Il regime ruandese di Kagame, alleato degli Stati Uniti, soffia sul fuoco della guerra civile nel Kivu
La guerra nei due Kivu nell’est del Congo ha conosciuto una recrudescenza negli ultimi mesi. Ai conflitti legati alla presenza delle Forze democratiche di liberazione del Ruanda (FDLR), degli hutu ruandesi esiliati in Congo – ad esempio nella notte tra il 13 e il 14 maggio scorso (LINK), in un villaggio del Sud Kivu nell’est della RDC, 32 persone di cui 6 bambini sono state selvaggiamente massacrate dalla milizia ribelle hutu – si è aggiunta nel Nord Kivu la guerra che oppone fin dall’inizio l’esercito congolese (FARDC) agli ammutinati del Movimento del 23 marzo (M23) diretto dal colonnello Sultani Makenga, ex numero due del generale Bosco Ntaganda (perseguito dalla Corte Penale Internazionale) e composto da ex ribelli tutsi del Congresso nazionale per la difesa del popolo (CNDP) di Laurent Nkunda.
I combattimenti hanno provocato lo sfollamento di migliaia di abitanti della regione, con l’abituale fardello di morte, violenze, saccheggi, arruolamenti di bambini-soldati e i decessi provocati dallo sfinimento delle persone sfollate (in particolare dalle epidemie). Nuovi scontri hanno in particolare opposto il 14 giugno (LINK) le Forze armate della Repubblica democratica del Congo (FARDC) all’M23, in questa provincia. L’M23 recentemente creato rivendica l’applicazione degli accordi del 23 marzo 2009 tra i ribelli del CNDP e le autorità congolesi che prevede in particolare la trasformazione del CNDP in formazione politica e l’integrazione dei suoi elementi nelle istituzioni politiche locali e nazionali, come anche nell’esercito.
Ci sono anche timori per la destabilizzazione della vicina provincia Orientale (http://www.afriquinfos.com/articles/2012/4/25/lonu-craint-possible-rebellion-ituri-201337.asp) , dove una ribellione ituri potrebbe esplodere agli ordini di Bosco Ntaganda. I Mai-Mai Simba e L’Esercito della resistenza del signore vi sono già radicati (http://www.ipisresearch.be/dbpdfs/20100603_Cartographie_Orientale.pdf).
Una volta ancora le ingerenze straniere non sono assenti in questo conflitto, e il presidente ruandese Paul Kagame, alleato degli Stati Uniti, è in prima fila.
Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha chiesto il 16 giugno (http://www.rfi.fr/afrique/20120616-rebellion-rdc-etau-resserre-autour-rwanda) un’inchiesta sui sostegni esteri di cui beneficiano i gruppi armati nell’est della Repubblica democratica del Congo. Si sospetta il Ruanda, senza citarlo direttamente, di essere implicato nel sostegno ai gruppi armati che destabilizzano il paese nella regione del Kivu. Il difensore dei diritti dell’uomo congolese, Dimas Kitenge (http://www.afrik.com/breve42385.html) sostiene su RFI che il Consiglio di Sicurezza dovrebbe condannare chiaramente il Ruanda: “Dal momento che abbiamo avuto sempre più prove che i soldati ruandesi sono là, sarebbe estremamente importante che la comunità internazionale adotti un linguaggio chiaro nei confronti di tutti quei paesi, compreso il Ruanda, che intendono portare turbamento alla pace”.
Secondo Salem News (http://salem-news.com/articles/june132012/kagame-uganda-rf-jf-.php) Kagame utilizza l’Uganda come retroterra per infiltrare i criminali di guerra dell’M23, mettendoli al riparo dalle inchieste dell’ONU. Paul Kagame, vecchio amico di George Bush, gode di appoggi importanti negli Stati Uniti, dove viene spesso invitato per ricevere diverse onorificenze, cosa che suscita la mobilitazione dei suoi oppositori, per impedire la consegna dei premi (http://salem-news.com/articles/may032012/kagame-penn-jf.php). Nel 2009, in un intervento pubblicato in gennaio nel New York Times, ripreso nella rubrica Kiosque di Jeune Afrique n° 2502-2503, l’ex segretario di Stato aggiunto incaricato degli Affari africani di George Bush, Herman Cohen (http://democratiechretienne.org/2012/05/16/nord-kivu-paul-kagame-le-pompier-pyromane/) sostiene che il ristabilimento dell’autorità di Kinshasa nel Nord e Sud Kivu equivarrebbe per il regime ruandese a “rinunciare” a “risorse” che rappresentano buona parte del suo “prodotto interno lordo”. Secondo lui, è importante tenere conto della “dimensione economica” del conflitto. Di qui l’idea di “un progetto di Mercato comune” che comprenda sei paesi della sotto-regione detta dei Grandi Laghi. Vale a dire: il Burundi, la RD del Congo (l’Est), il Kenya, l’Uganda, il Ruanda e la Tanzania. Lo stesso Sarkozy (http://www.lefigaro.fr/international/2011/09/12/01003-20110912ARTFIG00648-la-franceet-le-rwanda-tournent-la-page.php) aveva offerto copertura alle ambizioni del Ruanda sul Kivu, lanciando un politica di riavvicinamento a Kigali.
La giornalista belga Colette Braeckman (http://blog.lesoir.be/colette-braeckman/2012/06/15/nord-kivu-une-tragedie-en-trois-actes-et-quelques-questions/) precisa anche come il ruolo delle ONG nel chiedere l’incriminazione di Bosco Ntaganda, accomunandolo a Kabila, abbia contribuito a incendiare la situazione nel Kivu.