di Marco Santopadre | da www.contropiano.org
Lo sciopero dei poliziotti degenera e il governo denuncia la possibilità che la protesta sfoci in un tentativo di colpo di stato. Intanto il governo Morales nazionalizza una compagnia mineraria svizzera.
Nelle ultime ore sta degenerando la situazione in Bolivia dopo l’inizio di uno sciopero dei poliziotti che con la scusa di chiedere aumenti salariali stanno di fatto portando avanti rivendicazioni di tipo golpista. Il ministro della Comunicazione del governo di Evo Morales, Amanda Davila, non ha esitato a denunciare il rischio di un tentativo di colpo di stato violento.
La polizia, che nega intenzioni golpiste, ha iniziato ieri uno sciopero ufficialmente per chiedere retribuzioni più alte e ha già respinto la proposta governativa di un aumento del 7% e della concessione di incentivi e ulteriori aiuti.
Ma i poliziotti non si stanno limitando alle consuete proteste e manifestazioni. Alcune centinaia di agenti sono piombati all’interno della sede centrale dell’intelligence boliviana, e hanno devastato gli uffici, dai computer all’archivio. I poliziotti hanno appiccato il fuoco alle suppellettili anche nella sede locale dell’Interpol. E poi hanno occupato caserme e uffici pubblici nella capitale La Paz e a Cochabamba, seconda città boliviana, e anche in altre località. Inoltre la ministra Davila ha denunciato che negli ultimi giorni sono state distribuite armi a dei reparti della forza pubblica che finora erano sempre stati disarmati. Nelle immagini dell’assalto alla sede dell’Intelligence, poi data alle fiamme, si può riconoscere un certo Juan Carlos Soraide, candidato per il partito di destra Unità Nazionale alle elezioni e attualmente presidente di una associazione di ex poliziotti, mentre distribuisce armi agli agenti.
Non è la prima volta che gli ambienti di estrema destra pilotati da Washington e in parte dalla Spagna tentano di strumentalizzare le proteste di alcuni settori della popolazione o del mondo del lavoro del paese per rovesciare con la forza un governo di sinistra guidato da un indio inviso alle multinazionali straniere e alle oligarchie locali parzialmente estromesse dal potere.
Proprio nei giorni scorsi il governo della Bolivia ha formalizzato l’atto di esproprio dell’azienda mineraria Colquiri, appartenente alla compagnia svizzera Glencore. Il provvedimento è stato firmato dal vicepresidente Alvaro Garcia Linera, in assenza di Evo Morales, impegnato al summit Rio+20. Nel testo si stabilisce che lo Stato “assume il controllo del centro minerario Colquiri, così come la direzione e l’amministrazione diretta dei giacimenti”, fino ad oggi affidati a Sinchi Wayra, filiale boliviana della compagnia elvetica. “La Sinchi Wayra non c’è più, andrà via”, ha commentato il vicepresidente, spiegando che assumerà il controllo dell’azienda la Corporacion Minera de Bolivia. L’amministrazione Morales ha già espropriato una ventina di compagnie che operano in molti settori, da quello degli idrocarburi alle telecomunicazioni. Per la compagnia svizzera si tratta della terza azienda espropriata nel giro di sei anni e potrebbe non essere l’ultima. Glencore controlla altre miniere nella regione di Potosì, e in alcuni stabilimenti si registrano manifestazioni e occupazioni da parte di minatori che lavorano per la compagnia statale boliviana e che chiedono una revisione degli accordi.