Il 21° Vertice dell’Unione Africana minaccia il ritiro dalla Corte Penale Internazionale (CPI)

di Abayomi Azikiwepanafricannews.blogspot.it
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

oua fondazioneL’incontro dei capi di Stato in Etiopia per commemorare l’anniversario dell’Organizzazione per l’Unità Africana (OUA)

 
Gli oltre cinquanta stati membri dell’organizzazione continentale hanno concluso il 21° Vertice dell’Unione Africana ad Addis Abeba, in Etiopia, il 27 maggio scorso. Il gruppo regionale ha inoltre commemorato il 50° anniversario della costituzione della Organizzazione per l’Unità Africana (OUA), che ebbe origine nel 1963 al culmine della lotta anti-coloniale. Forse uno degli sviluppi più significativi del vertice di quest’anno è stata la proposta di risoluzione per il ritiro dei paesi membri dell’UA dalla partecipazione alla Corte Penale Internazionale (CPI) con sede all’Aia. Molti sono gli stati africani firmatari dello Statuto di Roma che istituì la Corte Penale Internazionale.

Tuttavia, l’attuazione del mandato della CPI di indagare e perseguire le organizzazioni governative e non governative, è stato diretto esclusivamente contro i capi di stato ed i gruppi ribelli del continente africano. La Corte Penale Internazionale nel corso degli ultimi anni è stata sempre più descritta come una “Corte penale africana”, in quanto i leader di Sudan, Libia e Kenya sono stati incriminati, mentre i presidenti e gli altri funzionari degli stati imperialisti dell’Occidente non sono mai stati citati in un eventuale procedimento penale.
 
Il primo ministro etiope Hailemariam Desalegn, parlando alla stampa internazionale durante le sessioni conclusive dell’UA, ha dichiarato che “la Corte Penale Internazionale prende di mira gli africani su basi razziali. I leader africani concordano sul fatto che i procedimenti (della CPI) condotti in Africa sono viziati”. (BBC, 27 maggio)
 
Il dirigente etiope, attualmente di turno alla presidenza dell’UA, ha osservato che “l’intenzione era quella di evitare qualsiasi tipo di impunità … ma ora il processo è degenerato in una sorta di caccia razziale”. La risoluzione che è passata l’ultimo giorno del vertice e che sollecita l’apertura di indagini e possibili incriminazioni penali connesse alla situazione in Kenya deve essere rinviata all’esame dello stato dell’Africa orientale.
 
Il presidente Uhuru Kenyatta ed il vicepresidente William Ruto si trovano ad affrontare le accuse della Corte Penale Internazionale su presunti “crimini contro l’umanità” occorsi durante i disordini seguiti alle passate elezioni nazionali in Kenya del periodo 2007-2008. I resoconti parlarono di più di 1.000 persone uccise negli scontri tra i sostenitori dei candidati Mwai Kibaki e Raila Odinga.
 
La situazione in Kenya venne risolta quando una missione internazionale di pace guidata dai leader africani e dagli anziani negoziò la formazione di un governo di coalizione con Kibaki alla presidenza e Odinga premier. Le elezioni di marzo videro l’ascesa di Uhuru Kenyatta che sconfisse Odinga al primo turno.
 
La violenza politica a seguito delle recenti elezioni in Kenya è stata minima. Tutte le organizzazioni regionali e continentali africane hanno riconosciuto le elezioni in Kenya come libere e legittime.
 
La presidente della Commissione dell’Unione Africana (CUA), dottoressa Nkosazana Dlamini-Zuma, ha dichiarato alla stampa internazionale il 27 maggio che da quando il Kenya ha adottato una nuova costituzione il rinvio delle accuse contro Kenyatta e Ruto sarebbe stata opportuna e soddisfacente per il popolo del paese e per quelli dell’intero continente africano. “Ora che il Kenya ha riformato il suo sistema giudiziario ed i keniani hanno fiducia nel loro sistema giudiziario, le cose dovrebbero essere lasciate nelle mani di questo paese” (Panapress, 27 maggio).
 
La Corte Penale Internazionale ha inoltre rinviato a giudizio il presidente Omar Hassan al-Bashir della Repubblica del Sudan per gli sforzi del suo governo nel difendere la sovranità del paese nella regione del Darfur, dove un certo numero di organizzazioni ribelli stanno conducendo da un decennio la guerra contro lo stato sudanese. Inoltre, durante la fase iniziale della guerra imperialista per il cambio di regime contro lo stato nordafricano della Libia, il martirizzato ex leader colonnello Muammar Gheddafi, insieme ad altri due funzionari, tra cui il figlio Seif al-Islam, furono accusati dalla Corte Penale Internazionale per presunti crimini commessi durante la lotta contro un attacco imperialista al loro paese.
 
Altre risoluzioni approvate in materia di sviluppo
 
Le risoluzioni approvate dall’UA ad Addis Abeba sono state descritte come lungimiranti. La decisione presa per sviluppare gli obiettivi da realizzare nel corso dei prossimi cinque decenni è stata chiamata “Africa 2063”.
 
E’ stato inoltre adottato un piano per il periodo 2014-2017 per affrontare obiettivi di breve termine. Dlamini-Zuma ha dichiarato durante la conferenza stampa conclusiva che il 2063 “rappresenta una linea temporale fissata per i nostri figli e nipoti per vedere ciò che l’Africa dovrebbe raggiungere nel campo del commercio, nell’industrializzazione, nelle infrastrutture e nello sviluppo in generale. Se si programma per cinque anni, non si dispone di una prospettiva lunga abbastanza per sapere dove si vorrebbe essere”, aggiungendo che “come i nostri padri fondatori progettarono il futuro puntando all’indipendenza, così noi dobbiamo pensare alla sovranità economica di questo continente” (Panapress, 27 maggio).
 
Dlamini-Zuma ha anche sottolineato che le questioni di destabilizzazione interna devono essere affrontate seriamente. “Abbiamo anche esaminato le questioni della pace e della sicurezza. Siamo convinti che prima o poi le armi dovranno essere messe a tacere nel nostro continente. Il dialogo deve continuare in modo che le parti in conflitto non prendano le armi”, ha sottolineato.
 
Discussa anche la necessità di una Forza africana di pronto intervento
 
Un’altra questione importante che coinvolge l’Unione Africana è quella degli interventi militari imperialisti. Dal 2011, diverse nazioni sono state attaccate ed i governi rovesciati dagli stati occidentali in Libia e in Costa d’Avorio, mentre Francia e Stati Uniti sono intervenuti in varie forme in Somalia, Mali e Niger.
 
Il Comando statunitense per l’Africa (AFRICOM) è cresciuto durante l’amministrazione del presidente Barack Obama. Nel mese di dicembre, Obama ha assicurato l’invio di 3.500 unità delle forze speciali e di addestratori militari per una trentina di stati in tutto il continente.
 
Sempre sotto Obama, in Africa sono accelerate sia l’escalation nell’utilizzo dei droni che l’insediamento di uffici della CIA sul campo. Obama ha di recente annunciato che si recherà in almeno tre stati africani entro la fine dell’anno, mentre il segretario di stato John Kerry ha fatto una breve visita al vertice dell’UA ad Addis Abeba.
 
Durante il vertice dell’Unione Africana, il governo francese ha annunciato di aver iniziato un ritiro parziale delle sue forze che da gennaio occupano il Mali. Ciò nonostante, circa 3.700 militari francesi rimarranno ufficialmente all’interno del paese dell’Africa occidentale fino alla fine del 2013. Anche dopo questo termine, il ministero della difesa francese ha dichiarato di voler mantenere in Mali circa 1.000 unità.
 
Il 23-24 maggio, una serie di attentati in Niger ha provocato la morte di oltre una ventina di soldati nigerini in una caserma e in un impianto per l’estrazione di uranio della Areva, compagnia di proprietà francese. Parigi ha subito annunciato che un numero imprecisato di sue forze speciali stavano operando per dare la caccia a “Firmatari con il sangue” e al “Movimento per l’unicità e la jihad in Africa occidentale” che hanno rivendicato congiuntamente la responsabilità degli attacchi.
 
C’è stata un’ulteriore discussione sullo sviluppo di una Forza africana di pronto intervento per affrontare i conflitti che si svolgono in tutto il continente. Francia e Stati Uniti hanno usato l’instabilità in Costa d’Avorio, Somalia, Niger e Libia come ragione fondamentale degli interventi militari.
 
Ramtane Lamamra, commissario alla sicurezza per l’Unione Africana, ha detto alla stampa internazionale che una forza di circa 32.500 unità sarà predisposta per essere dispiegata in caso di emergenze. Attualmente agiscono solo le forze regionali ma con gravi problemi legati alla loro capacità di rispondere rapidamente ai conflitti entro e lungo le frontiere.
 
“Questa va intesa come una misura provvisoria in attesa della piena operatività della Forza di pronto intervento africana,” ha spiegato Lamamra ai giornalisti presso la sede dell’Unione Africana nella capitale etiope.
 
“Nel frattempo, le crisi, i cambi di governo anticostituzionali, le massicce violazioni dei diritti umani possono con ogni probabilità proseguire, così in modo responsabile noi diciamo di non potere aspettare fino a quando si otterrà uno strumento perfetto per essere utilizzato”.
 
Fino a quando l’Africa sarà alle prese con l’ingerenza straniera negli affari interni, un reale sviluppo, l’indipendenza economica e la sovranità rimarranno inafferrabili. Il crescente coinvolgimento militare degli stati imperialisti costituisce un imperativo politico da affrontare per queste sfide cruciali.