di Giuseppe Amata
- Si parla e si scrive molto negli ultimi mesi (oltre a quanto si è detto nelle Conferenze internazionali), di “transizione ecologica”, “transizione energetica”, “irresponsabilità dei governi cinese e indiano” per la ritardata chiusura delle centrali a carbone, come se tutto il problema dell’inquinamento termico, ambientale e territoriale (le tre “forme” di inquinamento stanno in interazione, nel senso che una influenza le altre) fosse solo quello (ci siamo mai chiesti, ad esempio, qual è in estate l’effetto del riscaldamento termico delle città dovuto agli impianti di aria condizionata?) ai fini della riduzione delle emissioni di CO2 e SO2 per diminuire l’effetto serra ed evitare il riscaldamento globale non superiore a 1,5 C entro il 2050. E non si analizzano, invece, le cause profonde che lo hanno scatenato.
- In un mio precedente articolo su marx21, ho cercato di spiegare come l’inquinamento termico, ambientale e territoriale è il prodotto del modo di produzione capitalistico. Infatti, nella formazione sociale schiavistica c’era uno sfruttamento selvaggio della forza-lavoro, la quale spesso lavorava incatenata e la notte veniva sigillata dentro scantinati chiamati “galere”; così come nella società feudale i servi della gleba erano costretti a lavorare dall’alba al tramonto, vivendo di stenti e in misere capanne di paglia e fango o di legname oppure in casotti di pietrame a secco raccolto sul terreno e non si potevano allontanare dai recinti delle proprietà dei feudatari; ma non si determinava riscaldamento globale. Esistevano ovviamente in quelle formazioni sociali forme di inquinamento dovute agli ambienti malsani, alla commistione tra uomini e animali che determinavano grandi epidemie, a scarichi cloacali urbani, delle concerie, delle tintorie e delle officine che lavoravano il ferro nei torrenti e nei fiumi. Ma quelle forme d’inquinamento, che interessavano i territori urbani e rurali, interagivano non massicciamente con gli ecosistemi naturali, poiché la consistenza dei rifiuti non era eccessiva e la natura riusciva a smaltire nel medio termine. Se alcuni ecosistemi venivano intaccati, anche per l’eccessiva distruzione dei boschi (i romani hanno spogliato la Sicilia per costruire le loro navi e coltivare il grano che alimentava la città di Roma cresciuta enormemente e con oltre un milione di abitanti: patrizi, plebei e soprattutto schiavi) e quindi per il danneggiamento delle falde idriche oppure per gli incendi che scoppiavano gli effetti sull’inquinamento termico erano di scarsa consistenza.
- A quanto già scritto nel precedente articolo, desidero esplicitare ulteriori precisazioni. Poniamoci anzitutto una domanda: chi crea la ricchezza? Marx nella Critica al programma di Gotha afferma che la fonte dei valori d’uso è rappresentata sia dal lavoro che dalla natura (1) e se il lavoro si fermasse, anche per alcune settimane in tutto il mondo, la civiltà si arresterebbe e l’umanità tornerebbe indietro. Engels in Dialettica della natura è andato ancora più avanti spiegando l’interazione tra evoluzione della natura ed evoluzione della specie umana attraverso il lavoro (2). Il pensiero scientifico (e il marxismo-leninismo con gli ulteriori sviluppi teorici racchiusi da tutte le esperienze di trasformazione sociale delle società è parte integrante di esso) negli ultimi centocinquant’anni ha acclarato queste due geniali intuizioni spiegando in dettaglio come l’evoluzione della natura nel nostro pianeta avviene grazie ai processi di fotosintesi clorofilliana da parte delle piante dopo aver catturato la radiazione solare e ai successivi trasferimenti energetici in quantità decrescente da un livello trofico ad un altro, dando vita alla cosiddetta catena alimentare e se le specie animali (e quindi l’uomo, inserito nel contesto di dati rapporti di produzione, come ultimo anello della catena) che insistono in un dato livello trofico consumano tutta l’energia trasferita dal livello trofico precedente e non cedono alcuna quantità energetica al livello trofico successivo si interrompe la catena alimentare. L’evoluzione della specie umana è dunque assicurata dalle trasformazioni produttive ad opera del lavoro; ma non tutte queste trasformazioni sviluppano le forze produttive, perché l’assoggettamento della forza-lavoro da parte dei rapporti di produzione capitalistici in direzione dell’accumulazione privata che avviene producendo valori di scambio, distrugge in parte le forze produttive, aumentando i fenomeni di disinformazione, disordine e inquinamento con la conseguente distruzione anche degli ecosistemi terrestri e marini.
- Quindi, il risultato materializzato del lavoro lo possiamo dividere in: a) oggetti socialmente utili che fanno crescere il livello di informazione e di ordine; b) oggetti socialmente inutili che, al contrario, determinano disinformazione e disordine sociale ed ambientale. Siccome l’uomo è una macchina biologica, ha il potere nelle sue mani per continuare, nel contesto dell’evoluzione della natura, quella della sua specie, per la quale vale quanto diceva Darwin (3) per l’evoluzione di tutte le specie: la crescita illimitata di una specie crea le condizioni della sua distruzione. Questo significa che bisogna controllare sia la crescita della popolazione assoluta (gli abitanti di tutto il mondo) e di quella relativa (lavoratori produttivi) e instaurare un corretto rapporto tra lavoratori produttivi e popolazione assoluta, sia la crescita del lavoro materializzato socialmente utile che forma i valori sociali, cioè beni materiali di utilizzazione collettiva. La ricerca scientifica e tecnica, pertanto, deve essere finalizzata alla produzione dei valori sociali, altrimenti si accelera la distruzione delle forze produttive e in ultima analisi si determinano i fenomeni che chiamiamo riscaldamento globale, inquinamento ambientale (degli eco-sistemi terrestri e marini) e inquinamento territoriale (città e campagne coltivate).
- L’uomo è dunque una macchina biologica perché produce più energia di quanta ne ha di bisogno per lavorare e vivere: in un giorno da almeno 2.500 Kcal a più di 3000 Kcal per i lavori più pesanti. A differenza delle macchina termiche, le quali, come ha spiegato Sadi Carnot nella seconda metà dell’Ottocento, producono meno energia di quanta ne consumano (4). Ovviamente le macchine aiutano l’uomo e lo emancipano dai lavori pesanti e in ultima analisi determinano un notevole incremento della produttività del lavoro e senza di esse non ci sarebbe stato l’attuale livello di civilizzazione. Certo, con l’innovazione tecnologica si può aumentare il rendimento di una macchina termica, ma non si potrà mai ottenere, per il secondo principio della termodinamica, un rendimento uguale ad 1, mentre come abbiamo già detto il rendimento energetico dell’uomo è superiore ad 1.
- Da tutte queste considerazioni ne discende che, quando l’energia fisica o intellettuale erogata è materializzata in oggetti socialmente utili e quando si rispetta la legge dell’evoluzione decrescente dei trasferimenti energetici (il che implica da parte dei rapporti di produzione l’utilizzazione solo di una parte della bio-massa disponibile), nonostante il rendimento di una macchina termica inferiore ad 1, il rendimento complessivo dei tre fattori è superiore all’unità proprio in seguito all’utilizzazione parziale della biomassa e alla creatività del lavoro. Solo in tal modo si permette sia lo sviluppo economico-sociale, sia la salvaguardia delle condizioni naturali d’esistenza, riducendo il fenomeno dell’inquinamento termico e del disordine territoriale che tanto ci preoccupa e che se non risolto ci porta ai cosiddetti punti di biforcazione, nell’accezione di René Thom (5), dai quali o si imbocca la strada per continuare lo sviluppo o si imbocca quella della catastrofe. Procedendo nella seconda direzione è sempre più difficile ritornare al punto di biforcazione per imboccare l’altra strada e quindi si va dritti verso la “catastrofe”. In uno studio del 1980 (e poi sviluppato ulteriormente in diversi lavori scientifici), il fisico Salvatore Notarrigo scrivendo la prefazione ad un mio libro (Il valore sociale) (6), dopo aver proceduto all’estrapolazione nel tempo dei dati sulle fonti energetiche conosciute e sui consumi energetici della popolazione mondiale, individuava come inizio attendibile del tempo di non ritorno un anno che stava tra il 2012 e il 2035. Quindi secondo questa ipotesi ci siamo dentro. C’è però da dire in riferimento alla teoria di Thom e a quanto scritto da Notarrigo che per i cambiamenti climatici l’ultima parola non spetta all’uomo ma alla natura. L’uomo inserito in rapporti di produzione che violano le leggi di sviluppo delle condizioni di esistenza, può essere trascinato da tali rapporti ad annullarsi come specie. Ma, sarà la natura a stabilire, in ultima analisi, attraverso la selezione, quali specie si adatteranno e quali, invece, soccomberanno nelle nuove condizioni di esistenza. Fra le specie che soccomberanno ci può essere pure la specie umana, a seconda dello sconvolgimento degli eco-sistemi, della distruzione parziale o totale dei territori (città e campagne coltivate) e soprattutto a seconda della capacità delle masse di rovesciare i vecchi rapporti di produzione per crearne dei nuovi. Come finirà, oggi non si può stabilire con certezza, pur comprendendo le linee di tendenza di certi fenomeni a quali conseguenze portano.
Note bibliografiche:
1) K. MARX, Critica del programma di Gotha, Edizioni in lingue estere, Mosca, 1947.
2) F. ENGELS, Dialettica della natura, Editori Riuniti, Roma, 1978.
3) C. DARWIN, L’evoluzione, Newton, Roma, 1994.
4) S. CARNOT, La potenza del fuoco, Boringhieri, Torino, 1992.
5) “Io sono per una netta separazione tra scienza e tecnica. Soprattutto da quando sono entrato nell’Accademia e vedo il ruolo che svolgono gli scienziati impegnati in attività industriali e tecnologiche, un ruolo che io considero piuttosto negativo. Si tratta infatti di attività che hanno un grosso peso economico-politico e che inducono i ricercatori ivi coinvolti a far leva proprio su questo fatto per perseguire i loro scopi. (…) La teoria delle catastrofi non è una teoria scientifica nel senso usuale del termine. Non è cioè una teoria scientifica come lo sono, per esempio, la teoria della gravitazione di Newton, la teoria dell’elettromagnetismo di Maxwell o anche la teoria dell’evoluzione di Darwin. (…) Il termine <<teoria>> va inteso in un senso molto particolare: direi piuttosto che si tratta di una metodologia, se non di una sorta di linguaggio, che permette di organizzare i dati dell’esperienza nelle condizioni più varie. (…) Ci si sforza di descrivere le discontinuità che si possono presentare nell’evoluzione del sistema” (R. THOM, Parabole e catastrofi, Il Saggiatore, Milano, 1980 pp. 9, 53, 54).
6) S. NOTARRIGO, Introduzione a G. AMATA, Il valore sociale, CULC, Catania, 1980.