di Andrea Genovali | da www.oltre-confine.it
Sono lontani i tempi in cui un presidente degli Usa dichiarava la propria assoluta mancanza di interesse per il continente africano. Purtroppo, per gli africani, Obama non è di questo avviso e gli Stati Uniti adesso stanno cercando di recuperare il tempo perduto per controbattere alla presenza cinese. Ma lo fanno alla loro maniera: militarizzando il continente e intervenendo nelle questioni interne di quei paesi per difendere i propri interessi. La solita politica che sta facendo affiorare però dubbi anche all’interno del Dipartimento di Stato a stelle e strisce. Infatti, esistono delle special task, che hanno spodestato anche la CIA (Central Intelligence Agency) in Africa; e che come questa addestrano gli eserciti locali a monitorare e ad eliminare i sospetti terroristi, ma lo fanno con maggiori effettivi e risorse. Già “lotta al terrorismo”, la solita frase ad effetto buona per giustificare qualsiasi porcheria che gli americano compiono in qualsiasi parte del mondo e subito amplificata dalle veline dei media europei. I cinesi e non quella specie di foglia di fico rappresentato dal terrorismo islamico-africano sono il vero nemico che gli Usa stanno combattendo in subsahara in una guerra non dichiarata ma ormai evidente.
I cinesi in Africa, per quanto evidentemente non privi di critiche, operano attraverso scambi commerciali paritari e costruendo infrastrutture ai paesi con i quali si relazionano. Infrastrutture decise da quei governi che producono ricchezza e un maggior benessere alle popolazioni africane.
I cinesi non sono Babbo Natale e nessuno dotato di ingegno e di intelligenza lo potrebbe pensare ma sono altresì cosa profondamente diversa dall’approccio brutale che da secoli l’occidente ha posto in essere nei confronti del continente nero. Gli occidentali, lasciando perdere l’aberrazione della tratta degli schiavi e poi il periodo della brutale colonizzazione, hanno costruito, e costruiscono, ben poco per le popolazioni di quel continente, mentre hanno razziato molte delle loro ingenti risorse decretando così la morte di milioni di esseri umani. Inoltre, i cinesi, non utilizzano come gli Usa quei paesi per avere basi militari attraverso le quali o bombardare paesi africani, leggi Somalia, o per aggredire paesi medio orientali come fanno i paladini della democrazia statunitense. A Ouagadougou, capitale del Burkina Faso, il cui attuale presidente assassinò Thomas Sankara nel 1987 tradendolo e vendendosi agli Usa e facendo così regredire di decenni il proprio popolo annullando tutte le conquiste della rivoluzione sankarista, di cui abbiamo parlato in un articolo precedente, vi è l’hub chiave dello spionaggio USA in Africa. Nell’ambito di un’operazione di sorveglianza, nome in codice Creek Sand, funzionari e appaltatori USA hanno concordato con le autorità locali la costruzione di una base aerea di modeste dimensioni nel settore militare dell’aeroporto internazionale. Da qui, gli “inoffensivi” aerei spia partiranno per il Mali, la Mauritania e il Sahara alla ricerca dei combattenti di al-Qaida nel Maghreb Islamico specializzati nel sequestro di occidentali a scopo di estorsione. Anche se non è per niente chiara la pericolosità di gruppi che operano solo a livello locale e con rivendicazioni che non possono interessare né essere di reale pericolo per gli interessi nazionali Usa; ed è da questa constatazione che nascono i dubbi anche all’interno del Dipartimento di Stato. Ma, come detto poco sopra, “terrorismo internazionale” è la frasetta magica per coprire i reali interessi e scopi Usa in Africa, cioè l’accaparramento delle risorse e il controllo militare del territorio.
Ma quello in Burkina non è il solo hub strategico Usa nel continente. Ve n’è un altro in Africa centrale, in Uganda, paese strategico della regione. Il Pentagono, inoltre, sta pensando di aprire una base anche in Sud Sudan e guarda caso questo paese è nato da poco tempo spaccando il Sudan, paese islamico moderato e strategico per il continente, portandogli via un pezzo prezioso di territorio ricco di risorse come il petrolio e l’acqua e ora gli americani pensano di costruire in Sud Sudan una propria importante base militare, sospetto no? In Africa orientale, poi, le basi sono distribuite in Etiopia, Gibuti, Kenya e nelle Seychelles. Da qui, partono per il Pakistan e lo Yemen i droni Predator e Reaper. Dal 2007 sono state create almeno una dozzina di base aeree, ma le operazioni sono state intensificate negli ultimi mesi. La “rete” evidenzia come le United States Army Special Forces stiano acquisendo un ruolo crescente nell’amministrazione Obama e lavorando in segreto in tutto il mondo, e non solo nelle zone di guerra.
Di fronte a queste brevissime annotazioni appare in tutta la sua evidenza la diversità di approccio al continente africano dei cinesi. Non a caso si sono svolti già strapartecipati summit di amicizia e commercio fra Cina e Africa, sia a Pechino che in vari paesi del subsahara. Ovviamente, vari giornalisti mettono l’accento sulla poco democraticità di alcuni stati africani che commerciano con la Cina, vero ma la malafede di gran parte di costoro è evidente quando ignorano completamente cosa fanno Usa, Francia, Inghilterra e UE nella stessa Africa o in Medio Oriente dove non è la democraticità il criterio di scelta dei paesi partner ma bensì la fedeltà agli interessi strategici Usa. Alla critica sopra ricordata, una delle risposte date dai cinesi è il diritto alla autodeterminazione dei popoli e il loro diritto a scegliersi il proprio governo e la propria strada alla democrazia senza ingerenze di potenze esterne. Principi che appaiono robusti e difficilmente obiettabili, anche se ormai noi siamo ridotti alle “guerre umanitarie” che è il più grande fra i possibili ossimori. Ma, al di là di questo, il punto da prendere in esame è: se l’intervento cinese è ben visto dalle popolazioni africane oppure no. Questo perché gli interventi occidentali in Africa, ma anche in Medio Oriente e per lunghi decenni anche in America Latina è sempre stato fortemente contestato dai popoli e largamente applaudito dai governi corrotti. Mentre l’intervento cinese, su cui è facile documentarsi, è ben visto dalle popolazioni che, se pur a volte con qualche contrarietà e diffidenza per usi e costumi diversi, sono ben felici che i cinesi costruiscano strade, aeroporti, scuole, ospedali, case, facciano formazione del personale e forniscano al paese le fondamentali strutture necessarie per poter raffinare da soli le proprie risorse e così non essere più meri esportatori di ricchezze in cambio di briciole. Oltre ovviamente all’annullamento di gran parte del loro debito estero.
La Cina ripeto non è Babbo Natale ma un paese che si rapporta con altri paesi non in modo imperialista e neocolonialista ma con l’antica arte del commercio nella quale i cinesi sono assoluti maestri da millenni. Essi hanno necessità di risorse e materie prime per sostenere il loro sviluppo poderoso e vanno in Africa a cercare parte delle loro necessità ma lo fanno con il rispetto dovuto per quei popoli e paesi e con un approccio che molto spesso va al di là del puro ed equo rapporto commerciale. Ma, la cosa importante a chiusura da sottolineare, è che non rapinano le risorse africane come le potenze occidentali hanno fatto da secoli e, purtroppo, continuano a fare. Questa è la differenza vera fra i cinesi e l’occidente.