In ricordo del compagno Guido Rossa

guido rossadi la forza del popolo

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Per una società che non sia fondata sul dominio del denaro”.

Il calendario è zeppo di giornate che rendono orgogliosi di essere comunisti e che onorano la classe operaia; tuttavia quella di oggi -ricorrenza dell’omicidio del compagno Guido Rossa, a Genova, ad opera delle BR nel 1979- ha una valenza particolare, quanto meno per chi già era militante in quei giorni lontani. 


Si sa che in molti luoghi di lavoro lo sciopero fu immediato, spontaneo, più “sentito” e massiccio che in altre occasioni e nei giorni seguenti le reazioni (compresi i funerali partecipati da una vasta massa operaia, proveniente da tutta Italia) ebbero un particolare tenore di classe, di orgoglio e rabbia di classe in un certo senso. 

Non c’è bisogno di ripetere cronache o commenti già fatti migliaia di volte, nei decenni. Salvo ricordare che Guido Rossa era certamente un “sindacalista” e un “cittadino democratico” ma in primo luogo era un comunista, un quadro del PCI, componente della sua organizzazione e ha svolto il suo compito in quanto tale, come tante altre comuniste e comunisti hanno fatto il loro dovere -rischiando o sacrificando la vita- contro i fascisti, le mafie, apparati polizieschi e dei servizi segreti, ecc. 

Dunque, senza disconoscere in alcun modo il suo valore, non era “l’uomo che ha sfidato le BR”, non faceva gesti isolati e fini a se stessi come è tipico dei terroristi bensì faceva parte di una lotta collettiva e organizzata, un momento dello scontro di classe più generale, secondo i compiti che la storia poneva in quel momento al PCI.

Semmai, visto che siamo così vicini al centenario -quindi alla “esplosione” di tante montature e menzogne contro la storia del Partito, di tante ridicole “ricostruzioni” lasciate fare solo a chi il Partito lo ha tradito oppure lo ha sempre combattuto- questa ricorrenza può essere un’occasione per cominciare a mettere i piedi nel piatto, ovvero proporre una discussione, avviare un bilancio anche su altri: basta parlare sempre e solo del PCI (e in che termini!) come se in Italia non fosse esistita mai alcuna altra corrente politica o se le uniche “malefatte” siano quelle del nostro Partito.

Sarebbe ora di cominciare a parlare anche di altri e in qualche caso usare pesi e misure che da sempre vengono scagliati contro la nostra storia.

Per questo, vorremmo proporre -volutamente in modo asciutto, sommario e schematico- alcuni temi di discussione, con la speranza di poterli riprendere anche separatamente ed approfondire in un confronto aperto con chi ha da ridire contro Guido Rossa e il suo Partito.

– Ci sarebbe da meditare attentamente sul fatto che gran parte della sinistra italiana mostra un crescente imbarazzo o insofferenza verso la figura del compagno Guido Rossa. Diciamolo chiaramente: è trattato come un “caduto di serie B” (nei casi migliori) e si evita di ricordarlo o lo si fa il meno possibile. Di che cosa vi vergognate, dirigenti di gran parte della sinistra italiana attuale? Cosa c’è che non va nelle scelte del compagno Rossa?

Forse una risposta si può trovare in qualcuno dei punti che seguiranno ma alcuni di noi cominciano a pensare che questa sinistra debole come non mai, altamente divisa, isolata dalle masse che spesso sembra scollegata dalla realtà si presti curiosamente alle critiche di Lenin contro il terrorismo. 

Non certo perché (per quanto ne sappiamo) qualcuno medita di compiere violenze o altri reati ma per la tendenza a concepire l’impegno politico come una serie di iniziative fini a se stesse, slegate le une dalle altre, adatte ad essere compiute (anche solo temporaneamente) da gruppi molto piccoli e addirittura da singoli, nella quale prevalgono soggettivismo ed incapacità a radicarsi nella classe ovvero a svolgere una reale funzione di avanguardia. 

È un contesto nel quale facilmente -pur senza condividerne le gesta- attecchiscono i criteri di analisi e le concezioni che furono anche delle cosiddette “organizzazioni combattenti” e che ne causarono anche la colossale disfatta politica. Anche in tempi recenti, c’è chi ritiene e propone che in futuro si debba attingere dall’esperienza o dagli orientamenti delle BR: il dubbio (più che fondato) è che molti dirigenti della sinistra italiana attuale non abbiano la preparazione politica e teorica sufficiente per rispondere -in modo coerente e al passo con i tempi- a tali velleità.

– Secondo alcune tesi, il PCI si battè contro le BR perché non era più quello della Resistenza ma ormai era solo un Partito venduto all’avversario, se non addirittura al servizio della Gladio, della P2, ecc. Un Partito votato esclusivamente alla “repressione” di qualsiasi cosa buona e positiva ci fosse in Italia.

Sarà. Ma si potrebbero scrivere interi libri (anzi, ce ne sono) per dimostrare come la posizione del PCI sulle BR scaturisca da tesi di Marx, Lenin, Gramsci e dalla ricca esperienza storica del movimento operaio. Ci limitiamo a ricordare, però, l’editoriale del compagno Ingrao sull’Unità del 10 gennaio 1950, all’indomani dell’orrenda strage poliziesca di operai modenesi. 

Con esso, il Partito accusa apertamente il governo (ed implicitamente la NATO) di voler provocare una reazione armata (ben comprensibile) di frange di lavoratori per cercare di trascinare il paese in una condizione adatta per poter gridare alla guerra civile ed avere il pretesto per instaurare di nuovo un regime fascista (o un’occupazione militare di “alleati”). 

La linea che il PCI avrebbe assunto vent’anni dopo verso le BR, era già tutta lì e più chiara non poteva essere. Secchia e Longo erano a capo del Partito insieme al compagno Togliatti e Stalin era saldamente al suo posto. 

Se qualche giovanotto pieno di ardore rivoluzionario e combattivo, si è iscritto alla FGCI, per esempio, nel 1968 per poi accorgersi che non gli andava bene si vede che non aveva capito quale fosse (giusta o sbagliata) la linea del PCI già da molto tempo. 

– Parliamo politicamente delle BR, per comodità di esposizione e per brevità tralasciamo argomenti giuridici, etici e di altro genere. Questi potrebbero condividerli in tanti, anche nostri avversari e poi, francamente, delle “morali” fatte alle BR da gente corresponsabile di guerre sanguinarie o di trattative con la mafia, ci interessa molto poco.

Le BR avevano -per così dire- un progetto politico, delle finalità che scaturivano da un tipo di analisi della società, ispirata ad un’ideologia corrispondente e consistente in una determinata linea politica. Dicevano di voler difendere gli interessi della classe operaia e di perseguire una svolta rivoluzionaria nel paese in modo ben diverso da come altre forze (per esempio il PCI) facevano e per questo proponevano a tanti giovani e ragazze in buona fede, sinceri -come fanno tante forze o correnti politiche- di “iscriversi” ovvero entrare nelle loro fila. 

Si può fare una buona volta un bilancio politico di quel progetto politico? Come e quanto hanno difeso gli interessi dei lavoratori o favorito e affrettato una svolta rivoluzionaria nel paese? Si può dire che hanno portato tante e tanti che hanno creduto nel suddetto progetto ad una gravissima disfatta, peraltro in un breve periodo storico? Se c’è qualcuno che pensa che le BR, invece, abbiano un bilancio politico positivo, che abbiano ottenuto risultati positivi e quindi sia valsa la pena “arruolarsi” nelle loro fila, allora c’è da discutere. 

Da discutere, visti i risultati, di quanto era attendibile la loro analisi della società italiana, la linea politica seguita, le ideologie di riferimento, ecc: oppure non c’era nulla di sbagliato ed è sempre e solo colpa degli altri? 

– Una forza che vuole cambiare la società (come dicevano di voler fare le BR) deve essere capace di conquistare il consenso e il sostegno sociale necessario per poterlo fare, deve porsi principalmente il problema di come “crescere” nel senso di come cambiare i rapporti di forza a proprio vantaggio.

Per esempio, una questione che impegnava Gramsci e il PCI era come unire, in Italia, le forze della classe operaia con buona parte dei contadini e delle masse meridionali.

Oppure un altro problema era la questione cattolica, ovvero l’influenza della religione e delle gerarchie vaticane su vaste masse popolari: ci si poneva il problema di come “avvicinarle”, di come maturare le condizioni di un’unità di classe per modificare i rapporti di forza inizialmente molto sfavorevoli. 

Figuriamoci, perciò, se al PCI poteva venire in mente, per esempio, di sparare a dei preti proprio perché tali: sarebbe stato un partito di scemi!

Per essere estremamente semplici, le BR -nel perseguire il loro disegno “rivoluzionario”- avevano bisogno di conquistare il massimo consenso tra la classe operaia la quale, però, era largamente egemonizzata dal PCI (o meglio dalle “jene berlingueriane” come lo definivano amabilmente) e quindi il problema era come “staccare” molti lavoratori da quel Partito. 

Che cosa si inventano gli strateghi delle BR? Vanno ad ammazzare proprio un operaio comunista, in quel modo e in quel contesto. A prescindere da ogni altra considerazione, questa scelta è la prova definitiva che le BR volevano perdere, erano destinate a fallire rapidamente, non erano capaci di cambiare i rapporti di forza. 

Abbiamo abusato fin troppo della pazienza dei compagni che leggono, perciò non continuiamo oggi ma avremmo molti altri argomenti, anche assai brucianti, da proporre a chi volesse veramente discutere, anche sulla Gladio e la P2 e i “favori” che reciprocamente si sono scambiati con le BR, per non parlare della camorra. 

Noi comunisti non abbiamo mai avuto paura. Ma non è un’affermazione “fisica” o morale: in primo luogo non abbiamo alcun timore politico (a differenza di certi dirigenti della sinistra italiana attuale) poiché siamo sicuri di poter sostenere e vincere qualsiasi confronto teorico, politico, storico. 

Lo siamo perché siamo i compagni di Guido Rossa, contro le BR, perché lottiamo -come diceva lui esortando i suoi compagni- per “una società che non sia fondata sul dominio del denaro”.