di Tony Busselen | da www.ptb.be
Traduzione a cura di Marx21.it
E’ soprattutto tra i vicini algerini che c’è molto malcontento per l’intervento francese in Mali, dopo che l’approccio algerino alla presa degli ostaggi nel giacimento di gas di In Amenas è stato criticato qua e là nella stampa europea.
Il 20 gennaio, il quotidiano algerino “El Watan” riprendeva dettagliatamente l’analisi del giornale americano “Foreign Policy” (FP), per difendere questo modo di comportarsi. FP fa notare che, già nel 2011, l’Algeria aveva previsto che i bombardamenti della NATO in Libia avrebbero portato all’affondamento dello Stato libico e che importanti quantità di armi sarebbero cadute nelle mani dei terroristi che non avrebbero tardato a destabilizzare la regione. L’Algeria si era inquietata anche, l’anno scorso, per il fatto che un approccio militare alla situazione nel Nord del Mali avrebbe comportato il rischio enorme di vedere degenerare il conflitto e di condurre verosimilmente ad attentati terroristici islamisti in Algeria. “In tal modo, afferma la medesima fonte, la comunità internazionale è indirettamente responsabile di ciò che è avvenuto là (nel giacimento di gas) e non ha le carte in regole per dire all’Algeria come avrebbe dovuto agire”.
I giornali algerini sono molto critici nei confronti della Francia. Il 6 gennaio, ad esempio, il “Quotidien d’Oran” pubblicava un articolo al vetriolo con il titolo “Lo Stato in guerra”. Il giornale constata come si stia assistendo a un intervento francese dietro l’altro: “La Costa d’Avorio, poi la Libia e ora il Mali, con le sue armi alla frontiera dell’Algeria e dei paesi dell’Africa del Nord. Ogni algerino, ogni nordafricano è preoccupato per il fatto di dover confrontarsi con uno Stato in guerra dall’altra parte del Mediterraneo”.
Destabilizzare l’Algeria per controllare tutto il Sahel
Il commentatore algerino Laid Seraghni mette in guardia: “Questa crisi non è che un passo sulla strada dell’Algeria, il cui fianco sud è già circondato dall’esercito francese. Questo esercito è già attivo in Libia, in Costa d’Avorio, in Niger, in Mauritania, nel Ciad e in Mali”. Nella regione, l’Algeria è senza alcun dubbio lo Stato più forte, sia economicamente che militarmente, per non parlare delle dimensioni. La rivoluzione algerina del 1957 ha impedito che uno Stato tuareg indipendente e separato cadesse sotto il controllo della potenza coloniale. L’Algeria ha anche rifiutato le basi militari francesi sul suo territorio. E, infine, ha anche rifiutato di entrare nella zona monetaria del franco CFA (Comunità Finanziaria Africana) diretta dalla Francia. Mediante questa zona monetaria, Parigi determina interamente la politica monetaria della maggior parte dei paesi dell’Africa Occidentale.
Il controllo del Sahel non significa solo il controllo dell’uranio, dell’oro e del petrolio del sottosuolo. E’ anche la condizione per concretizzare i progetti delle multinazionali francesi e tedesche dell’energia che, nel 2050, hanno intenzione di assorbire dall’energia solare del Sahel fino al 25% del consumo di elettricità in Europa. “Controllare il Sahel non è possibile se non destabilizzando l’Algeria”, afferma Seraghni. A tal proposito, egli denuncia il doppio gioco della Francia con gli estremisti dopo la caduta del regime di Gheddafi: “Il ruolo della Francia nell’armamento dei terroristi del Sahel è stato messo in luce da “Le Temps d’Algerie” dell’11 settembre 2011. I servizi di sicurezza francesi organizzano il commercio dei missili libici: un quantitativo di 10.000 Sam-7 russi e di Stingers americani è caduto nelle mani di Al Qaeda del Maghreb islamico (AQMI)”.
I paesi SADC (Comunità di Sviluppo dell’Africa Meridionale)
La Comunità per lo Sviluppo dell’Africa Meridionale (SADC) è la più forte alleanza economica e militare del continente africano. Importanti paesi economicamente emergenti come il Sudafrica, l’Angola, il Mozambico… ne sono membri. Così come la Repubblica Democratica del Congo e lo Zimbabwe. Negli ultimi decenni del secolo scorso, questi paesi hanno costruito una forte tradizione di lotta contro l’apartheid, l’oppressione e il terrore sostenuti dalla CIA.
Il presidente sudafricano Zuma è stato in prima fila nelle proteste dell’Unione Africana (UA) contro i bombardamenti della NATO in Libia. Dopo la guerra il blocco SADC ha condotto un’energica lotta politica per la presidenza della Commissione dell’UA. Fino a quel momento, era nelle mani del filo-francese Ping (Gabon). Il gruppo SADC ha proposto il ministro sudafricano degli Affari esteri come candidato alternativo e ha ottenuto un successo. In occasione dell’invio di 400 soldati sudafricani nella Repubblica Centrafricana (dove dei ribelli avevano tentato di rovesciare il potere), il 6 gennaio, l’analista sudafricano Mzocxolo Mpolase ha scritto: “Con la più grande economia del continente ed anche uno dei suoi eserciti meglio equipaggiati, il Sudafrica pensa che sia suo dovere inviare truppe perché altrimenti le potenze occidentali non cesseranno di immischiarsi nei conflitti africani, come si è visto con l’intervento francese in Costa d’Avorio nel 2011 e con l’intervento della NATO in Libia dello stesso anno. Pretoria intende restringere al minimo l’influenza occidentale nei conflitti africani”.
Il 27-28 gennaio ha avuto luogo per la prima volta il vertice annuale dell’UA, sotto la direzione della sudafricana Nkosazana Dlamini-Zuma recentemente eletta. Nell’agenda i conflitti del Mali, del Congo, della Repubblica Centrafricana e del Sudan. Il 16 gennaio, il presidente sudafricano Jacob Zuma si era recato a Luanda per preparare minuziosamente il vertice in compagnia del suo collega angolano, Dos Santos. Mentre la signora Zuma ha convinto tutti i membri dell’UA a sostenere l’esercito maliano nella sua lotta contro i terroristi e allo stesso tempo ha insistito sul fatto che la risoluzione dell’ONU (utilizzata dalla Francia per giustificare il suo intervento) parla chiaro in merito a una “missione diretta dall’Africa” (1).