Afghanistan, la Valle del Panjshir

di Maria Morigi

Nella geografia dell’Afghanistan l’ inaccessibile la Valle del Panjshir (o Panshir) 150 km a nord di Kabul, tra i monti dell’Hindu Kush, costituisce una enclave difficilmente accessibile: quando si arriva da Kabul una stretta e profonda gola è il solo importante punto di entrata e uscita.

Il nome Panjshir in persiano significa “Cinque Leoni”, è riferito ai cinque Wali (protettori), cinque fratelli che costruirono una diga per il Sultano Mahmud di Ghazni all’inizio dell’XI secolo, ma allude anche ai cinque picchi montuosi che sovrastano la valle. È attraversata dal fiume omonimo che nasce nell’Hindu Kush meridionale, presso il Passo Khawak, e scorre da nord-est verso sud-ovest. 

Di grande importanza militare, la valle (che oggi costituisce una Provincia, dopo lo scorporo dalla provincia di Parvan nel 2004) sbocca in pianura nei pressi della strada di Salang, principale arteria di collegamento -che devia verso nord-est rispetto al Panjshir- tra Kabul e il nord del paese, con il passo del Salang (alt. 3878 m). [Nel 1964 con i fondi di aiuto dell’Unione Sovietica fu costruito il traforo del Salang (2600 m. di lunghezza e 3370 m. di altitudine), rendendo così la percorrenza più sicura. Il tunnel è tristemente noto per l’incidente del 2 novembre 1982 quando un veicolo militare urtò un’autobotte di carburante provocando un’ esplosione e causando tra le 2000 e le 3000 vittime.]

Ai tempi della dinastia persiana Samanide (dall’819 al 1005 in Khorasan e Transoxiana con Bukhara capitale) e durante la dinastia persiana Saffaride (dal 9° al 15°secolo in Sistan, zona di confine con l’Iran), la Valle del Panjshir era famosa per  le miniere d’argento, tanto che le dinastie regnanti coniavano moneta nella valle. Oggi ha tutte le potenzialità per diventare il principale centro di estrazione mineraria di rame, argento, smeraldo e altre pietre, e per questo interessa colonizzatori e sfruttatori occidentali, dopo che per decenni Mujaheddin e signori della guerra hanno praticamente monopolizzato e tratto profitto dei suoi giacimenti per finanziare i loro eserciti. 

La maggioranza etnica è costituita da Tagiki (Tajiki) convertiti all’islam sunnita attorno al XVI secolo, e discendenti da un popolo di lingua indoeuropea e di stirpe iranica orientale (identificabili con Persiani, Battriani, Sogdiani) che abbandonarono le loro terre per sfuggire all’espansione islamica. I Tagiki costituiscono il maggior gruppo etnico dell’Afghanistan nord-orientale e delle città di Kabul, Mazar-e Sharif ed Herat, rappresentano la borghesia cittadina, si possono permettere di mandare i figli nelle migliori scuole occidentali e di fondare formazioni politiche “aiutate” dall’Occidente. Anche il primo presidente eletto (2004) del Governo provvisorio, Hamid Karzhai, era pashtun.

Grazie alla sua inaccessibilità, la valle è stata per lunghi periodi un centro di resistenza ai governi centrali afghani e alle potenze straniere. Gli abitanti della valle, pur riconoscendo l’Emirato dell’Afghanistan, hanno spesso goduto di indipendenza e si rifiutavano di pagare le tasse al governo di Kabul. Fu solo verso la fine del 19° secolo, al tempo dell’ “Emiro di ferro” Abdur Rahman Khan, che il governo centrale si fece valere sulla regione pretendendo il pagamento delle tasse. 

Nel 1975 il Panjshir fu teatro di un tentativo insurrezionale di attivisti islamici guidati da Ahmad Shah Massud (di etnia tagika), allora studente, contro il governo di Mohammed Daud Khan; ma, ancor prima dell’arrivo delle truppe governative, l’ostilità della popolazione locale non allineata ad alcun partito mise in fuga i ribelli indipendentisti. La valle tuttavia fu uno dei principali centri di resistenza contro il legittimo governo di Mohammad Najibullah sostenuto dalle forze militari sovietiche e fu non solo la parte dell’Afghanistan che seppe resistere ai sovietici (circa il 60% delle perdite sovietiche avvenne proprio nella Valle del Panjshir) ma la base più importante dell’Alleanza del Nord (Fronte islamico unito per la salvezza dell’Afghanistan). Tale organizzazione politico-militare, creata nel 1996 per resistere ai Talebani vittoriosi nella guerra civile, ebbe tra i suoi fondatori Ahmad Shah Massud; radunava tre gruppi etnici (tagiki, hazara e uzbeki), fazioni combattenti (di cui alcune con l’appoggio della Turchia, altre sostenute dall’Iran), membri dell’ex governo sovietico, il Partito Jamiat-i Islami composto prevalentemente da tagiki e guidato dall’ex presidente (1992-96) della Repubblica islamica Burhanuddin Rabbani (tagiko anche lui).

I Talebani, come già i Russi,  lanciarono diverse offensive contro il Panjshir, ma la valle rimase inespugnata, tanto che Massud si guadagnò il nome di ‘Leone del Panjshir’ e, grazie alle risorse dello sfruttamento minerario (oltre agli aiuti occidentali), poté finanziare i suoi Mujaheddin e usare la vallata come base tattico-strategica. 

Quando nel 2001 intervennero le forze armate USA e della NATO, ci furono ribellioni in altre province afghane contro l’invasione degli occidentali, che furono invece accolti come liberatori dalla popolazione del Panjshir. L’impegno ricostruttivo USA in Afghanistan si produsse quasi esclusivamente nella valle. Un parco eolico con 10 turbine fu costruito nel 2008, e ponti, strade, scuole, pozzi, ripetitori per collegamenti radio televisivi e per telefoni cellulari. In realtà, dopo aver preso abbagli e aver fallito in più occasioni nell’Helmand e altre zone per scarse capacità previsionali e scarse conoscenze, gli Americani avevano capito che conveniva investire in infrastrutture nel Panjshir della Resistenza contro i Sovietici!.

 Il 14 agosto 2021, dopo che i Talebani entrarono trionfalmente nella capitale, il governo e il presidente Ashraf Ghani si diedero alla fuga e l’esercito regolare afghano non seppe (o non volle) opporre resistenza all’offensiva talebana iniziata nel maggio 2021. Così la valle divenne nuovamente il luogo di raduno delle forze ostili all’Emirato islamico talebano, riunendosi sotto la bandiera della neonata organizzazione di “Resistenza del Panjshir” guidata da Ahmad Massud, figlio del comandante Massud, e da Amrullah Saleh, vicepresidente di Ashraf Ghani, proclamatosi il 17 agosto  presidente ad interim della Repubblica islamica dell’Afghanistan. Oggi l’etnia tagika, sembra confermare di avere nel sangue l’arte della guerriglia, infatti dal Tagikistan, che condivide con l’Afghanistan oltre 1.300 km di frontiera, sarebbero arrivati quasi 2 mila volontari  per sostenere la guerra contro i nuovi padroni talebani  a Kabul.

Insomma una storia di autonomia, aspirazioni di indipendentismo, resistenza e accoglienza di “ribelli”. É però difficile scorgere, specie tra la popolazione rurale, la condivisione di una ideologia politica o un partito che non sia “pre-costruito” dagli interessi di attori esterni, visto che -come sempre succede in Afghanistan- il popolo si schiera con il protettore più forte (anche se corrotto) che garantisca tradizioni, rispetto della famiglia e benessere locale. La scelta viene fatta soprattutto in base ad appartenenza etnica, religiosa e/o di semplice convenienza. 

D’altra parte oggi l’Afghanistan è sicuro sul piano militare: l’Alleanza del Nord non esiste più, warlords in fuga all’estero con bottini milionari, nonostante sporadici attentati l’Isis era già sconfitta nel 2018, la resistenza dal Panjshir è del tutto teorica, sopravvalutata dalle speranze occidentali ma irrilevante nel resto dell’Afghanistan e ai primi di settembre i Talebani avevano già conquistato Bazarak, capitale della valle.