Il saccheggio imperialista delle ricchezze dell’Africa

di Carlos Lopes Pereira | da www.avante.pt

minatori africaTraduzione di Marx21.it

L’imperialismo progetta di dominare i paesi del Nord Africa e di destabilizzare la regione e tutto il continente allo scopo di perpetuare la rapina delle ricchezze africane.

L’aggressione della NATO alla Libia (produttore di petrolio), l’intervento della Francia in Mali (oro e uranio), la costruzione di una base militare degli USA nel Niger (uranio) e “l’accerchiamento” dell’Algeria (petrolio e gas) sono tasselli della strategia che mira, davanti alla crisi del capitalismo mondiale, a intensificare lo sfruttamento dei lavoratori e il saccheggio delle risorse naturali africane.

Il giornalista Dan Glazebrook, che scrive su giornali come The Guardian, The Indipendent e The Morning Star, ha pubblicato un articolo in Al-Ahram Weekly (http://weekly.ahram.org.eg) del Cairo, denunciando questa cospirazione.


Inizia ricordando che l’Occidente drena tutti gli anni dall’Africa migliaia di milioni di dollari in pagamenti del “servizio del debito”, in profitti da investimenti e da prestiti legati al regime di corruzione di settori delle borghesie nazionali.

Un’altra via di dominio dell’Africa è il saccheggio delle sue ricchezze minerali. E’ noto il caso del Congo, dove, nell’Est, bande armate – controllate dai vicini Uganda, Ruanda e Burundi, a loro volta appoggiati da potenze occidentali – praticano il furto di minerali e la loro vendita a imprese straniere.

L’Africa finanzia anche le classi dominanti occidentali attraverso i bassi prezzi delle materie prime e dei miserabili salari pagati ai lavoratori che estraggono o coltivano.

Insomma, il capitalismo impone al continente africano il ruolo di fornitore di materie prime e manodopera a basso costo. E, affinché tale situazione si conservi, cerca di assicurare che l’Africa continui ad essere povera e divisa, flagellata da colpi di Stato e guerre.

Secondo Glazebrook, la creazione nel 2002 dell’Unione Africana (UA), animata da Muammar Gheddafi, ha preoccupato gli strateghi occidentali.

Per Washington, Londra e Parigi era inaccettabile il piano dell’UA sulla creazione di una Banca Centrale Africana e di una moneta unica. Era inaccettabile la creazione del Fondo Monetario Africano. E, soprattutto, era inaccettabile la decisione dell’UA, nel 2004, di elaborare la Carta di Difesa e Sicurezza Comune Africana. E la decisione, nel 2010, di avanzare con una forza militare unificata.

Inoltre, posti di fronte al loro declino economico e alla “minaccia” della Cina, gli Stati Uniti avevano già tracciato piani per ricolonizzare l’Africa.

Nel 2008 sorse Africom, il comando militare che il presidente Bush voleva installare in territorio africano. Ma l’UA rifiutò la presenza di truppe nordamericane e Africom dovette stabilire il suo comando militare in Germania.

La maggiore umiliazione per gli USA fu quella di vedere eletto Gheddafi presidente dell’UA nel 2009 e la Libia trasformarsi nel principale sostegno dell’organizzazione panafricana.

L’Impero non tollerò le proposte dell’UA che andavano nel senso di un processo di integrazione africana. Dopo aver giustificato l’aggressione alla Libia “con un fardello di menzogne ancora più grande di quello che era servito da pretesto per l’invasione dell’Iraq” – come scrive Glazebrook -, la NATO ha distrutto il paese, lo ha ridotto nelle “condizioni di un altro stato africano in condizioni fallimentari” e “ha agevolato la tortura e l’assassinio di Gheddafi”, liberandosi così del suo oppositore.

La guerra contro il colonnello ha distrutto il suo regime come pure la pace e la sicurezza nel Nord Africa.

Il dirigente libico aveva organizzato dal 1998 la Comunità degli Stati del Sahel e del Sahara, con al centro la sicurezza regionale, bloccando l’influenza delle milizie salafite e cercando di pacificare i leaders tribali tuareg.

Con la caduta di Gheddafi, i radicali islamici della regione hanno ottenuto armi moderne – cortesia della NATO – e le frontiere meridionali della Libia sono collassate.

La prima vittima della destabilizzazione regionale è stata il Mali. L’avanzata islamista, risultato dell’aggressione alla Libia, ha rappresentato il pretesto per l’intervento militare della Francia.

Anche l’Algeria si è trovata nel mirino dell’imperialismo. E’ oggi “accerchiata” da radicali islamici a Est (frontiera con la Libia) e a Sud (frontiera con il Mali), dove si è installata anche la legione francese.

L’imperialismo ha ragioni per non simpatizzare con l’Algeria, l’unico paese del Nord Africa ancora governato dal partito che ha lottato per l’indipendenza (FLN): Algeri appoggia l’UA, ha assunto posizioni internazionali dignitose e, come l’Iran e il Venezuela, vende a un prezzo giusto il suo petrolio e il suo gas.

Questo “nazionalismo delle risorse” spinge i giganti petroliferi occidentali a non nascondere che “sono stufi dell’Algeria”, come scrive il Financial Times. Lo stesso giornale che, un anno prima dell’aggressione della NATO, aveva accusato anche la Libia del “crimine” di proteggere le sue risorse naturali.