Contro la falsificazione della storia ieri e oggi – Gli antefatti della II guerra mondiale nella pubblicistica sovietica e russa (PREMESSA E INTRODUZIONE)

falsificazionidi Fabrizio Poggi

da https://www.lantidiplomatico.it

(…) I principali tipi di guerre dell’era moderna sono le guerre controrivoluzionarie dell’imperialismo contro lo stato socialista e le guerre tra stati imperialisti per la spartizione del mondo. Il VI Congresso del Komintern ha presentato un programma dettagliato di lotta dei partiti comunisti contro il pericolo di guerra imperialista. La lotta contro il pericolo di guerra imperialista richiede in primo luogo la più larga attività di agit-prop e lo smascheramento di come si prepari e si scateni la guerra.

(A. Ugarov, “Bol’ševik”, n.1; 1934)


Contro la falsificazione della storia ieri e oggi – Gli antefatti della II guerra mondiale nella pubblicistica sovietica e russa

Premessa

Il 9 maggio 2020 cade il 75° anniversario della vittoria sul nazismo e della fine della Seconda guerra mondiale, costati ai popoli del mondo oltre cinquanta milioni di morti, di cui oltre la metà alla popolazione civile dell’Unione Sovietica e ai soldati dell’Esercito Rosso Operaio-Contadino.  

Prima dello scoppio della guerra, le “democrazie liberali” avevano cercato in ogni modo di utilizzare il nazismo tedesco per l’obiettivo cui non aveano mai rinunciato sin dal 1917: quello di soffocare il primo Stato socialista al mondo. Scoppiato il conflitto, si erano unite – loro malgrado e non subito – all’URSS nella lotta contro il nazifascismo. Oggi, cercano di appropriarsi di una vittoria cui avevano dovuto contribuire; peraltro, in misura non eccessiva. Così, capovolgono e stravolgono figure, avvenimenti, date, protagonisti. Ne hanno offerto un’anticipazione il 27 gennaio 2020, con le celebrazioni per il 75° anniversario della liberazione di Auschwitz da parte dell’Armata Rossa, allorché tra “sviste”, “refusi” e aperti travisamenti, si è fatto di tutto per tacere nome e ruolo dei veri protagonisti di quella liberazione.

Il tema, naturalmente, non è nuovo; ma, man mano che ci si avvicina al 9 maggio, la campagna “alleata” assume aspetti sempre più grotteschi. Medaglie commemorative delle “tre potenze vincitrici” sul nazismo: USA, Gran Bretagna, Francia; apoteosi di sbarchi a Occidente che, in assenza di adeguate controffensive sul fronte orientale, avrebbero rischiato di trasformarsi in disfatte costiere; carri Sherman che, per quanto si ammetta la loro inferiorità rispetto ai tank nazisti, aiutarono comunque “l’esercito degli Stati Uniti a vincere la guerra”; infine, ma non ultime, manovre militari NATO della durata di cinque mesi, il cui fulcro centrale avrebbe dovuto cadere proprio tra aprile e maggio. E via di questo passo.

Ma, il vero obiettivo della “campagna alleata” è stato messo in chiaro dal Parlamento europeo il 19 settembre 2019. L’obiettivo non è affatto, o non solamente, storico. Non per nulla, a fare da apripista a tale campagna e farsi promotori del documento di Strasburgo, sono stati designati quei paesi d’Europa orientale che, più di tutti, videro masse intere di Komplizen e Hilfswilligen delle SS e che oggi, tra parate in uniformi naziste e celebrazioni di quegli “eroi” autori di massacri contro civili, soldati sovietici, comunisti, ebrei, tsigani, intendono dar lezioni al mondo su come “la legge vieta le ideologie comuniste e naziste”.  

Si è in presenza di una tempesta mediatica su tutte le questioni riguardanti la storia del movimento comunista, in generale, e dell’Unione Sovietica degli anni ’30 e ’40, in particolare. Sotto l’insegna della “informazione” e della “Storia” servite al “più vasto pubblico”, si propagandano miti che, ripetuti migliaia di volte, secondo un metodo ben sperimentato nella Germania degli anni ’30, penetrano e rimangono infissi nelle menti senza che i ricettori se ne rendano conto.

In questa situazione, difficile stabilire cosa significhi oggi essere “obiettivi” e cosa si debba intendere per “obiettività”. Ci troviamo da una parte del fronte, sottoposti al martellamento dell’avversario, il quale non ha mai smesso di far fuoco con le “armi leggere” e negli ultimi anni ha messo in azione anche i “grossi calibri”. Siamo di fronte a quella che in Russia viene definita una “artpodgotovka” (artillerijskaja podgotovka: preparazione d’artiglieria. Ricorse a questa espressione anche Boris Eltsin, nell’agosto del 1993, mentre approntava il golpe dell’ottobre) in vista di un obiettivo molto concreto: con un massiccio bombardamento d’artiglieria pesante, si apre il terreno all’avanzata dei reparti corazzati e della fanteria. L’artiglieria martella le menti e le coscienze, cominciando col riscrivere la storia dei comunisti, in tutte le sue pagine, non solo in Unione Sovietica, e spiana così la strada ai colpi delle divisioni corazzate contro i comunisti di oggi: l’obiettivo è quello di decretare per legge il bando del comunismo e dei comunisti, e fare in modo che la coscienza “di massa” lo accolga come un “atto necessario”.

Cosa significa dunque, in queste condizioni, essere “obiettivi”? Significa opporre ai colpi del nemico un martellamento uguale  e contrario delle nostre artiglierie storiche, sapendo che, parando i suoi colpi, possiamo mantenere intatte le nostre forze, per non essere impreparati all’attacco “politico” contro il comunismo e i comunisti di oggi.

Si deve esser consapevoli dell’urgenza di rispondere a ogni colpo dell’avversario, sapendo che i “dettagli storici” da contrapporgli servono solo per mantenere quanto più possibile intatte le nostre forze politiche.

Quello del nemico di classe non è un attacco “storico”; il martellamento delle “artiglierie storiche” del nemico di classe non è che un aspetto dell’attacco di classe cui i comunisti sono da sempre sottoposti.

Dunque, il materiale che viene qui presentato ha solo in parte carattere storico. Non si tratta nemmeno di un lavoro “imparziale”, nel senso in cui tale termine è inteso dalla pubblicistica e dalla cosiddetta storiografia liberali. Di fronte all’attacco nient’affatto storico e tantomeno “imparziale”, da parte di coloro il cui unico obiettivo dichiarato è quello di tentare di diffamare il comunismo e i comunisti, per arrivare a mettere l’uno e gli altri fuori della legge borghese, restare “imparziali” significa stare dalla parte di un anticomunismo che, ormai da trent’anni, cerca di riprendere il lavoro solo parzialmente interrotto nel periodo a cavallo tra gli anni ’40 e ’50.

Lo scontro non è “storico” o “intellettuale”: è uno scontro di classe, in cui si usano anche armi “storiche” e “intellettuali”.

Oggi, man mano che si avvicina il 75° anniversario della fine della guerra, non fanno che accentuarsi le accuse all’Unione Sovietica di essere stata corresponsabile del suo scoppio, unite alle falsità sui reali artefici della disfatta del nazismo. Accuse e falsità che nascondono – peraltro, molto male – almeno due obiettivi, che, a nostro parere, è necessario tenere ben distinti. Uno, riguarda la disputa geopolitica sul ruolo della Russia moderna: su questo versante, non crediamo che Mosca abbia necessità di esser difesa dall’esterno e ci sembra anzi quantomeno zoppicante l’intreccio, da alcuni teorizzato, secondo cui “chiunque pratichi l’antisovietismo, giunge inevitabilmente alla russofobia”. L’altro versante, quello del più becero antisovietismo, riguarda invece molto direttamente i comunisti in ogni parte del mondo, dal momento che l’attacco alla bandiera con falce e martello issata sulle rovine del Reichstag il 1 maggio 1945, non rappresenta che il viatico per dare forma “legale” alla moderna crociata contro il comunismo e i comunisti.

In questo senso, la risoluzione del Parlamento europeo del 19 settembre 2019, è stata solo una tappa nella “istituzionalizzazione” della tesi sulla pari responsabilità di Germania nazista e URSS nello scatenamento della guerra e su un fantomatico “retaggio europeo comune dei crimini commessi dalla dittatura comunista, nazista e di altro tipo”, dato che, già da anni, si sta percorrendo quella strada.

Quello che viene presentato non è dunque un lavoro storico, perché non è storico l’obiettivo di chi oggi vorrebbe presentare gli avvenimenti di settanta e ottanta anni fa, in una maniera tale da parificare “per legge” nazismo e comunismo, dando naturalmente la priorità ai “crimini dei regimi totalitari comunisti”, alla maniera dei gentiluomini di Strasburgo.  

Si tratta, molto più semplicemente, della traduzione e riproposizione di un lavoro svolto nel 1948 dal Informbjuro del Governo sovietico: l’opuscolo “Fal’sifikatory istorii. Istoriceskaja spravka” (“Falsificatori della storia. Informazione storica”)[1], redatto per controbattere a “Nazi-Soviet Relations. 1939-1941”[2], divulgato nel gennaio dello stesso anno dal Dipartimento di Stato USA e contenente rapporti e appunti estrapolati da “diari” di funzionari della diplomazia nazista.  

Nell’opuscolo sovietico, di cui si ripropone la traduzione dall’originale in lingua russa del 1948, vengono smontate le affermazioni anglo-americane dell’epoca, circa il presunto connubio Berlino-Mosca ai danni delle democrazie occidentali, di un “patto segreto tra URSS e Germania nazista per spartirsi tutta l’Europa orientale”; affermazioni che vanno oggi per la maggiore, purtroppo non solo negli ambienti liberali.

Nello stesso 1948, le edizioni in Lingue estere di Mosca avevano pubblicato anche la versione in lingua italiana della brochure del Informbjuro, oggi di difficile reperimento. Oltre a cenni e singoli paragrafi riportati in articoli di varia natura, è probabile che esista tutt’oggi un’unica recente pubblicazione integrale dell’opuscolo in lingua italiana, redatta però dalla versione francese e non perfettamente aderente all’originale russo.  

La traduzione qui presentata, è preceduta da un’introduzione, in cui si accenna alle principali questioni del periodo precedente la Seconda guerra mondiale: rapporti polacco-tedeschi, sovietico-tedesco-polacchi, ruolo di Francia e Gran Bretagna e loro rapporti con l’URSS, conferenza di Monaco, spartizione della Cecoslovacchia [3], ecc., il tutto riconducibile al tema della presunta “pari responsabilità” di Germania nazista e URSS per lo scatenamento della Seconda guerra mondiale.

L’opuscolo sovietico è poi seguito da una succinta rassegna della più recente, copiosa, pubblicistica russa sugli stessi temi.

Note

[1]   OGIZ – Gosudarstvennoe Izdatel’stvo Politiceskoj Literartury; Moskva, 1948

[2]   Documents from the Archives of The German Foreign Office; R.J.Sontag and J.S.Beddie; Department of State, 1948

[3]   Succintamente, la cronologia degli avvenimenti relativi alla Cecoslovacchia può essere così riassunta: di fronte alle sempre più aperte pretese di Hitler di annettere alla Germania la regione cecoslovacca dei Sudeti, il 15 settembre 1938 il premier britannico Neville Chamberlain si reca dal Führer a Berchtesgaden e si dichiara “personalmente d’accordo” con Hitler sulla questione. Il 18 settembre, il primo ministro francese Édouard Daladier vola in Inghilterra; Parigi e Londra impongono, di fatto, alla Cecoslovacchia il loro “piano per conservare la pace” in Europa: tutte le regioni in cui vivesse almeno il 50% di popolazione di lingua tedesca, avrebbero dovuto essere unite alla Germania. Di fronte alle resistenze cecoslovacche, il 21 settembre, Francia e Inghilterra inviano a Praga un ultimatum: non l’avrebbero sostenuta se avesse tentato di resistere ai tedeschi. Tra il 22 e il 29 settembre, data del complotto di Monaco, anche la Polonia (per la Slesia di Teshin ) e l’Ungheria (per la Slovacchia meridionale) avanzano pretese nei confronti della Cecoslovacchia. All’una del mattino del 30 settembre, a Monaco, Hitler, Mussolini, Chamberlain e Daladier firmano l’intesa che, in nome della “politica di “appeasement”, sanciva la scomparsa della Cecoslovacchia dalla carta del mondo. Il 21 settembre, lo stesso Winston Churchill aveva dichiarato: “Lo smembramento della Cecoslovacchia, sotto le pressioni di Inghilterra e Francia, equivale alla completa capitolazione delle democrazie occidentali di fronte alla minaccia nazista dell’uso della forza. Questo, non porterà pace o sicurezza né all’Inghilterra né alla Francia”. Churchill si dichiarava sorpreso che fosse stata ignorata la dichiarazione del Commissario del popolo agli affari esteri sovietico, Maksim Litvinov, secondo cui l’URSS era pronta a venire militarmente in aiuto alla Cecoslovacchia. Le proposte sovietiche, disse Churchill, “non sono state utilizzate per far pressione su Hitler, sono state trattate con un’indifferenza, per non dire con un disprezzo, di cui Stalin si sarebbe ricordato. Gli eventi seguirono il loro corso come se la Russia sovietica non esistesse. Dopo, abbiamo pagato caro per questo”.

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Introduzione

Nel giugno 2019, per il 75° anniversario dello sbarco in Normandia, il presidente russo Vladimir Putin non era stato invitato a prender parte alle celebrazioni in ricordo dell’operazione “Overlord”, da sempre presentata quale evento determinante della Seconda guerra mondiale che, da sola, avrebbe deciso le sorti di tutto il conflitto. È forse sin dal giorno dello sbarco, nel giugno del ’44, che un’operazione effettivamente rilevante (ma, forse più politicamente, che militarmente) è stata trasformata in una vera e propria epopea, derubricando a battaglie locali la vittoria sovietica a Stalingrado, a febbraio 1943, e quella, forse ancora più determinante, del luglio successivo, allorché, rintuzzando l’offensiva tedesca “Zitadelle” contro il saliente di Kursk e decidendo, in pratica, le sorti della Wehrmacht, Mosca aveva con ciò stesso convinto Londra e Washington ad affrettare lo sbarco in Sicilia, per timore di lasciar campo libero all’Armata Rossa verso la Germania. E, soprattutto, si tace, praticamente da sempre, sul peso avuto dall’operazione “Bagration”[1] in Bielorussia, Polonia orientale e Paesi baltici – condotta quasi in contemporanea alla “Overlord” – nell’annientamento dell’intero gruppo di armate “Centro” tedesco, che alleggerì così la pressione della Wehrmacht sugli Alleati, che in Francia non se la passavano tanto bene. Si tace sul fatto che l’attacco tedesco nelle Ardenne, a fine ’44, che rischiava di tagliar fuori alcune divisioni alleate, fu fermato solo grazie alla decisione sovietica[2] di anticipare al 12 gennaio ’45 l’offensiva inizialmente previsa per fine mese, così che la Wehrmacht dovette dirottare sul fronte orientale[3] varie armate corazzate.

Sulla stessa linea, volta a ribaltare pesi e misure, date ed effetti di un dodicennio (se si prende come punto di partenza la nomina di Adolf Hitler a Reichskanzler, nel marzo 1933) della storia europea e, in particolare, del periodo tra il 1938 e il 1945 e a catalogare l’orgoglio russo per la sconfitta del nazismo quale “folklore nazionale”, ecco che nel 2015, per il 70° della vittoria, di tutti gli ospiti stranieri di rango invitati dal Governo russo, si era recata a Mosca la sola Angela Merkel, senza peraltro assistere alla parata del 9 maggio sulla Piazza Rossa. Sembra che le cose non debbano andar meglio nel 2020, in occasione del 75° anniversario: secondo The Guardian, Donald Trump e Boris Johnson potrebbero disertare Mosca e presenziare invece alla parata prevista a Kiev per l’8 maggio, secondo la “calendarizzazione” occidentale della capitolazione tedesca, che in realtà era effettiva solo dalle ore 24 del 8 maggio.  

Nel caso di “Overlord”, il battage è cominciato sin dal 1944. Per quanto riguarda invece la vittoria sul nazismo, si è avuto un sensibile crescendo negli ultimi decenni, rimescolando ruoli e successi, per spostare l’attenzione dal 1945 e dalla bandiera rossa sul Reichstag, simbolo degli artefici di quella vittoria, al 1939, quando, si dice sempre più a gran voce, il patto di non aggressione sovietico-tedesco del 23 agosto avrebbe “dato via libera” a Hitler per attaccare la Polonia e scatenare la guerra.

La storiografia liberale lo scrive da almeno sessant’anni; il Parlamento europeo lo ha “istituzionalizzato” nel settembre 2019: l’Unione Sovietica di Iosif Stalin porta pari responsabilità della Germania hitleriana nello scoppio della Seconda guerra mondiale. Dunque: la democrazia liberale non deve fare nessuna concessione a chi si proclama vincitore, dopo aver colluso coi nazisti; tanto che, già nel 2019, per portarsi avanti col programma sul 75° della fine della guerra, gli Stati Uniti avevano emesso una speciale moneta commemorativa: su una faccia erano raffigurati Harry Truman e Dwight Eisenhower, sull’altra faccia, le bandiere di USA, Gran Bretagna e Francia. D’altronde, l’Unione Sovietica e la sua bandiera erano state ammainate dai golpisti russi nel 1991; il nazismo è stato sconfitto dagli Alleati. Discorso chiuso.

Chi ricorda più, a Ovest, i 27 milioni di cittadini sovietici caduti? Chi si preoccupa ormai di raccontare che dal 1941 al 1944, quando l’Armata Rossa riuscì infine a portare il fronte al di là dei confini sovietici, oltre 230 divisioni – da Germania e paesi satelliti, Italia compresa – attaccanti, schierate sul fronte orientale, avessero condotto una guerra di sterminio, volta ad annientare gli Untermenschen per liberare il Lebensraum ai colonizzatori ariani, mentre a ovest erano sufficienti una sessantina di divisioni tedesche (58, per la precisione, secondo lo storico americano Richard Overy, di cui solo 15 in Normandia nelle prime fasi dello sbarco) a tener impegnati gli anglo-americani, nient’affatto ansiosi di aprire quel secondo fronte in Francia, che Mosca chiedeva loro dal 1942?

A chi importa, ormai, che i cittadini sovietici, di qualsiasi nazionalità, non solo ebrei, venissero sterminati a milioni nel territorio occupato dai nazisti e che nella sola Bielorussia un abitante su tre non fosse sopravvissuto alla guerra? A che scopo, rievocare gli 872 giorni dell’assedio di Leningrado, portato da tedeschi, italiani, finlandesi, spagnoli, che aveva causato tante vittime quante quelle di Amburgo, Dresda, Tokyo, Hiroshima e Nagasaki prese insieme, il 90% delle quali per fame e freddo; che dei soldati sovietici delle classi d’età dal 1921 al 1924, solo 3 su 100 fossero ancora vivi nel 1945; che le Marzabotto, le Sant’Anna, le Oradour, le Lidice, si siano contate a centinaia nel territorio sovietico occupato dai nazisti, in cui i paesi venivano dati alle fiamme insieme agli abitanti: quasi 200, a partire dal villaggio di Khatyn’ (http://www.khatyn.by/ru/) nella sola Bielorussia?

Cosa importa che ad appena qualche settimana dalla fine della guerra (ma “sondaggi” tedesco-americani si erano già svolti nel 1943), quando ormai l’Esercito Rosso era prossimo a Berlino, il futuro capo della CIA, Allen Dulles, si incontrasse in Svizzera col generale Karl Wolff, inviato di Heinrich Himmler, per negoziare una pace separata con la Germania nazista?

Cosa importa che ancora nel 1940, durante la guerra sovietico-finlandese, i futuri “alleati” dell’URSS fornissero alla Finlandia fascista aerei, cannoni, bombe aeree e mine anticarro e preparassero l’invio di 100.000 uomini dall’Inghilterra e 50.000 dalla Francia, e che solo la firma del trattato di pace sovietico-finlandese, il 12 marzo 1940 e l’offensiva tedesca a ovest, avessero impedito l’attuazione di quel piano, come pure quello del previsto bombardamento sulle regioni petrolifere sovietiche di Baku, Grozny e Majkop? Cosa importa tutto questo?

In Russia circola un aneddoto, tra il vero e l’ironico: sembra che alla firma della capitolazione tedesca, l’8 maggio 1945, al quartier generale di Georgij Zhukov a Berlino, il comandante in capo del OKW (Oberkommando der Wehrmacht), Wilhelm Keitel, abbia osservato sarcasticamente “anche loro ci hanno sconfitto?”, intendendo i rappresentanti alleati lì presenti.

Ora, osservava nel giugno 2019 il sito News Front, la storia “non si riscrive: si ruba. E in buona parte noi stessi ne siamo stati responsabili”, trent’anni fa; così, “abbiamo pagato e fatto pentimento. Non c’era nulla di cui pentirsi, ma ci convinsero che fosse necessario. Abbiamo pagato un prezzo enorme; abbiamo pagato, rinunciando alla nostra memoria”.

Questo avveniva, mentre “venivamo sottoposti al lavaggio del cervello” e ci convincevano che tutta la nostra “storia fosse stata un crimine e un errore storico”. Volevano convincerci che fosse “nostra la colpa se era iniziata la Seconda guerra mondiale, per via del patto Molotov-Ribbentrop; che Stalin fosse peggio di Hitler; che tutta la storia del nostro paese fosse fatta di gulag e battaglioni di disciplina. Migliaia di “storici” e propagandisti hanno riscritto i manuali scolastici”.

E continuano a farlo, possiamo aggiungere: ecco alcuni esempi. Nel testo di educazione sociologica per le 11° classi (più o meno, la nostra quinta superiore) redatto nel 2007 da A.Kravcenko e E.Pevtsova, era detto che tra “gli atteggiamenti da censurare massimamente ci sono quelli di rivoluzionari, terroristi, anti-patrioti, emigrati politici, traditori, atei, criminali, vandali, cinici e vagabondi”. In pratica, un qualunque libercolo della destra liberale non avrebbe potuto dipingere in modo diverso i rivoluzionari bolscevichi, a cominciare da Lenin: rivoluzionario, emigrato, ateo, “traditore al soldo dei tedeschi”, anti-patriota che voleva la disfatta del regime zarista nella guerra imperialista.

Nel 2011, gli stessi autori scrivevano che “un colpo di stato violento può verificarsi nelle situazioni di crisi. Ad esempio, in Cile, il generale Augusto Pinochet andò al potere a inizio anni ’70 del XX sec., dopo un fallito tentativo dei comunisti di attuare riforme socialiste che distruggevano l’economia”.

Nel manuale di storia per le 9° classi redatto da A. Danilov nel 2013, per caratterizzare il “Sistema politico dell’URSS negli anni ’30” e in particolare “Il ruolo dell’ideologia”, si ricorreva a un frammento del “Ritorno dall’URSS” di André Gide: “In URSS si è deciso una volta per tutte che, su qualsiasi questione, ci debba essere una sola opinione… Ogni mattina, la “Pravda” li [i cittadini, ndr] informa su cosa si debba sapere, cosa pensare e in cosa credere”.

Nel 2019, il testo di educazione sociologica delle 11° classi redatto da L.Bogoljubov, A.Lazebnikova e N.Smirnova, al paragrafo sul “Totalitarismo” scrive che: “Nella moderna letteratura scientifica, è consuetudine distinguere tra due principali varianti del totalitarismo: destra e sinistra… a destra… spiccano i regimi fascista e nazional-socialista di Italia e Germania; a sinistra, le dittature del blocco comunista… Nelle opere di K. Friedrich, Z. Brzezinski e altri si parte da due postulati-base: nazismo e comunismo sono simili nelle caratteristiche basilari; il totalitarismo non ha analoghi storici”.

Nel 2011, gli stessi descrivevano per le 9° classi il “totalitarismo” come sistema che, oltre alle dittature fascista (ma solo dal 1922 al 1943) e nazional-socialista (dal 1933 al 1945), si è avuto anche in URSS dal 1917 al 1991, in Albania con Enver Hoxha e in Corea del Nord dopo la Seconda guerra mondiale, in Vietnam e Cambogia dopo il 1975; mentre nei “paesi dell’ex blocco sovietico si erano adottati solo alcuni elementi del totalitarismo”.

Si arriva fino alla più alta carica del Paese, che, più di una volta, ha parlato del “ruolo eversivo” di Lenin e dei bolscevichi “nella storia russa. Hanno posto una bomba atomica sotto l’edificio che si chiama Russia”; perché la “Rivoluzione d’Ottobre, senza dubbio, è il più grande evento nella storia del mondo… è stato il prologo a un’enorme tragedia nazionale, un’enorme tragedia, in seguito alla quale milioni di persone sono morte, molte centinaia di migliaia sono rimaste senza casa, si sono trovate in terra straniera” dopo che l’URSS è “caduta, a causa di una politica economica irrazionale”, che produceva solo “calosce che si potevano esportare solo in Africa”.

Per i più giovani, il manuale di storia delle quarte classi elementari di Mosca racconta quale misera e oppressiva esistenza conducessero i cittadini sovietici negli anni ’30, e come i generali bianchi avessero combattuto per la libertà durante la guerra civile;[4] oppure di come fosse bella la Mosca zarista e come invece i bolscevichi ne avessero distrutti i monumenti più importanti.[5]

Poca meraviglia, dunque, che in Polonia (ma questo accade un po’ in tutti i paesi ex-socialisti d’Europa orientale) si distruggano a centinaia i monumenti ai soldati sovietici e polacchi caduti nella lotta contro l’occupazione nazista – seicentomila morti dell’Armata Rossa nella sola Polonia, quasi tre volte tanti quanti gli stessi soldati polacchi – mentre Varsavia prende sotto custodia statale le steli dedicate ai guerriglieri ucraini del UPA[6] (quegli stessi che si erano macchiati, tra l’altro, delle stragi di popolazione polacca in Volynia e Polesia nel 1942-’43; che avevano continuato far stragi tra i civili anche in Bielorussia fino al 1950) morti negli scontri con i reparti del NKVD dopo il 1945, quando continuavano quella che loro definivano una “guerra di liberazione dall’occupazione sovietica”.

D’altronde, nell’odierna vulgata del “Stalin peggiore di Hitler”, cui non è stata estranea, a suo tempo, la propaganda gorbaceviana-eltsiniana in Russia, ciò che conta è demonizzare il comune nemico sovietico e onorare sia UPA ucraino (numerosissimi guerriglieri del UPA furono amnistiati nel 1954, quando si decidevano i rapporti di forza tra Georgij Malenkov e Nikita Khrushcev), che Armia Krajowa polacca,[7] entrambe impegnate a sparare alle spalle ai soldati dell’Armata Rossa.

Dunque, può ben oggi l’ambasciatore polacco a Berlino Andrzej Przylebski dichiarare che “non l’Unione Sovietica, bensì gli alleati occidentali dettero il contributo decisivo alla conclusione della guerra”. Può ben Varsavia chiedere che Mosca – per quanto, dalle file della Corte costituzionale russa, qualche zelante giudice[8] liberale sollevi la questione se sia o meno la Russia “erede legittima dell’Unione Sovietica” – faccia pubblico pentimento per il patto Molotov-Ribbentrop e per l’intervento sovietico, il 17 settembre 1939, per liberare Ucraina e Bielorussia occidentali dal dominio polacco che si protraeva dal 1920,[9] intervento che avrebbe “impedito alla Polonia di resistere all’aggressione” nazista.

Ma non risulta che, da parte sua, la Polonia abbia mai fatto pentimento per le decine di migliaia di prigionieri dell’Esercito Rosso della giovane Russia sovietica, fucilati o fatti morire di fame, privazioni, malattie, nei lager polacchi di Dabie o Tuchola, dopo la battaglia di Varsavia del 1920: il cosiddetto “miracolo sulla Vistola”.[10]

L’importante è proclamare dai banchi del Parlamento europeo che la Polonia fu “vittima dei totalitarismi nazista e sovietico”. Ed è necessario urlarlo tanto più forte, per coprire la voce di chi si azzarda a ricordare i piani “Est” polacchi per aggredire l’Unione Sovietica, in accordo con la Germania nazista; la voce di chi ricorda, ad esempio, le indicazioni fornite nel marzo 1935 dal Ministro degli esteri polacco Jozef Beck all’ambasciatore a Mosca Juliusz Lukasiewicz, su come presentare le possibili reazioni di Mosca alla progettata annessione polacca della Lituania (con un colpo di stato di palazzo, accordi diplomatici, oppure con un intervento militare) con la collaborazione tedesca.[11]

L’importante è poi far approvare dal Sejm, il 9 gennaio 2020, la risoluzione che eguaglia responsabilità naziste e sovietiche per lo scoppio della guerra. Una risoluzione – “Sejm RP przeciw manipulacji i zaklamywaniu historii przez polityków Federacji Rosyjskiej” (“Il Sejm contro manipolazioni e menzogne sulla storia da parte dei politici della Federazione Russa”) – che “condanna le dichiarazioni provocatorie e non corrispondenti a verità dei rappresentanti di organi supremi della Federazione Russa, che tentano di far ricadere sulla Polonia la responsabilità per l’inizio della Seconda Guerra Mondiale”. Inoltre: “due regimi totalitari dell’epoca” portarono all’inizio della Seconda guerra mondiale, “Germania nazista e Unione Sovietica stalinista e, dopo la conclusione del vergognoso patto Ribbentrop-Molotov del 23 agosto 1939, la Polonia e i Paesi dell’Europa centrale e orientale furono le prime vittime” dei due regimi totalitari. Il Sejm “rende onore alle vittime del totalitarismo nazista e sovietico ed esprime l’auspicio che la storia del loro martirio non venga mai falsificata o sia oggetto di approcci strumentali”.

Questo accadeva dopo che, il 19 dicembre 2019, Vladimir Putin aveva bollato come “canaglia e porco antisemita” Józef Lipski, ambasciatore polacco a Berlino dal 1934 al 1939, per le sue dichiarazioni di voler erigere un monumento ad Adolf Hitler a Varsavia, in onore all’idea del Führer di deportare in Africa tutti gli ebrei tedeschi e polacchi.

Dopo di che, si era avuto un serrato scambio “diplomatico” tra ambasciata russa a Varsavia, Primo ministro polacco Mateusz Morawietskij e la cosmetista Georgette Mosbacher, ambasciatrice USA in Polonia. Mosca affermava che “alcuni paesi europei stanno cercando di riscrivere la storia”, e Putin citava documenti comprovanti la collusione tra Polonia e Germania nazista. Morawietskij dichiarava che il patto Molotov-Ribbentrop non era un “patto di non aggressione“, bensì il “prologo di crimini inimmaginabili commessi negli anni successivi da entrambe le parti“. L’ambasciata russa rispondeva che Morawietskij “non dice nulla di nuovo. Non dice nulla sulle affermazioni del Presidente russo, sulla politica di appeasement con la Germania hitleriana, perseguita dalle potenze occidentali e dalla Polonia fino al 1939, sul rigetto – con l’attiva partecipazione della Polonia – degli sforzi dell’URSS per la sicurezza collettiva di fronte alla minaccia fascista; nulla, sulla vergognosa cospirazione di Monaco, dopo la quale Polonia e Germania si erano spartite il territorio cecoslovacco; nulla, sugli atteggiamenti antisemiti nella Polonia d’anteguerra“. Spuntavano poi i messaggi via twitter di Georgette Mosbacher su “Hitler e Stalin che cospirarono per iniziare la Seconda guerra mondiale“, e dell’Ambasciata russa a Varsavia: “Spettabile signora ambasciatrice, pensa davvero di saperne più di storia che di diplomazia?“.[12]

E, tanto per rimanere in tema di “accordi segreti” allegati ai patti ufficiali, è andata ancora bene per Varsavia che, a quanto è dato sapere, Vladimir Putin non abbia accennato al testo dell’accordo segreto – pochi, per la verità, vi hanno fatto cenno – allegato al patto di non aggressione tedesco-polacco del 26 gennaio 1934, che era stato reso pubblico in Francia il 18 aprile 1935 dal settimanale Le Bourbonnais républicain e ripreso, due giorni dopo, da Pravda e Izvestija. Con esso, tra le altre cose, la Polonia si impegnava in politica estera a non adottare nessuna decisione senza prima consultarsi col governo tedesco e a rispettare in tutte le circostanze gli interessi di quel governo; inoltre Varsavia, che aveva rifiutato qualsiasi accordo franco-sovietico-polacco, non volendo permettere il transito verso ovest di reparti dell’Armata Rossa, si impegnava a “garantire il libero passaggio delle truppe tedesche attraverso il proprio territorio per respingere provocazioni da est o nordest.[13]

Come detto, la questione dei “protocolli segreti” sottoscritti da Molotov e Ribbentrop e allegati al patto di non aggressione sovietico-tedesco, non è affatto nuova: lo stesso ex Commissario del popolo agli affari esteri, Vjaceslav Molotov, ne ha sempre negato l’esistenza, fino alla fine dei suoi giorni, confermando invece un’intesa sovietico-germanica sulla delimitazione delle sfere di interessi. Nelle famose conversazioni con lo scrittore Feliks Chuev, che coprono un periodo di 17 anni, dal 1969 al 1986, Molotov parla della necessità che aveva l’URSS di rafforzare le proprie posizioni strategiche – con Repubbliche baltiche, Bessarabia, Ucraina e Bielorussia occidentali tornate a far parte dell’Unione Sovietica, questa spostava verso occidente le proprie frontiere e si premuniva da prossime, prevedibili aggressioni – ma nega ripetutamente, anche a distanza di anni, l’esistenza di accordi segreti.[14]

Nel saggio “I documenti sovietico-germanici dell’agosto 1939: i problemi delle fonti”,[15] Mikhail Mel’tjukhov scrive che la storiografia sovietica aveva in alcune occasioni (nel 1960 e nel 1974) ammesso indirettamente l’esistenza di tali accordi segreti, parlando del fatto che, “scegliendo l’accordo con la Germania, il Governo sovietico poteva ancora impedire la conquista tedesca dei Paesi baltici… e salvare dall’attacco hitleriano Ucraina occidentale e Bielorussia occidentale”. Inoltre, scrive Mel’tjukhov, “i documenti diplomatici oggi accessibili di Germania e URSS confermano pienamente quelle asserzioni. Viene stabilito con precisione che non esisteva nessun accordo sovietico-germanico per un attacco congiunto alla Polonia”.

E, comunque, se si ricorda come la dichiarazione, da parte di Mosca, sull’esistenza di accordi e protocolli segreti, risalga fondamentalmente agli anni 1988-1989, vale a dire lo stesso periodo che ha dato i natali a una corposa serie di documenti sui “crimini stalinisti”, che la commissione guidata da Aleksandr Jakovlev, il cosiddetto “architetto della perestrojka”, avrebbe “rinvenuto” negli archivi del PCUS,[16] appare chiaro il perché diversi storici nutrano seri dubbi sulla consistenza di tale dichiarazione.

Così come dubbi vengono addirittura espressi sull’autenticità degli esemplari dei “protocolli segreti” la cui versione sovietica (finora si sarebbe conosciuta solo la versione tedesca) il Ministero degli esteri russo ha reso pubblica nell’estate 2019. Il confronto tra le immagini delle versioni tedesca e russa, non solo dei presunti protocolli, ma dello stesso Patto di non aggressione, scrive ancora Mel’tjukhov, solleva diversi interrogativi. La stessa compilazione del Patto non sembra rispondere alla comune pratica diplomatica: dall’immagine dell’esemplare tedesco, ad esempio, sembra che le firme di Ribbentrop e Molotov siano apposte in una pagina diversa da quella del testo, addirittura sul retro della pagina. Ancora più “curioso” il fatto che, nella versione tedesca, Molotov avesse firmato con caratteri latini, assolutamente non usuale per lui, come fa ora notare suo nipote. Nel “protocollo segreto”, poi, la firma di Molotov starebbe sopra a quella di Ribbentrop e non a fianco; nel testo tedesco si noterebbero alcune correzioni e discrepanze; e, comunque, nessuna ratifica si sarebbe avuta, né da parte tedesca, né sovietica, il che renderebbe il presunto accordo nulla più di un “protocollo d’intenti”. Per non parlare del fatto che, nell’appunto preparato da Ribbentrop per Hitler, in riferimento alla bozza d’accordo, nella versione pubblicata nel 1948 dal Dipartimento di Stato [all’interno del già citato “Nazi-Soviet Relations” e che costituisce la prima “rivelazione” sull’esistenza dei protocolli segreti; ndr], è impossibile non rilevare “sviste” grossolane quali “beide Erklärungen” invece di “beide Regierungen” e, ancora più singolare, “stark geheim” invece del tedesco “streng geheim”.

Comunque sia, la storiografia liberale batte da decenni sul tasto del patto di non aggressione (e ancor più sui famigerati “protocolli segreti”) sovietico-tedesco, quale “mano libera” data da Mosca a Hitler per l’attacco alla Polonia, dopo il quale le democrazie occidentali furono costrette a entrare in guerra contro la Germania, mentre l’URSS ne approfittava per “invadere” la Polonia da est. La linea seguita è sempre stata quella, in generale, della volontà guerrafondaia hitleriana, della malafede sovietica e della ricerca affannosa, da parte delle potenze occidentali, delle vie per mantenere la pace; ricerca frustrata dalla doppiezza di Mosca, che non voleva, in realtà, giungere a un accordo anti-hitleriano con Londra e Parigi.

Eloquente il caso, ad esempio, dello storico svizzero Walther Hofer che, già più di cinquant’anni fa, da un lato polemizzava con quegli storici che parlavano di “scoppio” casuale della guerra, dal momento che, dicevano, Hitler avrebbe cercato di ottenere gli allargamenti territoriali per via pacifica; dall’altro, dipingeva le minime fonti sovietiche, da lui stesso citate, come “un’unica serie di deformazioni e di malevoli insinuazioni ai danni delle potenze occidentali, aventi lo scopo di giustificare il patto con la Germania”. Accusando lo storico britannico Alan John Percivale Taylor[17] – peraltro, convinto difensore della politica di appeasement di Neville Chamberlain – di non aver compreso la politica estera nazional-socialista, Hofer gli imputava di aver frainteso anche “la politica estera sovietica, sempre perché non dà importanza al sistema di dominio e all’ideologia delle dittature e non vuol ammettere che rientra perfettamente nella dottrina di Lenin e di Stalin il provocare una guerra tra stati capitalisti. Pretende che l’URSS intendeva sinceramente allearsi con le potenze occidentali e che si sarebbe rivolta alla Germania solo 

A proposito della scarsissima volontà dimostrata nel 1939 da Londra e Parigi[19] di concludere un’alleanza anti-nazista con l’URSS, Hofer invertiva allegramente i ruoli e sentenziava che “Non vi è nessun dubbio che fin dall’inizio l’URSS abbia fatto il doppio gioco per infine concludere con il competitore che offriva maggiormente”.[20]

Come aveva invece dichiarato alle Izvestija il Commissario del popolo alla difesa, Kliment Voroshilov, il 26 agosto 1939, dopo la partenza da Mosca della missione militare anglo-francese: “I negoziati militari con Inghilterra e Francia non si sono interrotti perché l’URSS ha concluso un patto di non aggressione con la Germania, ma, al contrario, l’URSS ha concluso un patto di non aggressione con la Germania come risultato, tra l’altro, del fatto che i negoziati militari con Inghilterra e Francia sono finiti in un vicolo cieco a causa di divergenze insormontabili”.[21]

Hofer, inoltre, ancora riferendosi a Taylor, lo accusava di rendersi “complice della propaganda totalitaria e rifiuta di riconoscere nel patto [sovietico-tedesco; ndr] la spartizione della Polonia”. E infine: “Quando, anni addietro, uscì in inglese il mio libro sugli antecedenti della seconda guerra mondiale, Taylor scrisse in suo commento a proposito della tesi secondo cui il 23 agosto 1939 Stalin ha dato via libera a Hitler per la guerra da lui progettata, che bisogna sapere ch’essa è stata elaborata presso l’Ora, trattandosi di uno storico di professione, non è certo il caso di sospettare che fossero ignote a Hofer le reali dichiarazioni sovietiche a proposito della volontà di pace dell’URSS: chiunque ne voglia prender conoscenza per esteso, sono facilmente reperibili, in moltissime lingue. Qui, ci limitiamo a indicare il terzo paragrafo della prima sezione del rapporto di Iosif Stalin al “famigerato” – anche in certa sinistra – XVII Congresso del VKP(b) del gennaio 1934; in particolare, le parole in cui il leader sovietico, constatata la positiva conclusione di patti di non aggressione tra URSS e vari paesi, tra cui Polonia, Finlandia, Francia, Italia, e rispondendo indirettamente a “certi politici tedeschi”, che accusavano Mosca di “orientarsi verso Francia e Polonia e da nemica del trattato di Versailles trasformarsi in sostenitrice”, diceva che “non eravamo orientati prima verso la Germania, così come ora non lo siamo verso Polonia e Francia. Noi ci orientavamo in passato e ci orientiamo al presente verso l’URSS e soltanto verso l’URSS. E se gli interessi dell’URSS richiedono l’avvicinamento a questi o quei paesi non interessati a distruggere la pace, noi seguiremo questa via”. Dunque, l’URSS “non pensa a minacciare e tantomeno attaccare chicchessia. Siamo per la pace e difendiamo la causa della pace. Ma non temiamo le minacce e siamo pronti a rispondere colpo su colpo ai fomentatori della guerra”.[23]

Cinque anni dopo, nel rapporto al XVIII Congresso del marzo 1939, quando il mondo aveva già assistito all’attacco giapponese alla Manciuria, all’invasione italiana dell’Abissinia, alla crisi dei Sudeti, al complotto di Monaco tra Germania, Italia, Gran Bretagna e Francia, allo smembramento della Cecoslovacchia, Stalin constatava che la “nuova crisi economica doveva condurre e in effetti sta portando all’ulteriore inasprimento della lotta imperialista. Non si tratta già più né della concorrenza per i mercati, né di una guerra commerciale, né di dumping. Tali mezzi di lotta sono già da tempo considerati insufficienti. Si tratta ora di una nuova spartizione del mondo, di sfere d’influenza, colonie, per mezzo della guerra.

Il Giappone ha preso a giustificare le proprie azioni aggressive con l’argomento secondo cui era rimasto escluso dall’accordo delle nove potenze e non gli era stato permesso di allargare il proprio territorio a spese della Cina, mentre Inghilterra e Francia possiedono immense colonie. L’Italia ha ricordato di essere stata esclusa dalla divisione del bottino dopo la prima guerra imperialista e che deve compensare se stessa a spese delle sfere d’influenza di Inghilterra e Francia; la Germania, seriamente colpita dalla Prima guerra mondiale e dalla pace di Versailles, si è unita a Giappone e Italia e ha preteso l’allargamento del proprio territorio in Europa, il ritorno delle colonie sottrattele dai vincitori della prima guerra mondiale”. Riguardo a cancellerie e stampa europee e americane, Stalin notava che erano state “profondamente deluse” dai tedeschi, “dal momento che, invece di proseguire ancora verso est, contro l’Unione Sovietica, essi, guarda un po’, si sono volti a ovest e pretendono le colonie. Si può credere che abbiano ceduto ai tedeschi i territori cecoslovacchi, quale prezzo per l’impegno a cominciare la guerra contro l’Unione Sovietica, mentre i tedeschi rifiutano di pagare la cambiale”.

Ma, in generale, come era potuto accadere, si chiedeva Stalin, “che i paesi non aggressivi, forti di immense possibilità, così facilmente e senza resistenza, abbiano rinunciato alle proprie posizioni e ai propri impegni, a vantaggio dell’aggressore? Non si spiega con la debolezza degli stati non aggressivi? Naturalmente no! Gli stati non aggressivi, democratici, presi insieme, sono indubbiamente più forti degli stati fascisti, sia economicamente, che militarmente. Come si spiegano allora le sistematiche concessioni di questi stati all’aggressore? Si potrebbero spiegare, ad esempio, con la paura della rivoluzione, che potrebbe scoppiare se gli stati non aggressivi entrassero in guerra e la guerra assumesse carattere mondiale. I politici borghesi sanno, naturalmente, che la prima guerra mondiale imperialista diede la vittoria della rivoluzione in uno dei paesi più grandi. Essi temono che la seconda guerra mondiale imperialista possa condurre alla vittoria della rivoluzione in uno o più paesi. Ma questa non è l’unica ragione e nemmeno la principale. La ragione principale consiste nel rifiuto, da parte della maggioranza dei paesi non aggressivi e principalmente Inghilterra e Francia, alla politica di resistenza collettiva agli aggressori, nel loro passaggio alla politica di appeasement”[24].

D’altronde, anche prima del 1939, in Unione Sovietica si era convinti che la guerra mondiale fosse già un fatto. Nel famoso “Breve corso della storia del VKP(b)”, redatto sotto la supervisione di Iosif Stalin e pubblicato nel 1938, era scritto che “La seconda guerra imperialista di fatto è già iniziata. È iniziata in sordina, senza dichiarazioni di guerra. Gli stati e i popoli, quasi in modo impercettibile, sono scivolati nell’orbita della seconda guerra imperialista a causa delle aggressioni di Germania, Italia e Giappone; la guerra ha già trascinato nella sua orbita oltre mezzo miliardo di persone”.

Sempre nel 1938, Krasnaja Zvezda [Stella Rossa, giornale delle Forze armate] pubblicava un materiale della Direzione Politica della Raboce-Krest’janskaja Krasnaja Armija che, come “Ausilio al propagandista del RKKA”, già nel titolo di copertina scriveva che “La seconda guerra imperialista è iniziata”.[25] Nello stesso anno, scrivendo sul Bol’shevik con lo pseudonimo di V. Gal’janov, anche il vice Commissario del popolo agli affari esteri, Vladimir Potemkin, affermava che la seconda guerra imperialista mondiale era già iniziata, con aggressioni in varie parti del mondo, che dividevano le principali potenze capitaliste in aggressori (Germania, Italia, Giappone) e conniventi con gli aggressori (Inghilterra, Francia, USA) e, sebbene tale connivenza danneggiasse gli interessi delle potenze occidentali, costituiva però una politica volta a far scontrare gli aggressori con l’Unione Sovietica. Inghilterra e Francia continuano le concessioni a Germania e Italia, scriveva Potemkin, perché temono il crack dei regimi fascisti, caduti i quali potrebbe trionfare il bolscevismo.[26]

Di recente, nell’agosto 2019, l’organo del KPRF, “Pravda”, pubblicava un intervento dello storico Vladislav Grosul. Con il titolo, “Quando è cominciata la Seconda guerra mondiale?”, la “Pravda” sottolineava come la risposta a tale domanda rivesta un carattere non solo scientifico, ma anche politico. Nell’articolo, Grosul affermava di non essere mai stato fautore della tesi, sostenuta dalla storiografia moderna, circa “la data del 1 settembre 1939. Già il mio insegnante (ho terminato gli studi nel 1956), veterano della Grande Guerra Patriottica, considerava quale inizio della seconda guerra mondiale l’attacco italiano all’Etiopia (Abissinia) e sottolineava che a quel tempo la guerra era già in corso in tre continenti”. Grosul ricordava di aver scritto già nel 2002 che la Seconda guerra mondiale era iniziata con l’attacco giapponese alla Cina del 1931”, mentre la data del 1 settembre 1939 “ci è stata imposta per dimostrare che l’URSS è colpevole al pari della Germania fascista per lo scatenamento della Seconda guerra mondiale”. Nell’intervento sulla “Pravda”, lo storico ricordava come anche altri studiosi, nonostante la propaganda ufficiale, siano stati e siano tuttora fautori di una diversa periodizzazione e citava i nomi di V. Falin, I. Mozhejko, J. Bandura, L. Ol’shtynskij, N. Narochnitskaja, A. Kolpakidi, V. Stepakov, J. Butakov e molti altri. Ricordava inoltre come, già nel 1946, l’allora capo-delegazione britannico all’ultima sessione della Società delle Nazioni, Philip Noel-Baker, avesse dichiarato: “Sappiamo che la guerra mondiale è iniziata in Manciuria 15 anni fa”, vale a dire nel 1931.[27]

E, però, impostazioni à la Hofer, erano rimaste per molto tempo limitate agli ambienti degli storici della destra liberale che, a parte qualche eccezione, conservavano per lo più delle remore ad accusare apertamente l’URSS di corresponsabilità nello scatenamento della guerra. D’altra parte, esisteva pur sempre l’Unione Sovietica che, almeno su quel versante, non aveva alcuna intenzione di far sconti alla storiografia liberale.

Le cose sono cambiate a partire dalla metà degli anni ’80 e poi, ovviamente, dopo il 1991, allorché i “nuovi russi” in prima persona avevano preso a dare per buone le interpretazioni occidentali e, ansiosi di “fare pentimento” per il passato sovietico, si erano messi a “scavare negli archivi”, per portare alla luce “le prove” della “malvagità stalinista”. E, se non sempre era stato possibile portare “prove” a suffragio del pentimento, allora le si “rinveniva” nei cosiddetti “documenti d’archivio”, salvo poi qualche ricercatore un po’ più scrupoloso rischiasse la vita mettendo in discussione la loro autenticità.[28]

Si è così arrivati al presente, quando il campo della “ricerca storica” è venuto rivelandosi insufficiente alla necessità politica della esorcizzazione, a livello “di massa”, dello spettro del comunismo e alla prossima stoccata finale della messa fuori legge dei comunisti all over the world e non solo nelle “nuove democrazie” dell’est europeo. Per cercare di ottenere il risultato voluto, si deve dichiarare a livello “istituzionale” e “europeista”, che i democratici devono stare in guardia contro i comunisti di oggi, che essi sono gli stessi di ieri e sono gli eredi e i seguaci di coloro che, in un passato prossimo, si sono macchiati di tali e talaltri “crimini efferati” e, dunque, sono sempre pronti a ripetere le gesta dei loro avi, i quali, ottanta anni fa, si erano messi d’accordo con i nazisti per schiacciare la democrazia nel mondo intero.

E la prova che i comunisti siano tanto più satanici dei nazisti, sta nel fatto che, a differenza dei nazisti, sconfitti dalle sole armate anglo-americane sbarcate in Francia nel 1944 per liberare l’Europa intera, i comunisti sono riusciti a rimanere in vita fino ad oggi, anche se non al potere. Dunque, vanno espiantati ex lege, cominciando col dare in pasto alle coscienze il “peccato originale” di cotanta mefistofelica sopravvivenza: il patto coi nazisti.

Note

[1]  Questo il nome in codice dell’offensiva in Bielorussia, condotta dal 23 giugno al 29 agosto 1944. L’organizzazione assolutamente segreta e il positivo risultato delle precedenti operazioni sul fronte ucraino, indussero in inganno i tedeschi, che si aspettavano qui anche l’attacco successivo e vi avevano quindi concentrato la maggior parte del loro potenziale a sudovest (Ucraina). Sul fronte nordovest (Bielorussia), rimasto a lungo relativamente inattivo, i tedeschi si sentivano sicuri, tanto più che vi avevano anche rafforzato le difese. In generale, i comandi della Wehrmacht erano ora sulla difensiva a oriente, in attesa dello sbarco alleato in Francia. “Bagration” fu lanciata dunque in concomitanza con lo sbarco in Normandia, per impedire alla Wehrmacht di trasferire truppe a occidente (sul fronte orientale c’erano 235 divisioni nemiche, e solo 65 a occidente) e il suo successo fu una sorpresa per il comando sovietico non meno che per i tedeschi: lo Stavka (il Quartier generale dell’Alto comando) non si aspettava di rigettare indietro il nemico di 500-600 km in due mesi. Con “Bagration”, furono liberate le Bielorussia, parte di Lituania e Lettonia, si sfondò in Polonia e fu raggiunto il confine della Prussia orientale. Si trattò di una delle più grandi offensive della storia: si scontrarono circa 850.000 tedeschi e oltre 1.200.000 soldati sovietici. Le perdite furono in ogni caso elevate per entrambe le parti: 180.000 morti (oltre il 7% degli effettivi) per l’Esercito Rosso e circa 500.000 feriti; di contro, il Gruppo di armate “Centro” tedesco cessò praticamente di esistere e gravi perdite subirono anche i Gruppi di armate “Nord” e “Nord Ucraina”, con perdite irrecuperabili stimate in 300-400.000 uomini e circa 100.000 feriti, senza contare i prigionieri.

Il maresciallo Konstantin Rokossovskij, ricorda che nell’operazione furono coinvolte le truppe di quattro Fronti: il 1° Fronte bielorusso, da lui stesso comandato, il 2° e 3° Fronte bielorusso, comandati rispettivamente da Ivan Petrov e Ivan Cernjakovskij e il 1° Fronte del Baltico, al comando di Ivan Bagramjan. “Il Comandante in capo [Stalin] e i suoi vice” ricorda Rokossovskij, “insistevano per sferrare un unico grande colpo dalla testa di ponte sul Dnepr, in mano alla 3° Armata. Due volte mi fu proposto di appartarmi nel salone attiguo per riflettere sulla proposta dello Stavka. Dopo ognuna di queste “riflessioni”, tornavo a difendere la mia decisione con rinnovato vigore. Convintosi che io insistevo fermamente sul mio punto di vista, Stalin approvò il piano dell’operazione nella forma in cui lo avevo presentato. “La fermezza del Comandante del Fronte” disse, “dimostra che l’organizzazione dell’offensiva è stata attentamente studiata”. E questa è una sicura garanzia di successo”. (https://histrf.ru/biblioteka/b/kratkii-kurs-istorii-opieratsiia-baghration)

[Il principe Pëtr Bagration fu uno dei protagonisti della guerra contro l’invasione napoleonica. Il 26 agosto 1812, nel corso della battaglia di Borodinò, il 2° Esercito occidentale, da lui comandato, respinse tutti gli attacchi delle truppe napoleoniche, finché il generale non fu ferito alla tibia sinistra. Morirà il 12 settembre, a causa della cancrena, avendo rifiutato l’amputazione della gamba].

[2]  Il 12 gennaio 1945, le truppe sovietiche lanciarono l’operazione Vistola-Oder. Anche in questo caso, come per l’operazione “Bagration”, i risultati superarono le attese: già a inizio febbraio, le truppe di Georgij Zhukov e Ivan Konev erano arrivate all’Oder e si trovavano a 60-70 km da Berlino. Nei piani dello Stavka, l’inizio dell’operazione era previsto successivamente al 20 gennaio, ma il 6 gennaio Churchill si era rivolto a Stalin [vedi infra: la parte conclusiva dell’opuscolo sovietico “Falsificatori della storia”] chiedendogli di alleggerire la critica situazione degli Alleati nelle Ardenne. Nonostante le non favorevoli condizioni meteorologiche, Stalin venne incontro alla richiesta e anticipò l’avvio dell’operazione. L’attacco fu preceduto da una “artpodgotovka” portata da 250-300 cannoni di vario calibro per ogni km. Le linee tedesche ne furono sconvolte e ne risentirono anche le riserve, che erano state fatte avanzare: ciò provocò un veloce sfaldamento del loro intero sistema difensivo. Così che, già dopo cinque giorni dall’inizio dell’operazione, Varsavia era presa, dopo di che, in 23 giorni, le linee sovietiche erano avanzate di 500 km: Cracovia era occupata, un forte contingente tedesco rimaneva accerchiato a Poznan. Avendo iniziato lo sfondamento in diversi settori molto distanti tra loro, su un fronte di 73 km, le truppe del 1° Fronte bielorusso e del 1° Fronte ucraino, il terzo e quarto giorno dell’offensiva avevano già allargato il fronte a 500 km e alla fine dell’operazione persino a 1000 km, con una profondità che raggiungeva i 500 km. I tempi medi giornalieri dell’avanzata furono di 25 km, con punte di 45 km per la fanteria e di 70 km per le unità corazzate e meccanizzate. Le perdite tra le forze sovietiche furono di 43.251 uomini, vale a dire circa il 2% degli effettivi impiegati (2.112.700) e 149.874 feriti.  (https://histrf.ru/lenta-vremeni/event/view/vislo-odierskaia-opieratsiia)

[3]  http://contropiano.org/news/internazionale-news/2019/06/04/75-della-vittoria-sul-nazismo-la-storia-rubata-0116089

[4]  https://alleng.org/d/soc/soc167.htm

         http://vip8082p.vip8081p.beget.tech/История_России_9_класс_Данилов/25.html

         http://www.husain-off.ru/bibl/bog11/b_15.html

https://www.facebook.com/photo.phpfbid=2778983522217589&set=gm.2562455330742936&type=3&eid=ARAE1FCgCaSPajqctDnccRqg_6lpxJaBvF_8YCvH2kvreyx4cC4pfyHBEM5Sg_pX4t2dTk31A33ExOyx

        Per chi conosce il russo, da twirpx.com oppure gdz.ru si possono scaricare molti manuali scolastici russi contemporanei

[5]  https://zen.yandex.ru/media/klio_club/falsifikat-istorii–detiam-ili-kakuiu-istoriiu-vbivaet-v-soznanie-shkolnikov-pravitelstvo-moskvy-5e4a4b0ae9c3ad18fb31d0a4?fbclid=IwAR2HhfDS9s0tRsJKEs_E8qmK4NPvF2Tjc1KKHtixAndF5N1-prnjbBkR4sg

[6]  UPA:Ukrains’ka povstanc’ka armija: esercito insurrezionale ucraino, ala militare della Organizatsija ukrainc’ikh natsionalictiv; durante la guerra, perpetrò massacri di popolazione civile polacca, ucraina, bielorussa, combatté contro l’Armata Rossa. A essi si rifanno oggi i battaglioni neonazisti ucraini che si macchiano di delitti contro i civili del Donbass.

Vedi infra Nota 16 de “La pubblicistica russa oggi”: i nazionalisti ucraini del OUN già nel periodo prebellico combattevano sia contro l’occupazione polacca dell’Ucraina occidentale, sia contro l’Unione Sovietica. Al momento dell’invasione tedesca, si schierarono con le forze naziste, formando il battaglione “Nachtigall”. Di nazionalisti e collaborazionisti ucraini erano formati anche il battaglione “Roland” e la divisione “Galizia” (XIV.Waffen-Grenadier-Division der SS «Galizien»): tutti, impiegati principalmente nelle azioni di rastrellamento e in massacri di popolazione civile. Alcuni reparti della divisione “Galizia”, inquadrati nelle SS combattenti tedesche, presero parte a operazioni anti-partigiane in Francia, Polonia, Jugoslavia e Ucraina occidentale. Dal OUN prese corpo nel 1943 l’ala militare dei nazionalisti, l’Esercito insurrezionale ucraino (UPA), con a capo Roman Shukhevic, che si macchiò, tra l’altro, dei massacri di migliaia di civili polacchi della Volynia. Il leader del OUN, Stepan Bandera, riparato in Germania alla fine della guerra e condannato a morte in contumacia nel 1949 dalla Corte suprema dell’URSS, il 15 ottobre 1959 fu liquidato a Monaco, dove viveva sotto falso nome, da agenti sovietici, utilizzando una speciale pistola che spruzzava cianuro di potassio. L’1 gennaio, sua data di nascita, è oggi festa nazionale nell’Ucraina neo-nazista. Nove anni prima di Bandera, il 5 marzo 1950, anche Roman Shukhevic era rimasto ucciso a L’vov, in un conflitto a fuoco con gli agenti del Ukrainskoe Ministerstvo Gosudarstvennoj bezopasnosti.

[7]  Armia Krajowa (Esercito Patrio): rispondeva al governo polacco emigrato a Londra. Obiettivo del governo in esilio era il ripristino dello stato polacco nei confini del 1939, con Ucraina e di Bielorussia occidentali; per questo, l’AK comandò la sconsiderata insurrezione di Varsavia del 1 agosto 1944, per anticipare l’arrivo dell’Armata Rossa, che non era ancora pronta per l’attacco. Come osserva la storica Nina Vasileva su stat.mil.ru, l’AK intendeva tenersi pronta all’azione contro quelle forze politiche polacche che erano in opposizione al governo in esilio e che erano orientate politicamente e militarmente verso l’URSS; per questa ragione, il governo in esilio, proclamando una tattica attesista, si opponeva alla guerra partigiana in Polonia. Se tale era l’attività dell’AK in Polonia, altri due eserciti polacchi furono organizzati in URSS, raccogliendo ufficiali e soldati internati nel 1939. Uno, nel 1943: la divisione di fanteria “Tadeusz KoÅ›ciuszko”, agli ordini di Zygmunt Berling, che sarà poi la prima unità dell’Esercito polacco (Pierwsza Armia Wojska Polskiego), che combatté sul fronte orientale e a cui i comandi sovietici lasciarono l’onore di entrare per primi a Varsavia. L’altro, il cosiddetto esercito di Anders [Wladyslaw Anders] costituito principalmente di ufficiali e soldati che non volevano combattere a fianco dell’Armata Rossa e che a varie riprese, durante l’internamento, avevano dichiarato di voler combattere sì contro i tedeschi, ma, una volta sconfitti quelli, voler rivolgere le armi contro l’esercito sovietico, fu lasciato partire per l’Iran. Qui, secondo le stesse testimonianze inglesi e americane, non manifestò forti temperamenti bellici; infine, fu aggregato in Nord Africa all’8° Armata britannica e, dopo, prese parte alla battaglia di Montecassino in cui, nonostante le gravissime perdite, solo nominalmente fu artefice della conquista dell’obiettivo, ormai aggirato dalle truppe coloniali francesi attraverso i monti Aurunci e abbandonato dai tedeschi.

[8]  http://contropiano.org/news/internazionale-news/2020/02/19/e-o-no-la-russia-erede-legittima-dellurss-0124215

[9]  Il sogno mai spento di Varsavia per la Rzeczpospolita del 1772, con l’etnia polacca dominatrice e civilizzatrice sulle popolazioni ucraina e bielorussa, unito al miraggio di uno smembramento dell’URSS e considerando polacche le terre a est del Berezina e fino al Dnepr. Come sosteneva Aleksandr Mejshtovic, Ministro della giustizia polacco dal 1926 al 1928: “La storia stessa ha decretato la Bielorussia essere un ponte per l’espansione polacca a est. La massa etnica bielorussa deve esser trasformata in popolo polacco. Questa è la sentenza della storia, noi dobbiamo contribuirvi” (citato da Kirill Shevcenko nel volume collettaneo “La coalizione anti-hitleriana. 1939. Cronaca di un fallimento”; Moskva 2019, pag. 54)

[10]  Nel 1921, con la fine della guerra tra la Russia sovietica e la Polonia dei pan, Ucraina e Bielorussia occidentali passarono sotto dominio polacco. Varsavia si comportò in modo disumano con i prigionieri di guerra del giovane Esercito Rosso: si parla di circa 200.000 prigionieri, di cui tra 60 e 80.000 morti nei campi di prigionia polacchi a causa di fame, malattie, freddo in assenza di indumenti invernali e adeguato riscaldamento delle baracche.

Louis Fischer, in “I sovieti nella politica mondiale” (ed. italiana Vallecchi, 1957; 2 voll.) ricorda come, con il trattato di Riga, la Polonia avesse ottenuto territori di diverse centinaia di chilometri più a est della “Linea Curzon”, stabilita dagli Alleati al termine della Prima guerra mondiale, con una popolazione di poco meno di 4 milioni di abitanti, di cui solo 1 milione polacchi (vol, 1, pag.318). Fischer riporta anche le parole pronunciate ai Comuni il 10 agosto 1919 dall’ex premier britannico Herbert Asquith a proposito della Polonia: “una popolazione colpita dalle malattie e dalla carestia, per cui non si esagera dicendo che fosse sull’orlo della rovina nazionale; ed è in questa condizione di cose che essa incominciò la sua campagna. Suo scopo dichiarato era di sbarazzarsi delle sue relativamente anguste frontiere, per quanto non fossero disprezzabili… e spingersi oltre di esse fino agli antichi confini della Polonia del 1772… fu un’avventura puramente aggressiva… un’impresa scellerata” (vol. 1, pag.281).

[11]  Vedi il volume documentario “URSS-Germania. 1932-1941” (Moskva, “IstLit” 2019; pag.111)

[12]  http://contropiano.org/news/internazionale-news/2020/01/13/varsavia-proibisce-per-legge-linterpretazione-russa-della-storia-della-seconda-guerra-mondiale-0122925

[13]  https://history.wikireading.ru/193276?fbclid=IwAR018qRSZ1_nVOUZCfF9Zf2A-36946LuK_7535sz1jdc0IIfpRcgPyI1rP Anche Artur Artuzov osserva come il piano segreto allegato all’accordo polacco-tedesco, sia stato bellamente passato sotto silenzio dai leader polacchi nella loro polemica a distanza con Vladimir Putin. Negli archivi non è stato rinvenuto sinora nessun documento originale, scrive Artuzov. Ci sono tuttavia una massa dei più svariati dati, che parlano dell’esistenza di un accordo segreto. “Ci sono molte voci e supposizioni su accordi segreti polacco-tedeschi, conclusi al di fuori dei documenti pubblicati”, diceva il Commissario del popolo agli esteri sovietico Maksim Litvinov all’ambasciatore francese a Mosca, Charles Alphand, il 20 aprile 1934; “Siamo molto cauti con informazioni simili; tuttavia, abbiamo ricevuto un messaggio che merita di essere preso sul serio. In esso si parla di un accordo polacco-tedesco di lunga portata, che abbraccia molti problemi internazionali. Gli aspetti più direttamente preoccupanti per la Francia sono il sostegno della Polonia all’Anschluss, eguali diritti alla Germania per gli armamenti, i progetti italo-tedeschi di riforma della Società delle Nazioni, nel senso di una separazione del patto della Lega dal trattato di Versailles e, infine, la promessa di neutralità polacca in caso di guerra preventiva contro la Germania”. Il 24 ottobre 1934, il primo ministro francese Gaston Doumergue diceva all’incaricato d’affari dell’URSS in Francia, Marsel’ Rozenberg, di “condividere la convinzione di Litvinov sull’esistenza di un patto segreto polacco-tedesco” e che, sin dal viaggio di Bartou a Varsavia (aprile 1934) egli “non si fa illusioni al proposito”. https://www.facebook.com/search/top/?q=Артур%20Артузов&epa=SEARCH_BOX

[14]  Feliks Chuev, “Centoquaranta conversazioni con Molotov”; Moskva, “Terra”, 1991

[15]  Nel già citato “La coalizione anti-hitleriana. 1939”, pagg.266-297

[16]  A dir poco curiosa, ad esempio, la questione della causa intentata tra il 2007 e il 2008, di fronte alla Corte di Strasburgo, da discendenti di alcuni degli ufficiali polacchi fucilati nei boschi di Katyn’ che, per ottenere risarcimenti  dalla Russia, avevano presentato come prova i documenti messi in circolazione dalla “commissione Jakovlev”: nel 2012 la Corte europea non ammise come prova tali “documenti”, ritenendoli un falso. Ciò, nonostante che, ancora nel novembre 2010, la Duma russa avesse adottato una dichiarazione “Sulla tragedia di Katyn’ e le sue vittime”, in cui definiva gli eventi di Katyn’ un crimine commesso su ordine diretto di Stalin e altri leader sovietici.

[17]  Come scrive lo storico Vladimir Ruzhanskij [vedi infra in “La pubblicistica russa oggi”: Vladimir Ruzhanskij, Chi ha scatenato davvero la Seconda Guerra Mondiale? ] fino al momento dell’uscita, nel 1961 in Gran Bretagna, del libro di Alan John Percivale Taylor, “The Origins of the Second World War”, in cui l’autore si faceva apologeta di Neville Chamberlain e della sua politica di riappacificazione con l’aggressore, nella storiografia britannica era rimasta dominante la concezione secondo cui la Seconda guerra mondiale era stata scatenata dalla Gran Bretagna. Da quel momento e fino ai giorni nostri, nella questione delle cause della Seconda guerra mondiale sussistono due approcci nella storiografia britannica: una ortodossa e una revisionista. I rappresentanti della prima sono solidali con la posizione degli autori di “Guilty Men”. I rappresentanti della seconda si basano sulle tesi di A. J. P. Taylor. http://realtribune.ru/news/world/3402?fbclid=IwAR1NreaLpxomljuLb4UAVAyQZ7-8hE0rmlCjKbJls8c6kOKjuhgrS0RE3xQ “Guilty Men” è il titolo di un opuscolo di poco più di un centinaio di pagine, pubblicato nel luglio 1940 da tre giornalisti britannici, (dietro lo pseudonimo di “Cato”: Michael Foot, Frank Owen e Peter Howard. Verosimilmente, ispirati da Winston Churchill) in cui senza mezzi termini si accusava la leadership britannica della responsabilità per lo scoppio della Seconda guerra mondiale. Curioso, per citare soltanto un paio di passaggi del libro, quanto scritto a proposito di Sir Samuel Hoare, che il 18 giugno 1935, in qualità di Segretario di stato agli esteri, sottoscrisse l’accordo navale tra Gran Bretagna e Germania: “Sam Hoare is the creator of the German Navy… As Foreign Secretary, Sir Samuel Hoare passed from experience to experience, like Boccaccio’s virgin, without discernible effect upon his condition”. (Guilty Men, London, 1941, pagg.40-41. Il riferimento è a Alatiel, la protagonista della 7° novella della seconda giornata del Decameron). A proposito della minima differenza tra le pretese di Hitler sulla Cecoslovacchia, respinte due settimane prima da Chamberlain a Berchtesgaden e poi da lui stesso accettate a Monaco, il libro riporta le parole di Churchill: “At Berchtesgaden £ 1 was demanded at pistol point. When it was given (at Godesberg) £ 2 were demanded at pistol point. Finally (at Munich) the dictator consented to take £ 1 17s. 6d. and the rest in promises of goodwill for the future”. (id., pag.52)

[18]  Da Wikipedia: “In qualità di fondatore della Associazione radiotelevisiva svizzera, il cosiddetto “Hofer Club”, nello spirito della guerra fredda, Hofer si espresse per un maggiore controllo sugli operatori media, a suo parere decisamente di sinistra”. Negli anni ’70, il suo “Lo scatenamento della Seconda guerra mondiale“ (Feltrinelli, prima edizione italiana agosto 1969) era libro di testo anche all’Università di Firenze.

[19]  Dopo l’aprile 1939, Parigi fece i primi passi per un riavvicinamento con l’URSS, scrive ad esempio Dmitrij Bunevic nel citato “La coalizione anti-hitleriana” (pag. 49). La Polonia, però, non voleva in nessun modo concludere alcun tipo di accordo con l’URSS, che permettesse il transito dell’Armata Rossa attraverso due ben delimitati corridoi – l’area di Vilnius, a nord, per bloccare l’avanzata tedesca nel Baltico, e attraverso la Galizia, a sud, per tagliar fuori i tedeschi dall’Ucraina e dal petrolio rumeno – come proposto dal Commissario del popolo alla difesa sovietico Kliment Voroshilov. Ma un accordo anglo-franco-sovietico contro l’aggressione tedesca non aveva alcun valore senza la possibilità di transito dell’Armata Rossa attraverso la Polonia. E, però, né Londra, né Parigi, fecero alcun tentativo di indurre Varsavia a un compromesso. In definitiva, commenta Bunevic, il rifiuto polacco costituì un ottimo pretesto per Londra e Parigi per rinunciare definitivamente a un patto con l’URSS, che esse stesse non desideravano particolarmente.

[20]  Peccato che il defunto Hofer non abbia potuto prender conoscenza del saggio – per rimanere al campo occidentale – dello storico dell’Università di Montreal, Michael Jabara Carley “Fiasco: The Anglo-Franco-Soviet Alliance That Never Was and the Unpublished British White Paper” (nel citato “La coalizione anti-hitleriana”, pagg.163-203). Tra le altre cose, vi si dice, ad esempio, di come, ancora a metà luglio 1939, dopo l’incontro a Londra tra il Ministro per il commercio estero Robert Hudson e il plenipotenziario tedesco Helmut Wohlthat, Lord Halifax, continuando la “politica della connivenza”, dichiarasse all’ambasciatore tedesco Herbert von Dirksen, che un’intesa anglo-tedesca era ancora possibile se Hitler avesse cessato la politica aggressiva. Vi si dice anche, ad esempio, di come il progettato Libro azzurro britannico non vedesse la luce per l’opposizione francese e polacca, dato che, da esso, risultava come la Gran Bretagna frenasse i colloqui con Mosca e non avesse alcuna intenzione di concludere un patto con l’URSS.

[21] Vedi infra in “La pubblicistica russa oggi”: Oleg Ajrapetov, Fine agosto 1939. vittorie diplomatiche e militari dell’URSS  

[22]  W. Hofer, Lo scatenamento della Seconda guerra mondiale; cit.

[23]  I.V.Stalin, Socinenija, tom 13, pag, 302; Moskva 1951

[24]  I.V.Stalin, Otcetnyj doklad na XVIII s’ezde partii o rabote TsK VKP(b), pagg. 21-35; Moskva 1952

[25]  http://zhistory.org.ua/2wwstart.htm

[25]  In M. Mel’tjukhov nel citato “La coalizione anti-hitleriana”, pag.240

[27]  https://kprf.ru/history/date/187563.html

[28]  http://contropiano.org/news/internazionale-news/2020/01/26/Katyn’-uno-dei-primi-mattoni-nel-muro-del-pianto-dellanticomunismo-0123411