Dove sono i gesti di pace del governo colombiano?

Intervista a Carlos Lozano* | da “Agenda Colombia-Brasil”

carloslozanoTraduzione a cura di Marx21.it

*Carlos Lozano è direttore di “La Voz”, giornale del Partito Comunista Colombiano. Fa parte dell’organizzazione “Colombiane e Colombiani per la Pace”. Abbiamo tradotto ampi stralci della sua intervista concessa durante un suo viaggio in Brasile

Come valuta le potenzialità di un processo di pace in Colombia?

Carlos Lozano: Ciò che è chiaro è il fatto che la risoluzione del conflitto sociale e armato, che esiste da più di cinque decenni, non avverrà se non attraverso la via politica, la via del dialogo, sulla base di soluzioni democratiche, di un’apertura sociale, progressista, che sradichi le cause del conflitto, radici storiche e quelle più recenti che riguardano il tessuto sociale e la precarietà della democrazia in Colombia.

Storicamente, numerosi sforzi sono stati fatti in seno alla guerriglia e alla sinistra per aprire la porta al dialogo, alla risoluzione democratica del conflitto. Ma la classe dominante ha sempre frapposto ostacoli, opponendo resistenza alle sue trasformazioni di fondo. Ciò che essa vuole, è una pace che cada dal cielo, vogliono la smobilitazione della guerriglia, ma senza produrre le trasformazioni necessarie al rafforzamento della democrazia e della giustizia sociale.

L’oligarchia colombiana continua ad opporre resistenza a un dialogo che presupponga una pace con giustizia sociale?

CL: Sotto questo punto di vista, le cose non sono cambiate molto in Colombia. E’ come se la storia si fosse fermata. L’oligarchia colombiana continua a resistere all’idea di un dialogo che comporti una pace costruttiva, una pace con democrazia e giustizia sociale. Ma non nutro il minimo dubbio sul fatto che a medio termine vada ad imporsi un’uscita attraverso la via del dialogo, che emerga uno spazio per il dialogo. E’ lo scenario prevedibile dei prossimi mesi, poiché, non c’è dubbio, dopo più di mezzo secolo di conflitto, che questa guerra, degenerata, non lasci altre alternative al governo come all’insurrezione che la ricerca di una possibilità di avvicinamento, di superamento delle reticenze reciproche, affinché, con la collaborazione della società colombiana, e perché no, della comunità internazionale, si possa aprire un dialogo sulla base di un’agenda politica e sociale di trasformazioni concrete.

Ma alla classe dominante conviene la pace…

CL: La classe dominante colombiana, l’oligarchia colombiana ha interesse alla pace poiché la maggiore quantità delle risorse pubbliche, delle risorse dello Stato, al di là dell’aiuto accordato dagli Stati Uniti e da molti altri paesi, è destinato alla guerra. Si tratta di circa l’8% del PIL, l’equivalente di ciò che il paese investe nel quadro del proprio bilancio per i settori sociali, risorse che potrebbero dunque essere meglio utilizzate per soddisfare i bisogni sociali, in un paese che registra il triste “record” di essere il paese del terzo mondo con le disuguaglianze più forti, un paese in cui esistono gli indici più elevati di concentrazione della terra e dove esiste un pugno di gruppi economici, cinque o sei gruppi che monopolizzano tutta la produzione industriale e che realizzano profitti colossali nel settore finanziario. E’ una situazione insostenibile. 

Una tale situazione, anche per i gruppi dominanti, diviene una sorta di ostacolo alla crescita dell’economia. Ecco perché abbiamo bisogno della pace, ma la pace con la democrazia, con la giustizia sociale. Non si può pensare che occorra la pace per mantenere lo status quo. 

Io non credo che stiamo entrando in un clima più favorevole. Finché il conflitto persisterà, noi avremo di fronte situazioni tragiche, scontri, situazioni riprovevoli a livello nazionale e internazionale. Ma, in ogni modo, penso che stiamo agendo in un quadro nuovo, in una nuova epoca della vita politica nazionale, dove la questione della pace e della guerra viene ad occupare il primo piano dell’agenda del governo, dei partiti politici, delle organizzazioni sociali e pure della comunità internazionale che presta attenzione al processo colombiano.

Ora, con la consegna unilaterale dei prigionieri di guerra è emerso in primo piano anche il tema dei prigionieri politici e dei prigionieri di opinione. Come stanno le cose?

CL: E’ curioso che il governo colombiano riconosca l’esistenza del conflitto dopo che il governo Uribe non l’aveva riconosciuto. Santos ha fatto un passo apparentemente audace riconoscendo che esiste un conflitto in Colombia. Ma il riconoscimento del conflitto ha anche delle implicazioni: ci sono dei combattenti, mentre altri non sono combattenti; occorre stabilire il principio della distinzione tra gli uni e gli altri. Occorre applicare il diritto internazionale umanitario e occorre riconoscere che la sola via per la risoluzione del conflitto è la via politica del dialogo e non quella dello scontro armato. Ma il governo, anche se ha ammesso il conflitto, non si accinge a questo passo. E ciò a cui stiamo assistendo è che il governo non riconosce l’esistenza dei prigionieri politici, dei prigionieri di guerra. Che esistono lo sappiamo, poiché ci sono dei combattenti, ci sono dei prigionieri che sono prigionieri di coscienza, prigionieri di opinione, compagni arrestati nel quadro delle loro attività sociali, sindacali; aderenti a partiti di sinistra che vengono trascinati davanti ai tribunali, accusati in quanto simpatizzanti e collaboratori della guerriglia. Li si persegue per ribellione, che è un delitto tipicamente politico, quando non si ricorre ad altri tipi di delitti, ad accuse inventate per dare più forza a processi montati di tutto punto. E’ una questione che il governo non può eludere, soprattutto nel momento in cui la guerriglia fa gesti umanitari.

I gesti di pace della guerriglia delle FARC…

CL: La guerriglia ha derogato alla “Legge 002” che prevedeva requisizioni economiche. Ha liberato 10 membri delle forze dell’ordine, gli ultimi ad essere suoi prigionieri, mentre, nel corso degli ultimi anni, degli ultimi decenni, essi sono stati considerati prigionieri di guerra. Si tratta dunque effettivamente di gesti di pace che aiutano a diminuire l’intensità del conflitto.

E i gesti di pace del governo…

CL: Dove sono i gesti di pace del governo quando non vuole neppure riconoscere l’esistenza di prigionieri politici, mentre persevera nella stessa politica neoliberale di liquidazione delle conquiste dei lavoratori, del popolo e di degradazione delle condizioni di vita. Mentre proseguono le privatizzazioni, l’offensiva contro la sinistra, le violazioni dei diritti dell’Uomo, le esecuzioni che le Nazioni Unite definiscono extragiudiziali, che non sono nient’altro che ciò che noi chiamiamo “falsi positivi”. Allora, dove sono i gesti di pace del governo? Ecco ciò che noi diciamo.

E’ per questo che, come Colombiani e Colombiane per la Pace abbiamo detto al governo che il minimo che può fare, una volta acquisite le liberazioni, è permettere le visite di missioni umanitarie internazionali nelle prigioni. Potrebbero così verificare sul posto qual è lo stato dei prigionieri politici e dei prigionieri di guerra in Colombia. E’ molto importante che il paese e la comunità internazionale ne prendano coscienza, non solamente come problema di agitazione e di propaganda, ma perché il governo sia costretto a far cambiare le cose nelle prigioni. Occorre umanizzare le prigioni colombiane, che le persone incarcerate possano avere un minimo di dignità, ma non è solamente il caso dei prigionieri politici ma anche di tutti gli altri. Le prigioni sono delle segrete che si sono trasformate in spazi dove i diritti dell’Uomo vengono violati. Sono le Nazioni Unite e la Procura della Repubblica che lo dicono, non sono dunque solo discorsi della sinistra. E’ venuto il momento che il governo affronti tale questione e dia prova di gesti di pace. Santos sostiene di avere nelle mani le chiavi della pace, ma esse non funzionano, e neppure sembra sia disposto a fare gesti identici a quelli che sta facendo in questo momento la guerriglia colombiana.

Rispetto la solidarietà politica internazionale, che ruolo pensa potrebbe svolgere il Brasile per esempio per contribuire a un processo di pace e a risolvere la situazione che sta conoscendo la Colombia?

CL: Fondamentalmente direi che i contributi potrebbero essere di tre tipi: sostegno alle organizzazioni sociali colombiane che difendono la pace, e non solo “Colombiani e Colombiane per la pace” che è, probabilmente, la più nota, ma anche altre, una moltitudine di organizzazioni che operano in tal senso e che occorre sostenere. La comunità internazionale deve sostenerle e far sentire la loro voce, quella dell’esigenza di porre un termine alla guerra in Colombia e di aprire uno scenario di pace, di dialogo, di fuoruscita politica dalla crisi colombiana. In secondo luogo, la questione dei diritti dell’Uomo in Colombia, dal momento che continuano ad esserci violazioni di questi diritti con persone spostate con la forza, la questione dei dirigenti di sinistra e sindacali minacciati, che subiscono attentati e persecuzioni da parte dei servizi segreti statali. Ci sono circa 9.000 prigionieri politici in Colombia, secondo le organizzazioni di solidarietà, che vengono nascosti agli occhi del mondo, poiché non c’è nessuno che parli della loro situazione, come se non esistessero. Ma essi si trovano veramente in una situazione di grande precarietà. In questo momento sono in sciopero della fame, per attirare l’attenzione del paese e dell’estero sulla loro situazione, chiedendo a gran voce visite umanitarie

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