Le destre già litigano, Chavismo a congresso

di Geraldina Colotti
da il manifesto, 11 dicembre 2015

In Venezuela, le destre litigano prima di entrare in parlamento. I numeri delle elezioni di domenica e la sconfitta del chavismo — 112 deputati contro 55 — consentono loro di intervenire sul quadro legislativo e costituzionale. Tuttavia, fra i 18 partiti che compongono l’alleanza Mesa de la Unidad Democratica (Mud) i numeri offrono un quadro frammentato: Primero Justicia (il partito di Henrique Capriles, ex candidato presidenziale sconfitto) risulta primo col 33%, segue Accion Democratica (Ad, il partito di Ramos Allup) con 25, Un Nuevo Tiempo (fondato da Manuel Rosales, oggi detenuto) con 18, Voluntad Popular (il partito di Leopoldo Lopez che oggi ha il volto della moglie Lilian Tintori), a seguire i più piccoli che vanno dal 4 all’1%.

Capriles, che cerca di accreditarsi come portavoce, sospinto dai grandi media europei, a El Pais ha accusato i suoi di anteporre ai progetti comuni quelli privati. I progetti comuni si condensano in un’agenda di stampo neoliberista e conservatore: «La diplomazia petrolifera deve finire basta col petrolio regalato».

Leggasi: basta interscambio sud-sud, i proventi del petrolio devono tornare nelle tasche dei grandi gruppi privati e multinazionali. Nell’alleanza — che va dall’estrema destra agli ex troskisti — è cominciata una ridda di dichiarazioni contraddittorie che ne confermano la cacofonia interna. Cifra che, per 17 anni ne ha caratterizzato il profilo. Questa volta, però, gli errori del Psuv (un grande contenitore che ha imbarcato di tutto) e il concorso esterno dei loro numerosi e potenti padrini internazionali, ha coalizzato l’interesse contro il nemico da abbattere. Certo, ha influito il fiume di denaro investito da Washington per il «ritorno alla democrazia» e quello investito dalle grandi famiglie locali.

Secondo un’indagine che ha portato al fermo di alcune persone, l’opposizione avrebbe comprato voti a 10.000 bolivar l’uno (il salario base di un operaio). Durante la sua trasmissione settimanale, il presidente dell’Assemblea, Diosdado Cabello, ha diffuso un’intercettazione fra il segretario generale di Bandera Roja, Carlos Hermoso e Alias Pollo, datata 3 dicembre: «Abbiamo già vinto, la strategia ha funzionato: 10.000 testoni a chi vota per noi, qualunque partito preferisca, semplice, voti per chi vuole», assicura Pollo: un «infiltrato nel Palazzo», lo ha definito Cabello, mentre Bandera Roja è un partito che ha diretto la guerriglia negli anni ’60–70 e che si è poi diviso fra militanti confluiti nel chavismo e altri che hanno scelto le destre. La compravendita di voti, la martellante campagna mediatica internazionale e la promessa di risolvere con la bacchetta magica del capitale i problemi economici, hanno agito nella popolazione esasperata dalle file e dagli alti prezzi indotti in spregio alle leggi.

Tuttavia, rispetto alle parlamentari del 2010 — quando i numeri evidenziavano rapporti di forza ribaltati — l’opposizione è cresciuta del 5%, ma ai calcoli chavisti sono mancati almeno due milioni di voti (5,5 milioni ottenuti a fronte dei 7, 700 milioni della Mud e un’astensione del 25,75% — quella precedente era stata del 33,55%).

A sferrare al Psuv quella «sberla salutare» di cui ha parlato il presidente Maduro, sono stati quartieri storici come il 23 Enero nella capitale, zone produttive e ricche di risorse naturali, come il Zulia e il Bolivar, l’assenza degli indigeni, che col chavismo hanno conquistato una visibilità politica mai vista prima. Un voto di protesta contro «il burocratismo, il nepotismo e la cattiva amministrazione», hanno detto 200 delegati dei movimenti sociali a Maduro. Fra loro, anche i comitati degli scomparsi della IV Repubblica, contrari – al pari del presidente – all’amnistia per i golpisti che la destra ha fretta di concretizzare. Maduro ha ricevuto i delegati in un fuori-programma che ha visto una grande manifestazione autoconvocata circondare il palazzo di Miraflores: c’erano media comunitari, organizzazioni popolari, movimenti dei «motorizados», reti femministe, afrodiscendenti, Lgbt, militari a pugno chiuso.

Chiedono a Maduro di spingere più a fondo il pedale della «rivoluzione bolivariana»: nel senso dell’autogestione e dell’autogoverno delle comuni. «Ci siamo lasciati imborghesire dai burocrati e ci siamo burocratizzati a nostra volta», hanno detto diversi manifestanti. Sentendo il clamore, Maduro ha lasciato una riunione politica a porte chiuse per salire su un camion, parlare ai movimenti e invitarli a inviare 200 delegati.

A fronte dei piani neoliberisti delle destre che puntano ad azzerare le conquiste sociali realizzate secondo le ricette del Fondo monetario internazionale e quelle del militarismo Usa, la consegna è quella delle 3R — revisione, rettifica, reimpulso — che condensano «il rinascimento» socialista.

Un ritorno a quanto aveva annunciato Hugo Chavez nel dicembre del 2012, prima di partire per Cuba e di tornare in Venezuela solo per morire, il 5 marzo dell’anno successivo. Un rinnovamento ritardato dalle emergenze seguite alla morte del leader, e che ha finito per far scoppiare il bubbone. Ieri, due ex leader storici del chavismo, critici verso l’attuale direzione – l’ex ministro di Pianificazione Jorge Giordani e l’ex responsabile della formazione politica del Psuv, Hector Navarro – hanno tenuto una conferenza-stampa, rimettendo sul tavolo i temi avanzati mesi fa in un documento di denuncia che ha fatto scalpore: «Ci sono responsabilità politiche. È venuto il momento di prendere delle decisioni e non di fare come lo struzzo sperando che Dio provveda. C’è stato un deficit di direzione collettiva. Hanno sostituito la personalità di Chavez con i suoi discorsi registrati. La storia la scrivono i vincitori, e adesso noi abbiamo perso», ha detto Giordani. Per Navarro, si è prodotto un distacco dalla base: «per l’imposizione di candidati a scapito dei leader naturali, o di famigliari dei funzionari a scapito di persone competenti e oneste in in posti delicati dell’amministrazione pubblica». Critiche moltiplicate dalle fila della formazione Marea Socialista, che aveva chiesto di correre in maniera autonoma per le parlamentari, ma è stata bocciata dal Cne per assenza di requisiti. «Alla lunga, i programmi sociali si sono svuotati di contenuto politico, a scapito dell’assistenzialismo«, dice José, un funzionario chavista che si occupa delle relazioni col pubblico. Via via che aumentava «la domanda di benefici, le misiones perdevano il loro potenziale di auto-emancipazione sociale, lasciando spazio a chi voleva utilizzarle per i suoi traffici clientelari. Tanta gente ha indossato la camicia rossa, pur rispondendo ad altri interessi. Lo si è visto dopo la vittoria dell’opposizione, festeggiata in molti condomini di case popolari assegnate dal governo». Maduro ha chiesto a tutto l’esecutivo di rimettere gli incarichi e ha annunciato un rinnovamento profondo. Da ieri, è in corso il congresso straordinario del Psuv che produrrà un bilancio ufficiale.