La necessaria lotta al “totalitarismo liberale”

pascale gallidi Alessandro Pascale

[INTRODUZIONE – Quello che segue è il capitolo 15.7 di A. Pascale, Il totalitarismo liberale. Le tecniche imperialiste per l’egemonia culturale, La Città del Sole, Napoli 2018, pp. 454-464. Nel periodo seguente l’uscita del libro, alcuni commentatori hanno ritenuto un controsenso affiancare i termini “totalitarismo” e “liberalismo”. Il testo che segue, uno dei punti chiave dell’opera, è dedicato a loro. Può inoltre risultare utile anche didatticamente per ricostruire la genesi politica del concetto stesso di “totalitarismo” nell’epoca della guerra fredda, ragionando criticamente sul nostro presente. Alessandro Pascale, 15 settembre 2020]


«Voglio essere chiaro: la nostra intelligence continuerà a spiare i governi di tutto il mondo, lo facciamo per conoscere le loro intenzioni, per motivi di sicurezza. I nostri alleati però possono stare tranquilli perché noi siamo dei partner leali». (il Presidente “democratico” degli USA Barack Obama, gennaio 2014)

Askanews, Obama difende la Nsa: continueremo a spiare i governi stranieri, Youtube.com, 17 gennaio 2014, oppure si veda un servizio statunitense: Press Tv Videos, Obama says the US intelligence will continue to spy on foreign governments, Youtube.com, 19 gennaio 2014[1].

Probabilmente tra molto tempo gli storici si domanderanno come sia stato possibile che la nostra epoca sia rimasta tutto sommato silente e inerte, risultando incapace di ribellarsi di fronte a quanto stesse accadendo. Oltre a subire un peggioramento relativo (e spesso anche assoluto) delle condizioni di vita, a seguito della crisi economica del 2007-08, a detta di molti la più grave crisi capitalistica dai tempi del 1929, le nuove generazioni cresciute a cavallo dei due secoli hanno scoperto di essere vittime di un colossale inganno. Questo il merito delle denunce fatte da Julian Assange ed Edward Snoden: grazie alla loro opera conosciamo le costanti e più palesi violazioni dei diritti umani perpetuate tutt’oggi dalle classi dominanti occidentali. Julian Assange, che ha disvelato i segreti delle diplomazie segrete mondiali con Wikileaks
, parla apertamente del rischio di «una forma postmoderna di totalitarismo», caratterizzato da uno scenario macabro: «Se volete una visione del futuro», scrive, «immaginate occhiali di Google promossi da Washington e legati a volti assenti – per sempre». E ancora: «Ci sono chiari segnali che la civiltà globale stia andando verso una distopia».

In che cosa consisterebbe questa distopia?

«Il modello di business di Google, la sorveglianza, colpisce miliardi di cittadini, ed è raccogliere più informazioni possibile sulle persone, immagazzinarle, indicizzarle, usarle per creare modelli che prevedono i loro comportamenti e venderli ai pubblicitari. Essenzialmente lo stesso modello di raccolta massiva dei dati che ha la Nsa. Il che spiega perché la Nsa si è garantita di accedervi. Google come compagnia e Larry Page hanno una visione totalizzante dell’azienda, che prevede un futuro in cui chiunque indosserà occhiali di Google così da poter intercettare perfino il nostro sguardo, i luoghi, gli appuntamenti, controllare le automobili e i consigli su cosa fare e non fare. Tutto nel nome di ciò che sembra una massimizzazione dell’efficienza, senza alcuna considerazione per il sistema totalizzante che è stato costruito».

Eppure per Assange c’è una speranza: 

«La domanda è: che possiamo farci? La risposta è che ci sono un po’ di rimedi – possono essere sufficienti o meno, ma sono tutto ciò che abbiamo. Uno è l’educazione politica di massa che ha cominciato a verificarsi su Internet in risposta e che sta continuando. La capacità dei giovani di imparare e adattarsi a ciò che altrimenti sarebbe un sistema diretto verso il totalitarismo elettronico non dovrebbe essere sottovalutata»[2].

In una recensione del film Snowden Francesco Boille, scrivendo per Internazionale, afferma:

«potenzialmente è tutto pronto per una dittatura orwelliana globalizzata. Magari, la domanda può venire legittima, con la spinta crescente della marea di poveri e profughi, è possibile che arrivino al potere con voto democratico governi autoritari. Non vogliamo spaventare troppo: le cose sono sempre più imprevedibili di quanto si creda, come dimostra proprio la vicenda qui raccontata. Ma è un pericolo potenziale. È evidente che nel mondo di oggi, in cui è forse legittimo temere che un voto democratico porti al potere un governo autoritario, altre tematiche trattate dal regista come il tentativo di individuare i reali mandanti dell’omicidio di Kennedy, sembrano poca cosa. Non perché meno gravi, ma perché quanto rivelato in Snowdenrivaleggia con la fantasia. Non sembra realistico eppure è la verità»[3].

Eppure, occorre ribadirlo, il tema non è all’ordine del giorno nei dibattiti pubblici in Occidente. Diventa a questo punto utile confrontare le definizioni che sono state date del concetto di totalitarismo, considerato una realtà del passato incomparabile con il mondo odierno caratterizzato dalla libertà e dalla democrazia liberale, provando a spiegarsi perché non vi sia consapevolezza del suo carattere attuale. Simona Forti spiega come «riferito soltanto ai regimi del Novecento, esso designa un universo politico in cui un unico partito ha conquistato il monopolio del potere statale, ha assoggettato l’intera società, ricorrendo a un uso capillare e terroristico della violenza e conferendo un ruolo centrale all’ideologia»[4].

Apparentemente questa situazione non ha nulla a che fare con il nostro presente. O forse sì? Se si associa la democrazia al sistema liberale del pluripartitismo non si potrà che respingere l’associazione dei modelli, ma ci si può chiedere che senso abbia il pluripartitismo in un contesto in cui i partiti che si alternano al potere siano fautori del medesimo sistema di produzione capitalistico giunto alla sua fase imperialista. Il pluripartitismo è la forma più “liberale” della dittatura della borghesia, la quale mantiene, così mascherata, un costante controllo sui settori sociali, più o meno organizzati, rischiosi per il mantenimento e la salvaguardia della struttura economica. Tra gli Stati che hanno potuto godere di tale sistema politico si può constatare nell’epoca contemporanea una progressiva perdita di sovranità dovuta all’espansione del potere economico-finanziario. Qualunque Stato in cui si sia avvicinata o sia giunta al potere una fazione della società che abbia messo in discussione la struttura economica, ha visto cadere l’illusione democratica, subendo una dittatura borghese esplicita, violenta, terroristica, fascista.

Nella visione astratta e formalista della Forti non importa la classe di cui fa gli interessi il partito al potere. Una lettura di classe concreta e materialista suggerisce invece che non un partito, ma un blocco sociale, ha conquistato il monopolio del potere statale: la borghesia. La borghesia ha assoggettato l’intera società, sfuttando dopo il 1989 il crollo delle organizzazioni proletarie. Ha ottenuto questo risultato al termine di una feroce lotta di classe su scala mondiale svoltasi non solo contro le organizzazioni interne ai singoli Stati (partiti comunisti, sindacati di classe) che ne contestavano il primato politico, ma anche contro quegli stessi Stati in cui il proletariato era riuscito a giungere al potere, attraverso le proprie avanguardie politiche. In questa lotta non ha esitato a ricorrere ad un uso capillare e terroristico della violenza. Le bombe della Strategia della tensione in Italia ne sono un esempio tra tanti, che passa comunque in secondo piano in confronto con quanto fatto dal braccio militare dei borghesi nel resto del mondo, dove gli stermini, i genocidi, le guerre brutali e l’asservimento schiavistico sono rimasti la modalità ordinaria di gestione dell’esistente. Tutto ciò in nome dell’ideologia del libero mercato e della proprietà privata dei mezzi di produzione, da sempre i pilastri intoccabili, i totem religiosi. Non certo per feticcio, ma in quanto essenza del potere di classe della borghesia. 

Oggi viviamo in un mondo che sembra rispecchiare la visione di Goebbels: «uno Stato totalitario che abbracci ogni sfera della vita pubblica e la trasformi alla base»,al fine di«modificare completamente i rapporti degli uomini tra di loro, con lo Stato e con i problemi dell’esistenza»[5]. La grande novità riguardo alle esplicite affermazioni naziste è caratterizzata dal fatto che tale uniformazione non viene imposta con la forza, ma con la persuasione occulta, sfruttando i meccanismi di alienazione e di controllo sostanzialmente totale dei mass-media classici. I dissenzienti da questo ordine non vengono sterminati, perché non hanno abbastanza forza da poter incidere effettivamente sull’ordine vigente. I rapporti di forza sono talmente a favore della classe dominante che essa tollera sacche di resistenza culturale, banalizzandole e ridicolizzandole, ma tenute in vita come controprova della propria liberalità.

Totalitari sono anzi definiti tutti coloro che, accettando la logica marxiana dello Stato come forma di dittatura di una classe su un’altra, pongono il tema della conquista rivoluzionaria del potere. Un tema questo iniziato nel ‘900 nello stesso campo progressista dal “trockijsta eretico” Victor Serge, che non si è limitato a denunciare il totalitarismo sovietico di epoca staliniana, ma ne ha retrodatato la genesi all’esordio della Rivoluzione stessa, «con il suo clima di inquisizione ideologica e la statalizzazione dei sindacati e delle cooperative»[6]. Abbiamo già visto a lungo come gli intellettuali “di sinistra” siano stati i migliori alleati dell’imperialismo nel corso del ‘900, restando tutt’oggi spesso i più acerrimi difensori di un’emancipazione universale che viene fatta coincidere con la prosecuzione della gestione elitaria del potere da parte della borghesia.

Il concetto di totalitarismo è stato ampiamente usato in maniera strumentale dagli intellettuali borghesi. Prendiamo Raymond Aron, noto collaborazionista della CIA. Ben prima che questa esistesse egli aveva identificato i quattro punti nevralgici per giungere a formulare tale concetto: 

«a) la critica alla filosofia della storia deterministica e teleologica […];

b) la relativizzazione del primato della sfera economica a favore della centralità della sfera politica;

c) il riconoscimento del momento rivoluzionario che oppone il totalitarismo alla democrazia, caratterizzata, invece, da un’istanza conservatrice;

d) un’indagine delle ideologie totalitarie in relazione al processo di secolarizzazione»[7].

Aron, come ogni grande reazionario del mondo culturale, patteggia per il relativismo, l’agnosticismo e il dubbio, rifiutando di dare uno statuto epistemologico alla disciplina storica, rifiutando insomma ogni proposta politica conseguente ad un’analisi serrata del passato. Accettare ciò significherebbe dal suo punto di vista cadere nel determinismo. Evidente l’attacco alla concezione del materialismo storico. Terribile per Aron che la politica controlli l’economia. Il suo mondo ideale è quello attuale in cui una multinazionale dispone di poteri assai maggiori rispetto a Stati ricchi e tra i più sviluppati del mondo. Il terzo punto si spiega da solo: il concetto stesso di rivoluzione è un male. La democrazia è invece conservatrice dell’ordine esistente, in cui vige il dominio del Capitale. Chiunque osi diffondere un’ideologia diversa che metta in discussione l’assioma della “naturalità” di un simile mondo viene accusato di propagandare una nuova “dottrina religiosa” intollerante che offre «un orizzonte salvifico temporalmente differito, realizzabile tuttavia grazie al regime instaurato». La strumentalità di tale paradigma è palese. 

Ricordiamo qui le tesi sul totalitarismo del politologo Zbigniew Brzezinski, che nel 1956 scrive con Carl J. Friedrich l’opera Totalitarian Dictatorship and Autocracy in cui si introducono 6 misure per distinguere il totalitarismo:

1) un partito unico di massa guidato da un capo;

2) un’ideologia cui consacrarsi ciecamente;

3) il monopolio della forza bruta, degli strumenti di polizia e della lotta armata;

4) il controllo centralizzato dell’economia;

5) la penetrazione dello Stato-partito in ogni settore della società e in ogni dimensione della vita quotidiana;

6) il monopolio da parte del partito dei mezzi di comunicazione di massa di propaganda[8].

Sui primi quattro punti ci siamo già soffermati a sufficienza. Si può constatare come l’ideologia dominante sia oggi effettivamente penetrata in ogni settore della società e in ogni aspetto della vita quotidiana. Un nuovo Capitale, inteso come il capolavoro di Marx, oggi non potrebbe che ripartire dal primato pressoché totale di cui gode la merce, con la conseguente sussunzione dell’ottica mercificatrice del complesso della realtà. Ciò è stato possibile anche grazie al controllo non monopolista ma oligopolista da parte dello stesso blocco sociale dominante, quello borghese. Cambia la forma insomma, ma non la sostanza. Brzezinski, 10° consigliere della Sicurezza Nazionale degli USA nel periodo 1977-81, conosce bene la differenza tra le dichiarazioni formali fatte all’epoca sui “freedom fighters” afghani in lotta contro l’invasione sovietica e la realtà di un appoggio ad organizzazioni islamiche terroristiche (in cui era presente anche Osama Bin Laden) tese a rovesciare una repubblica democratica laica e socialista giunta autonomamente al potere, ben prima dell’intervento sovietico.

Negli anni ’60 i modelli totalitari come quelli di Arendt o di Brzezinski erano accusati «di non rispondere a modelli descrittivi, ma di piegarsi alla necessità ideologica della condanna del comunismo, perseguita attraverso la costruzione di ideal-tipi ad hoc, che fanno emergere a contrasto i meriti delle società liberal-democratiche». Da chi erano sostenute queste tesi sul totalitarismo? Da riviste liberali come PreuvesDer Monat, ma anche EncounterForum e Tempo presente[9].Esattamente le stesse che abbiamo già identificato come finanziate e controllate dalla CIA, grazie alla poderosa ricerca di Frances Stonor Saunders. Eppure sarà il progressivo revisionismo, con conseguente cedimento ideologico, a far entrare questo cavallo di Troia nel campo del blocco proletario, colpendo proprio nel suo punto nevralgico di maggiore resistenza, il blocco socialista: 

«se nel decennio successivo alla morte di Stalin gli intellettuali dell’Est mostrano una forte avversione nei confronti del concetto, dall’invasione della Cecoslovacchia in poi si assiste a una riscoperta di tale nozione: “totalitario” e “totalitarismo” entrano nel lessico corrente, e il termine diventa il comun denominatore degli scritti politici della dissidenza. La domanda che ci si pone all’Est durante “il disgelo” non è molto diversa da quella che inquietava gli intellettuali marxisti dell’Ovest: vale a dire se gli indicibili crimini staliniani fossero una deviazione patologica di un percorso storico sano o se invece rappresentassero l’inevitabile esito di un sistema politico e ideologico viziato in partenza.»[10]

Senza la destalinizzazione del 1956 e la vittoria del revisionista Chruščev, che ha dato inizio alla disgregazione del blocco socialista avviando in parallelo la rovina dell’URSS, non si sarebbe assistito a questo impressionante cedimento ideologico il cui termine ultimo è la situazione odierna, caratterizzata dall’attribuzione incontrastata, perfino nei manuali scolastici, del paradigma totalitario al comunismo. 

Siamo quindi di fronte al rovesciamento della realtà: un totalitarismo borghese è riuscito a prevalere su una dittatura del proletariato, trasformando quest’ultimo in un regime demonizzato all’estremo. Eppure le contraddizioni rimangono e perfino un anticomunista come il filosofo Jean-François Lyotard ha parlato in tempi recenti per la nostra epoca di un’inedita forma di totalitarismo:

«post-moderno, post-democratico, retto dall’incontrastato dominio economico e massmediatico, entro il quale l’Occidente sta continuando a vivere. È un totalitarismo “soft” che, come l’universo adorniano “dell’industria culturale”, opera attraverso la sistematica riduzione dell’altro allo stesso, disattiva l’alterità tramite un continuo processo di inclusione ed esclusione, di omologazione e di rifiuto. Se il totalitarismo propriamente politico nega la singolarità dell’evento dichiarandola un inutile accidente di cui sbarazzarsi, l’altro tipo di dominazione totalitaria, senza terrore e senza un’ideologia conclamata, la dissolve nella rete di una globalizzazione affacendata che, votata alla perenne innovazione, ha tempo soltanto per il profitto, per la vendita e per il consumo».[11]

Per gli esami di Maturità 2018, il Ministero dell’Istruzione italiano ha scelto la seguente traccia per il saggio breve di ambito storico-politico. Si tratta di un estratto da un saggio di Giulio M. Chiodi: 

«il concetto politico di massa è stato giustamente giudicato appropriato ai regimi totalitari, di tipo fascista, nazista, comunista del secolo scorso (per vero, non mancano nel presente esempi assimilabili); ma anche oggi possiamo parlare, a ragion veduta e provata, di massificazione a larghissimo raggio, che trova il suo terreno d’espansione soprattutto nei processi della cosiddetta globalizzazione. Ciò richiede una precisa distinzione. La massa governata dai regimi totalitari, diversamente da quella odierna, era una massa omogeneizzata dall’ideologia del conflitto. La massa che si costituisce ad opera delle ideologie dei regimi totalitari, come quelle esemplificate nel secolo scorso, combatte l’individualismo ma fa conto sull’individuo, a condizione che quest’ultimo sia stilizzato e rigorosamente uniformato ai dettami del regime, assolutamente pronto al consenso plebiscitario. Anzi, viene precisamente tratteggiato dal regime un modello ufficiale di individuo da imitare e riprodurre, descrivendone perfino prescrivendone la sua tipologia di pensiero e di azione, onde ne vengano interiorizzati acriticamente i dettami, annullando la personalità, sotto la guida di principi aggregatori, nella massa ideologicamente plasmata».[12]

Tale traccia, oltre a mostrare supinamente l’appiattimento verso la narrazione che equipara nazismo e comunismo come realtà totalitarie (un cliché che ormai comincia ad essere introiettato da sempre più intellettuali progressisti, compresi gli insegnanti liceali e universitari), introduce un elemento sottinteso di critica del presente, tanto che il Corriere della Serase ne è lamentato immediatamente denunciando i tentativi di accomunazione della nostra epoca alla realtà totalitaria: 

«un’altra perplessità nasce anche dal parallelo proposto, nei testi, tra i totalitarismi e i nostri tempi caratterizzati dalla globalizzazione. Non è pericoloso/pretestuoso appaiare le due tematiche e i due periodi? L’approdo a una sintesi troppo facile (anche la globalizzazione rappresenta un possibile aspetto di un totalitarismo contemporaneo) è lì dietro l’angolo. E forse richiederebbe maggiori materiali per affrontare una corretta analisi».[13]

Il filosofo italiano Ferraris, fautore del ritorno al “realismo”, sostiene che viviamo nell’epoca della postverità, e che questa costituisca «l’essenza della nostra epoca, proprio come il capitalismo costituì l’essenza dell’Ottocento e del primo Novecento e i media sono stati l’essenza del Novecento maturo»[14]. Ferraris in questa maniera inverte i rapporti causa-conseguenza riguardanti l’ambito socio-economico, non avendo probabilmente sufficienti dati materiali per identificare che all’interno della relazione capitalismo-media-verità giochi ancora un ruolo preminente la struttura economica, ossia quel capitalismo giunto alla sua fase dell’imperialismo. Tale realtà si diversifica dall’imperialismo del primo ‘900 avendo fatto proprie molte lezioni del nazifascismo ed essendo riuscita a mascherare il proprio dominio di classe e il suo controllo sempre più totalitario sulla società. La potenza del Capitale è stata capace di riscrivere la Storia all’insaputa dei più e mantiene tanta potenza di fuoco da poter confinare in maniera “liberale” ai margini del potere tutti i dissenzienti. È riuscita a fare ciò avendo per molti versi una conoscenza più adeguata degli insegnamenti di Marx e Gramsci, rivolti però non contro la classe dominante bensì contro la classe dominata. La fase di apparente sconfitta storica del socialismo conseguente alla caduta dell’URSS ha favorito una controffensiva ideologica che, combinata al sempre più accentuato controllo sociale e politico delle masse, ha consentito non solo di garantirsi contro nuove rivolte proletarie, ma anche di coltivare l’ambizioso progetto di eliminare una volta per tutte dalla mente degli individui l’idea che ci possa essere una società diversa rispetto a quella capitalistica. La vera e profonda caratteristica del totalitarismo sta in questo aspetto: la sussunzione dell’ideologia della classe dominante nelle masse è tale da favorire il mantenimento al potere della borghesia sul proletariato, dei pochi sui molti, dei ricchi sui poveri, per un periodo di tempo indefinito. L’ideologia falsamente progressista, quella “liberal”, con cui si intende guidare questo nuovo ordine mondiale, si appaia alla battaglia per la re-istituzione di un dominio neocoloniale sempre più attivo, il che però si scontrerà con l’ascesa di altri Paesi che rifiutano l’asservimento all’imperialismo occidentale. Tra questi Paesi, quello più potente e importante, che sta già contribuendo a emancipare progressivamente dalle proprie disgrazie il “Terzo Mondo”, è la Repubblica Popolare Cinese, uno Stato guidato da un Partito Comunista.

Sbaglia quindi, peccando in astrattezza, anche Jacques Lacan, affermando che il totalitarismo contemporaneo, postmoderno, sia «privo di gerarchie e di centro»[15]. Il totalitarismo contemporaneo non è altro che una forma raffinata di controllo esercitato dalla dittatura della borghesia giunta ad esercitare un dominio su scala globale, in un contesto cioè di dominio di un capitalismo diventato imperialismo. L’imperialismo non è un ente astratto, ma ha dei suoi centri di potere ben precisi e ben localizzati geograficamente. Il principale centro di potere imperialista è dato ancora dalle politiche della principale potenza imperialista mondiale: gli Stati Uniti d’America. 

Dice bene Fabio Galimberti: «le nostre democrazie […] non sono governate con lo strumento del terrore, semmai con lo strumento del benessere»[16]. Gli si può ricordare che a seguito del trionfo delle politiche liberiste tale benessere sia sempre più relativo e restrittivo perfino nelle società occidentali, ma soprattutto occorre sempre ribadire che tale benessere è fondato storicamente e attualmente sul controllo, sul dominio e sul conseguente sfruttamento intensivo, in vari casi tale da perpetuare una vera e propria schiavitù, della gran parte dei popoli e del proletariato mondiale. Ma abbiamo già visto come l’Impero non ami parlare di sé stesso, partecipando all’omissione sistematica della natura imperiale della globalizzazione dominata fino ad oggi dalla borghesia statunitense.

Note:

1. Askanews, Obama difende la Nsa: continueremo a spiare i governi stranieri, Youtube.com, 17 gennaio 2014, oppure si veda un servizio statunitense: Press Tv Videos, Obama says the US intelligence will continue to spy on foreign governments, Youtube.com, 19 gennaio 2014.

2. F. Chiusi, L’ultima sfida di Assange: “Il totalitarismo sono i colossi web”La Repubblica (web), 22 settembre 2014.

3. F. Boille, Snowden di Oliver Stone ci apre gli occhi sulla sorveglianza di massaInternazionale (web), 24 novembre 2016.

4. S. Forti, Il totalitarismo, cit., p. V.

5. Ivi, p. 13.

6. Ivi, p. 17.

7. Ivi, p. 20.

8. Ivi, pp. 42-43.

9. Ivi, p. 46.

10. Ivi, p. 57.

11. Ivi, pp. 94-95.

12. G. M. Chiodi, Soggetti apolitici e politici soggetti, all’interno di R. Sau (a cura di), La politica. Categorie in questione, Franco Angeli, Roma 2015, p. 176.

13. P. Conti, Tracce maturità: masse e propaganda per il saggio storico-politicoCorriere della Sera (web), 20 giugno 2018.

14. M. Ferraris, Postverità e altri enigmi, cit., p. 10.

15. M. Recalcati, L’eclissi del desiderio, all’interno di M. Recalcati (a cura di), Forme contemporanee del totalitarismo, cit., p. 71.

16. F. Galimberti, La macchina della rimozione, Ivi, p. 263.