e di quello neocoloniale, che ha impresso il suo marchio ai “puntofijsti” (l’alternanza di centrodestra e centrosinistra, che ha gestito il potere dopo la caduta del dittatore Marcos Pérez Jimenez, nel ’58). Ai soliti funzionari corrotti sembra dovuta anche la firma del contratto tra Pdvsa e la multinazionale CoconocoPhillips, che prevede un congruo risarcimento in caso di rottura di accordo. Su quella base, la corporation Usa chiede una compensazione di 66,8 milioni di dollari per aver dovuto interrompere il progetto Petrozuata, nella Faglia petrolifera dell’Orinoco, tra il 2006 e il 2007.

Sul piede di guerra sono scesi anche i vertici della fabbrica di birra Polar, la grande impresa di Lorenzo Mendoza, in prima fila nel colpo di stato del 2002: chiedono al Tribunale Supremo di Giustizia l’annullamento della Riforma alla Ley de Timbre Fiscal, che impone versamenti tributari alla grande impresa, considerati onerosi. Per le grandi imprese, sono aumentati gli obblighi sociali, ovvero le garanzie per i lavoratori.

Dal 1° settembre, il salario minimo è di 2.047, 52 bolivares (circa 465 dollari). Su questa cifra è stata parametrata la pensione di base, concessa anche a quegli anziani che non potevano dimostrare il pagamento dei contributi negli anni passati. In cambio, la Repubblica bolivariana del Venezuela (uno stato federale) percepisce le imposte a tre livelli di governo: nazionale, statale e municipale. Il sistema fiscale si esprime in Unità tributarie (Ut), valori di riferimento fissati in moneta dalla legge, che definiscono il tasso imponibile. Dal gennaio 2011, il valore dell’Ut equivale a 65,00 bolivar (Veb). Il Seniat ha giurisdizione per quel che riguarda la tassa sulla rendita, sulla successione, sul valore aggiunto (in media al 12%, mentre il 10% in più può essere applicato su alcuni prodotti di lusso comprese macchine e gioielli).

Per le società, il tasso è progressivo fino al 34% del reddito netto che eccede il reddito netto imponibile. Fino a 2mila Ut si applica l’aliquota del 15%, per la frazione di reddito che supera 2mila Ut e fino a 3mila Ut l’aliquota è del 22%, mentre per la frazione di reddito superiore a 3mila Ut viene applicata l’aliquota del 34%. Le imprese creditizie costituite all’estero e non domiciliate nel paese scontano un’imposta proporzionale del 4,95%, mentre i redditi annuali delle imprese di assicurazione e riassicurazione pagano un’imposta del 10%.

Imposte proporzionali e progressive

Le attività che riguardano gli idrocarburi (raffinamento, trasporto, acquisizione per l’esportazione), pagano un’imposta proporzionale del 50%. I contribuenti che non esercitano l’attività estrattiva, di idrocarburi e attività connesse vengono tassati sul 60% dei proventi derivanti da eventuali partecipazioni o licenze su tali attività.

Anche l’imposta sul reddito delle persone fisiche residenti è espressa in unità tributaria ed è progressiva. Fino a 1.000 unità, si paga il 6%, da 1.001 a 1.500 unità, il 9%, da 1.501 2.000 unità, il 12%; da 2.001 a 2.500 unità, il 16%; da 2.501 à 3.000 unità, il 20%; da 3.001 a 4.000 unità, il 24%; da 4.001 a 6.000 unità, il 29%. Oltre le 6.000 unità, il 34%. Le entrate tassabili sono diminuite dalle deduzioni personali previste, quali spese di istruzione, sanitarie, e le spese per gli interessi del mutuo per l’acquisto della prima casa con il limite di 1.000 Ut annue.

Secondo le leggi venezuelane, le società straniere che investono per produrre reddito e sviluppo hanno forti deduzioni per le spese sostenute. Tant’è che, dopo la firma di diversi trattati commerciali, il numero dei piccoli imprenditori europei – soprattutto italiani – che fanno affari con Caracas è in crescita. Secondo un’inchiesta realizzata dall’agenzia Kpmg – un Network globale di società di servizi professionali, attivo in 152 paesi nel mondo e specializzato in «tributi e tassazioni internazionali» – il Venezuela ha però il sistema fiscale meno appetibile per i grandi imprenditori. Il primo posto preferito dalle grandi imprese risulta invece il Cile. Al secondo, figura il Messico, seguito da Colombia, Perù, Argentina, Brasile.