L’eredità neocoloniale di Hollande in Africa

hollande keitadi Carlos Lopes Pereira
da avante.pt

Traduzione di Marx21.it

L’aumento degli interventi militari in Africa, nel quadro della politica neocoloniale francese, è la principale “eredità” di François Hollande nel continente.

Il presidente francese, che non si ricandida nelle elezioni di quest’anno, “si è congedato” dai suoi colleghi africani al 27° Vertice Africa-Francia, svoltosi a Bamako il 13 e 14 gennaio.

La riunione nella capitale del Mali, annunciata come un forum per discutere della cooperazione, la pace e lo sviluppo, si è concentrata soprattutto sulle questioni della sicurezza.

Di fronte a una trentina di capi di Stato e di governo partecipanti, il presidente del Mali, Ibrahim Boubacar Keita, ospite del vertice, si è profuso ripetutamente in gesti calorosi ed elogi nei confronti del suo omologo francese. Ha ricordato “tutto” ciò che il suo paese deve al “caro François”, l’uomo che aveva ordinato, nel 2013, sette mesi dopo il suo insediamento all’Eliseo, l’ “aiuto” militare al Mali.

Da parte sua, Hollande ha fatto un bilancio dell’Operazione Serval – rimangono oggi nel Mali forze francesi, delle Nazioni Unite e dell’Unione Europea (compresa l’Italia, NdT) –, sostenendo che “la democrazia ha ripreso il suo corso” e che “i terroristi non controllano alcun territorio”.

Una affermazione “largamente fuorviante”, scrive Jeune Afrique, dal momento che rimangono fuori dal controllo governativo ampie aree del nord e del centro del paese, dove “tutte le settimane si verificano attacchi mortali contro i militari maliani e i caschi blu di Minusma”. Per la rivista, la storia testimonierà che la politica di Hollande in Africa “è stata soprattutto securitaria, con due operazioni militari di grande rilevanza (Serval nel Mali e Sangaris nella Repubblica Centrafricana)”.

La realtà è che, nel quadro della politica imperialista francese in Africa (e in altre regioni, come il Medio Oriente), l’ingerenza e i conflitti nel continente sono aumentati considerevolmente dal 2011. Sempre in nome della “guerra contro il terrorismo” e del “contributo alla pace e alla sicurezza” in Africa e in Europa…

Nicolas Sarkozy – che sarà anche ricordato per il suo discorso a Dakar, nel 2007, in cui aveva affermato che “l’africano non è entrato sufficientemente nella storia” – è stato responsabile di due interventi militari con risultati catastrofici.

Nel 2011, in Costa d’Avorio, le truppe francesi avevano aiutato a rovesciare il presidente Laurent Gbagbo, attualmente incarcerato e processato dal Tribunale Penale Internazionale dell’Aia, e in quel momento sostituito da Alassane Ouattara, un protetto di Parigi. Allo stesso tempo, la Francia aveva partecipato, insieme agli Stati Uniti e ad altre potenze occidentali, all’aggressione della Nato contro la Libia, al rovesciamento di Muammar Gheddafi e alla distruzione del paese, oggi sprofondato nel caos e nella guerra.

Il continuatore di Sarkozy

Hollande ha superato il suo predecessore come fautore di guerre e ha proseguito la strategia neocolonialista della Francia, del resto sulla scia degli altri presidenti francesi dal tempo di De Gaulle.

La distruzione dello Stato libico ha avuto ripercussioni in tutta la regione, in particolare nel Mali. Dove, proprio nel 2013, le truppe francesi, con l’Operazione Serval, sono intervenute per “salvare” il governo di Bamako, minacciato da movimenti indipendentisti tuareg e gruppi islamici radicali, fuggiti dalla Libia con armi e bagagli.

L’anno seguente, con l’Operazione Barkhane, il dispositivo militare francese “si è riorganizzato” e, a partire dal Ciad, ha cominciato ad operare in tutta la fascia del Sahel-Sahara, con truppe, aerei e carri armati in paesi come la Mauritania, il Mali, il Burkina Faso e il Niger.

Nella Repubblica Centrafricana, l’Operazione Sangaris è stata scatenata alla fine del 2013 e, da allora, il paese è stato coinvolto in una guerra civile che ha riacceso conflitti etnici e religiosi. Lì sono stazionate anche truppe delle Nazioni Unite.

L’associazione Survie, creata a Parigi per denunciare “tutte le forme di intervento neocoloniale francese in Africa”, sottolinea che la presenza militare della Francia in Africa, da più di mezzo secolo, è uno dei pilastri della sua politica di ingerenza e dominio imperialista.

E’ stata messa in pratica subito dopo la nascita delle indipendenze africane, all’inizio degli anni 60 del XX secolo, allo scopo di inserire i nuovi paesi nell’orbita della Francia. L’obiettivo era quello di “preservare gli interessi economici dell’antica metropoli (petrolio, uranio, legname, ecc.), permettendole di conservare il rango di potenza mondiale, e di mantenere i paesi africani nella sfera di influenza occidentale”. Questo, sia durante la guerra fredda che allo stato attuale.

Oggi, le forze progressiste e i popoli dell’Africa continuano a lottare contro queste guerre di saccheggio dei loro paesi, chiedendo la chiusura delle basi militari straniere, il ritiro delle truppe di spedizione e la fine delle ingerenze nel continente.