da Misiòn Verdad
3 luglio 2018, 12:40
Con oltre il 53% dei voti, Andrés Manuel López Obrador (AMLO) ha ottenuto la presidenza del Messico domenica scorsa, 1° luglio.
Quasi 24 milioni di voti lo rendono il presidente più votato nella storia del suo paese. Si candidò per la prima volta alla presidenza nel 2006, per la seconda volta nel 2012 ed infine per la terza volta, quando la differenza schiacciante di oltre 30 punti sul suo sfidante più vicino ha reso impossibile ripetere la frode elettorale che lo aveva allontanato dalla presidenza le due volte precedenti.
È stata decisiva non solo la sua determinazione per raggiungere la presidenza del Messico ma l’aver svolto un costante lavoro politico, ha creato il suo partito chiamato MORENA, incorporando gradualmente leader sociali di diversi settori nella sua campagna. È restato attivo, combattivo e critico frontale dei presidenti in carica, soprattutto per ciò che i loro progetti rappresentavano.
Questa attiva perseveranza è un buon esempio per altri attori della regione, come Gustavo Petro in Colombia, in quanto segna la strada di un’opposizione che si sta consolidando di fronte all’establishment.
Ma in questi tempi, segnati da un aggiornamento della Dottrina Monroe sulla regione, è necessario mantenere la cautela, gestire le aspettative e lottare per la massima obiettività possibile per analizzare i risultati.
La dura realtà del Messico
Il Messico è attualmente il paradigma degli Stati narcotrafficanti, anche più della Colombia.
Nessun paese è visibilmente controllato dal traffico di droga come questo. Anche se è considerata la seconda economia della regione, il suo confine con il più grande consumatore mondiale di droga lo ha consolidato come il luogo migliore per i cartelli della droga che gradualmente si sono spostati in Messico ed oggi controllano gran parte del territorio nazionale, l’economia, la politica ed hanno reso naturale la violenza, il terrorismo, la uccisioni mirate, le sparizioni e gli sfollamenti forzati.
La gigantesca economia messicana ha una crescita legata all’economia in nero che, ovviamente, non dichiara imposte, la disuguaglianza nella distribuzione del PIL tra la popolazione la rende l’economia più disuguale nell’OCSE ed una delle più disuguali nella regione.
71 anni ininterrotti di dittatura partitista del PRI, indebolito solo dall’elezione dell’ex dirigente della Coca-Cola Vicente Fox nel 2000 ma recuperati con il ritorno di Peña Nieto alla presidenza nel 2012, hanno accumulato gravi violazioni dei diritti umani sul popolo messicano, forse la più ricordata è la strage di Tlatelolco nel 1968.
A causa di questo grande confine che condivide con gli Stati Uniti, il Messico non è sotto la giurisdizione del Comando Sud, ma è l’unico paese dell’emisfero il cui monitoraggio e controllo militare è nelle mani del Comando Centrale delle Forze Armate degli Stati Uniti. La possibilità che il gigante settentrionale decida di attaccare la vita di AMLO prima di permettergli di assumere la presidenza continua ad esistere, indipendentemente dal fatto che i suoi annunci riguardino o meno i poteri forti che continuano a dominare il paese.
Solo in questo periodo elettorale sono state uccise 130 persone che correvano per una delle cariche elettorali o che facevano parte della squadra della campagna elettorale. Il giorno delle elezioni sono stati segnalati omicidi di attivisti di partito in corsa ed attacchi armati ai seggi elettorali. Il che aumenta quella cifra terribile.
Il nuovo governo messicano di fronte ai poteri di fatto
I risultati ufficiali delle elezioni saranno noti solo l’8 luglio, come annunciato dall’INE, ossia dopo una settimana dal voto. Ciononostante i risultati di quello che chiamano un “conteggio rapido” sono già stati annunciati, i due principali contendenti hanno già riconosciuto il trionfo di AMLO, così come hanno fatto diversi governi in tutto il mondo. MORENA è riuscita a costituire un nuovo potere esecutivo estremamente favorevole al governo.
Secondo questo rapido conteggio ha ottenuto il 52% del Senato, il 70% della Camera dei Deputati e 6 dei più importanti governatorati del paese, tra cui l’ufficio del sindaco della capitale con Claudia Sheinbaum, che sarà la prima donna ad occupare questa posizione.
Ma la vera sfida di AMLO sarà quella di affrontare il traffico di droga, la corruzione che ha saccheggiato lo Stato e il peso che le multinazionali hanno sul destino economico del Messico. Il nuovo presidente è un nazionalista, parlare di nazionalismo in un paese che ha più di 3.000 chilometri di confine con gli Stati Uniti è sufficiente per dire che ci sono interessi strategici globali in contrasto.
I veri poteri messicane, incoraggiati dagli Stati Uniti, il cui potere economico sul Messico è innegabile, renderanno molto difficile ogni decisione politica ed economica. Per questo la posizione economica assunta da AMLO sarà definitiva per i suoi rapporti con l’amministrazione Trump.
Se si continua con il modello economico “finanziario liberale” che ha prevalso fino ad ora in Messico, funzionale alla globalizzazione, si può continuare il confronto con il modello Trump. Optando per un’economia liberale più conservatrice e nazionalista, potrebbe trovare una nuova alleanza con il presidente degli Stati Uniti, secondo l’analista politico Daniel Estulín.
Cosa potrebbe significare il nuovo governo dell’AMLO per il Venezuela e la regione
Anche se AMLO è un uomo progressista, nulla lo definisce come un vero uomo di sinistra. Le sue proposte economiche sono vicine a quelle fatte da Trump per ottenere la Presidenza. In sostanza, possono convergere sul contrasto con gli accordi di libero scambio che indeboliscono l’economia nazionale, con il loro impegno a incentivare la produzione interna, con i tagli fiscali e con l’aumento dell’occupazione come interessi supremi della loro campagna. AMLO ha anche preso in considerazione la possibilità di rivedere i recenti accordi con la Cina, che a suo parere sono svantaggiosi per il Messico.
Vale a dire che entrambi, almeno a parole, si confrontano con la tendenza neoliberista che il PRI e il PAN hanno imposto al Messico, sempre al servizio degli interessi statunitensi al di sopra di quelli messicani. Ma entrambi i discorsi economici sembrano concordare su un approccio economico liberale più conservatore. La pressione economica annunciata è già iniziata con un leggero calo del peso lunedì, che è stato attribuito al suo trionfo.
Ieri, dopo che Trump si è pubblicamente congratulato con il nuovo presidente esprimendo la sua disponibilità a lavorare con lui ed affermando che entrambi i paesi ne beneficeranno, il presidente Maduro ha inviato le sue congratulazioni e lo ha invitato a rafforzare le relazioni bilaterali, sottolineando la non ingerenza negli affari interni ed il rispetto per l’autodeterminazione dei popoli.
Successivamente, la notte del 2 luglio, ha avuto luogo la prima comunicazione diretta tra Donald Trump e Andrés López [Obrador N.d.T.], nella quale, è stato reso noto, quest’ultimo ha sollevato la necessità di accordi che aumentassero l’occupazione in Messico al fine di ridurre al minimo l’emigrazione verso il nord. Ciò dimostra l’importanza che il governo Trump attribuisce a questa vittoria e spiega l’affrettata corsa per allinearla.
Nella sua campagna elettorale López ha affermato che la migliore politica estera è quella interna. Si tratta di una definizione molto importante che riflette l’importanza che attribuirà allo sviluppo nazionale e alla risoluzione dei conflitti interni. Nella stessa ottica ha parlato di rispetto della sovranità e di non ingerenza negli affari interni di altri paesi, citando addirittura José Martí nel suo nuestroamericano.
Questo segnerebbe una rottura con la politica internazionale del governo Peña Nieto, che è stato estremamente belligerante sul Venezuela, coinvolgendo il suo paese nel cosiddetto Gruppo di Lima, facendosi promotore di risoluzioni anti-venezuelane nell’OSA*, nel Cumbre de las Américas ed in generale con un posizionamento contrario al governo venezuelano nell’agenda internazionale messicana.
Con l’uscita di Enrique Peña Nieto il Gruppo Lima perde un altro dei suoi protagonisti. E l’ala interventista del Congresso e della Casa Bianca da parte loro sembrano perdere un potente alleato, della prima ora, economico e finanziario per espandere l’assedio contro il Venezuela. Lo stesso accadrà con Luis Almagro* e l’OSA, dove Peña ha costantemente alzato la voce contro il Venezuela.
Sarebbe positivo per il Venezuela. Se, oltre a questo, AMLO contribuisse al rafforzamento di reali meccanismi di integrazione e si concentrasse sui suoi affari interni abbandonando le pressioni sul Venezuela, il cambiamento nella relazione fra le forze a favore della pace regionale e del nostro paese [Venezuela N.d.T.] potrebbe essere sostanziale.
AMLO assumerà la Presidenza solo a dicembre di quest’anno. Quasi metà anno, durante il quale in Messico, negli Stati Uniti e nel continente possono ancora accadere molte cose.
*Organizzazione degli Stati Americani
*Segretario generale dell’OAS