Il fascismo che minaccia l’America Latina

di Hugo Moldiz Mercado* | da www.rebelion.org

guatemalan-student-protestsTraduzione di Marx21.it

Il progetto alternativo che si sta profilando per contrastare l’onda rivoluzionaria in America Latina è il fascismo. Quarant’anni dopo il golpe militare in Cile contro il socialista Salvador Allende, si è cominciato a registrare molti sintomi di ciò che stanno preparando l’imperialismo e la destra internazionale.

A più di un decennio e mezzo dall’instaurazione di governi rivoluzionari e progressisti in America Latina, il cui punto di partenza fu il Venezuela dopo la vittoria elettorale nel 1998, uno dei pericoli più importanti che ci minaccia è il fascismo.

La minaccia del fascismo si registra a quattro decenni dal golpe militare perpetrato contro la via cilena al socialismo che non solo cacciò dal governo Salvador Allende e introdusse un sistema estremamente conservatore in quella società, ma che inaugurò, con il patrocinio degli USA e della CIA, un’epoca oscura per l’America Latina, di cui l’Operazione Condor ha rappresentato la massima espressione.


Non c’è dubbio che in entrambi gli scenari del fascismo, come progetto politico-ideologico e/o come regime statale, si ricorrerà a metodi e pratiche orientate a reprimere in tutti i modi possibili le lotte popolari e gli orizzonti di emancipazione, ma anche a boicottare in diverse forme gli stati rivoluzionari. Quanto accaduto con l’Honduras dal golpe militare del 2009 e in Paraguay dal golpe del congresso del 2012, ne rappresenta un esempio eloquente.

Serva l’esempio di questi due paesi latinoamericani per constatare che il fascismo cerca, come nella prima metà del XX secolo in Europa e negli anni 70 in America Latina, di costruire correnti di opinione pubblica che facciano leva sulla paura e la delusione della gente. Si evoca il fantasma del comunismo che espropria le banche, liquida la proprietà privata, nega le credenze religiose, conculca le libertà civili e politiche, e fomenta la violenza.

I governi di sinistra e progressisti dell’America Latina presentano in continuazione esempi della volontà di ampliare la democrazia e di creare condizioni di uguaglianza sociale senza assoggettare nessuno, ma la paura indotta continua ad impedire che ampi settori della società partecipino a questo processo.

Una breve e necessaria parentesi. Non bisogna confondere diverse cose: primo, la dittatura non è uguale a fascismo. Può esistere un regime duro, militare o civile, che sia una dittatura, ma ciò non significa necessariamente che sia fascista. Secondo, può presentarsi un governo emerso dalle urne che inauguri un governo e regime fascista, ma non ogni governo di destra che nasce dalla democrazia rappresentativa è per definizione fascista. Questo tipo di affermazioni da parte di certi settori di sinistra crea solo confusione e a lungo termine discredita le forze rivoluzionarie.

Non bisogna dimenticare che la democrazia rappresentativa borghese, per definizione, stabilisce, sebbene nei suoi discorsi generi illusioni tra la popolazione, limiti strutturali all’uguaglianza e alle libertà sostanziali. La democrazia borghese è una forma di dominio di un blocco sociale sopra l’altro, sulla base dell’uso di dispositivi statali come la polizia e le forze armate, ma anche dei suoi apparati ideologici. Lo Stato democratico capitalista si presenta come il rappresentante degli interessi generali di tutti, ma nei fatti sintetizza gli interessi di un gruppo di privilegiati.

Sull’altra faccia della stessa medaglia troviamo regimi militari che sostengono il loro dominio sulla base dell’assoluta repressione piuttosto che sul consenso sociale di alcuni settori della popolazione. Sono dittature sanguinarie che si reggono solo sul potere del fuoco.

In America Latina, nei decenni 60, 70 e 80, abbiamo sperimentato dittature militari in senso stretto e in altri paesi alcuni chiari regimi fascisti che hanno anche lasciato nella società, nonostante la sconfitta dei governi di questo tipo, pratiche e modi di pensare che contaminano anche ora i regimi democratici. Sono i casi di Cile e Paraguay.

Insomma, possiamo dire che il fascismo è un progetto politico-ideologico che indipendentemente dalla sua origine, democratica o militare, si regge su un’ampia base sociale che è fautrice del taglio ai livelli più alti, anche oltre ciò che accade normalmente nelle democrazie borghesi, dei diritti politici e civili, e che ricorre, quindi, alla repressione aperta, coperta o a entrambe, a seconda del grado di organizzazione e resistenza dei gruppi con cui si scontra.

Il fascismo, a differenza di ciò che alcuni teorici sostengono sul fatto che non sia né capitalista né socialista, è la variante politica utilizzata dal capitalismo nella sua fase imperialista quando si sente minacciato strategicamente. E fa leva su ampi settori sociali che si oppongono, per diverse ragioni, al progetto di emancipazione. Ciò accadde nell’Europa dopo la I Guerra Mondiale e l’espansione delle idee socialiste dopo la vittoria della prima rivoluzione anticapitalista del secolo XX in Russia. Ciò si constata ora in America Latina, dove una chiara tendenza fascistoide pretende di fronteggiare le rivoluzioni e i processi progressisti. Forse di tutti questi processi, la rivoluzione più minacciata è quella venezuelana.

La base sociale del fascismo si costruisce su due pilastri complementari: il primo, sulla paura che esiste in ampi settori della società di un progetto comunista o non capitalista. Per questo, l’uso degli argomenti religiosi, del patriottismo esacerbato, del pregiudizio razziale ed etnico-culturale e di altri discorsi sufficientemente moralistici borghesi fanno parte delle pratiche e dei modi di pensare fascistoidi. E’ ovvio affermare che questo rifiuto ostinato del cambiamento è alimentato da strumenti di comunicazione di massa o da tradizioni famigliari e di gruppo sociale.

Un altro dei pilastri del fascismo, a cui i governi rivoluzionari devono prestare molta attenzione, è rappresentato dall’alto livello di frustrazione di settori sociali per le aspettative generate dalla rivoluzione e dalle defezioni indotte “da fuori” da parte della controrivoluzione. A volte per la mancanza di lavoro politico sufficiente a spiegare le difficoltà che deve affrontare il cambiamento in piena epoca dell’imperialismo e anche per il proporre obiettivi irraggiungibili a breve termine, si genera una massa di disillusi – che non è la stessa cosa di massa critica – , i quali per il loro basso livello di educazione politica si spostano verso l’altro estremo: la controrivoluzione. Vale a dire, si tratta di settori sociali che dal fanatismo per la rivoluzione passano rapidamente al fanatismo per la controrivoluzione.

Se guardiamo ai settori sociali, la situazione attuale appare diversa da quella registrata in Europa, dove i contadini e la piccola borghesia costituirono insieme ad altre frazioni della borghesia il blocco sociale fascistoide. Nell’America Latina del XXI secolo, con un movimento contadino al potere (Bolivia) e con altri che resistono ai governi di destra, il progetto fascista sta concentrando i suoi sforzi su frazioni della piccola borghesia, ma anche su giovani e donne del campo popolare e indigeno.

Nella situazione storica concreta, l’ultradestra sta sviluppando una controffensiva di carattere fascistoide contro i processi rivoluzionari dell’America Latina e particolarmente contro i paesi membri di ALBA. La situazione del Venezuela merita speciale considerazione dal momento che il progetto fascistoide, che già puntava a impadronirsi del potere con il colpo di stato dell’aprile 2002, sta premendo l’acceleratore dopo la morte del presidente Hugo Chavez e facendo leva sulle presunte debolezze del presidente Nicolas Maduro. L’imperialismo si è gettato a capofitto ed è incontestabile che stia agendo con operatori come Henrique Capriles e Alvaro Uribe. E’ in questo contesto che occorre leggere il gigantesco blackout elettrico dello scorso 3 settembre e i preparativi di assassinio del presidente Maduro pianificati dalla Colombia. Non esiste, dopo la rivoluzione cubana, un’altra rivoluzione così assediata fin dal principio come quella venezuelana.

La controffensiva di destra in Venezuela cerca di consolidare il blocco sociale che, per paura o per condizione di classe, si oppone alla rivoluzione bolivariana dall’inizio. Ma cerca anche di estendersi proponendosi di conquistare segmenti sociali disillusi (o che sono stati indotti alla disillusione) dalla rivoluzione. A questo progetto fascista contribuisce, purtroppo certa intellettualità e militanza di sinistra che con l’esercizio della sua “libertà di critica” non è capace di distinguere una mela da una papaya.

Il governo bolivariano lo sa e non è un caso che il presidente Maduro e il blocco sociale bolivariano abbiano anche deciso di premere l’acceleratore per approfondire la rivoluzione. Il “governo della piazza” e l’implacabile lotta contro la corruzione sono due misure che vanno in questa direzione e che hanno portato a un livello di approvazione di circa il 50% per l’erede di Chavez.

Da questo pericolo non sono immuni, naturalmente, né la rivoluzione boliviana né la rivoluzione ecuadoriana o nicaraguense. Le ultra-destre di questi paesi, in evidente collaborazione con altre del continente e con l’appoggio dei Neocons degli Stati Uniti, allestiscono campagne contro i processi di cambiamento. La controffensiva fascista attraverso la costruzione di correnti di opinione contrarie al cambiamento è indirizzata a presentare Bolivia e Venezuela come “narco-stati”, “stati corrotti” e “stati totalitari”, in definitiva “stati falliti”.

L’America Latina è territorio di conflitto tra le forze di emancipazione e le forze imperiali. Il conflitto è quotidiano e intenso a tutti i livelli. Una sconfitta strategica delle prime non condurrà il pendolo verso le forze democratico-borghesi, ma verso le forze di ultra-destra portatrici di un progetto fascistoide. L’esperienza di governi neoliberali con democrazie ristrette e controllate non è ciò che l’imperialismo è disposto a ripetere, proprio perché non gli ha dato il risultato sperato in passato e per l’esistenza di un momento storico caratterizzato dal risveglio si “quelli che stanno sotto”, che sono pronti a costruire il proprio destino con le proprie mani, nel solco di una lunga storia. Questa è la grandezza del pericolo, ma anche delle speranze che ci accompagnano.

La risposta al fascismo non è abbassare l’intensità dei processi rivoluzionari presumendo così di non provocare l’imperialismo, ma neppure l’adozione di misure infantili sul vuoto. Forse, parafrasando Fidel, la rivoluzione è possedere il senso storico di ciò che si deve fare o non fare in ogni momento.

*Hugo Moldiz Mercado, boliviano, è avvocato, docente universitario e giornalista esperto di questioni internazionali e fa parte della Red de Intelectuales y Artistas en Defensa de la Humanidad