Venezuela. Anche un italiano nell’attacco a Maduro

salvatorelucchese venezueladi Geraldina Colotti
da farodiroma.it

Salvatore Lucchese, italiano di nascita, è un ex direttore della polizia di San Diego, nello Stato venezuelano di Carabobo. Anch’egli ha voluto uscire allo scoperto per rivendicare in un’intervista alla Reuters la sua partecipazione al fallito attentato del 4 agosto contro Maduro. Lucchese fa parte dell’estrema destra venezuelana e, per sua stessa ammissione, si sente “molto vicino” alle posizioni dell’ex presidente colombiano Alvaro Uribe, grande sponsor del paramilitarismo, dentro e fuori il suo paese.

Nel 2014, durante le violenze di piazza organizzate dalle destre per far cadere il governo Maduro (le guarimbas), Lucchese venne condannato a 10 mesi di carcere: si era rifiutato di eseguire l’ordine del Tribunal Supremo de Justicia (Tsj) che intimava alle autorità locali di agevolare la libera circolazione delle persone, impedita dai “guarimberos” armati. Con lui, e in base alla stessa motivazione, venne spedito nel carcere di Ramo Verde un altro italiano, Enzo Scarano, sindaco di San Diego.

Allora, Lucchese venne espulso dalla polizia e poco dopo anche dal partito Voluntad Popular (il partito di Leopoldo Lopez, uno dei leader delle guarimbas): “per divergenze con la direzione nazionale”, ha detto alla stampa Juan Guaido, di VP. Uscito dal carcere nel 2015, Lucchese è rimasto attivo nelle sfere golpiste. Vedendo arrivare un altro ordine di cattura, è fuggito in Colombia, dove ha continuato a tessere trame fra Miami e Bogotà.

L’arresto di sei persone, sospettate di aver organizzato l’attentato con i droni all’esplosivo ha consentito di evidenziare l’organigramma dei Soldados de Franelas, il gruppo armato che ha rivendicato l’attacco. Una rivendicazione arrivata da Miami per bocca della giornalista Patricia Poleo, ricercata per l’omicidio del giudice Danilo Anderson, incaricato di indagare sul golpe contro Chavez nel 2002. Dei Soldados de Franelas faceva parte anche l’ex poliziotto Oscar Pérez, che l’opposizione oltranzista ha cercato di trasformare in un simbolo della “resistencia” contro il chavismo.

Alla “resistencia” e alla necessità di riprovarci con gli attentati ha fatto riferimento anche Lucchese nell’intervista alla Reuters, precisando di aver organizzato l’attacco insieme a militari antigovernativi e membri della “resistenza contro Maduro”. La forte presenza dell’immigrazione italiana nelle file dell’estrema destra venezuelana, non è un mistero. Durante il linciaggio di Orlando Figuera, il giovane afro-venezuelano bruciato vivo dai “guarimberos”, era visibile la targa di una motocicletta, proprietà di un italiano presente.

Solo l’ipocrisia di una certa “sinistra” italiana ha potuto presentare questi figuri come “pacifici manifestanti contro la dittatura” e invitarli persino in Parlamento, a spese dei contribuenti. E oggi, nessuna voce si leva da quei settori per condannare l’attentato contro Maduro, che avrebbe potuto provocare una strage. La prima versione adottata dai grandi media italiana è stata, come di consueto, quella diffusa in Venezuela dai giornali di opposizione e in Spagna da El Pais: insinuare che si fosse trattato di una montatura del “regime” per distogliere l’attenzione dai problemi del paese e “scatenare la repressione”.

Ora, però, risulta che – sia a Miami che a Bogotà – erano in tanti a conoscere i preparativi dell’attentato. Jayme Bayly, un altro transfugo di origine peruviana che fa il giornalista a Miami, sostiene addirittura di aver partecipato alla discussione organizzativa dell’attacco, una settimana prima del 4 agosto. Uno degli arrestati, l’ex sergente della Guardia Nacional Bolivariana, Juan Carlos Monasterio, ha raccontato in dettaglio la dinamica dell’attentato, programmato già per i mesi precedenti, ma saltato perché i droni non sono arrivati in tempo.

Monasterio ha ricostruito tutti i passaggi e i reclutamenti, passati per lo stato Carabobo, basati in Colombia e finanziati dagli Usa. L’ex sergente era stato anche arrestato l’anno scorso per l’assalto al Fuerte Paramacay, sempre nello Stato di Carabobo. Attentato rivendicato con un video da militari della “resistencia” incappucciati. Di recente, però, Monasterio era tornato libero grazie all’amnistia concessa dal “dittatore” Maduro. Nella sua confessione ha chiamato in causa due dirigenti di opposizione, Julio Borges, di Primero Justicia, in fuga a Bogotà, e il deputato Juan Requesens, che è stato fermato ieri.

Ieri, l’Assemblea Nacional Costituente, installatasi un anno fa dopo il voto di oltre 8 milioni di persone, si è riunita in seduta speciale per discutere l’abolizione dell’immunità parlamentare a Requesens. Il Parlamento (a maggioranza di opposizione, e considerato “in ribellione” dagli altri poteri della Repubblica) ha invece definito “un sequestro” il fermo di Requesens e rigettato la tesi governativa.

Una tesi suffragata, oltreché dalle confessioni degli imputati e dagli incontri che hanno sostenuto nei mesi precedenti con rappresentanti dell’oligarchia colombiana e delle mafie di Miami, anche dal crescendo di dichiarazioni bellicose provenienti dai governanti Usa e colombiani, che davano per immediata la caduta di Maduro. Una prova di forza che, con quella strage, avrebbe provocato la situazione adatta all’intervento esterno tanto richiesto dalle destre ai loro padrini occidentali.

Geraldina Colotti