La possibile soluzione della globalizzazione cinese

marx xidi Alessandro Pascale

[INTRODUZIONE – Quello che segue è il capitolo 15.4 di A. Pascale, Il totalitarismo liberale. Le tecniche imperialiste per l’egemonia culturale, La Città del Sole, Napoli 2018, pp. 438-442. Con il presente scritto continuiamo (per recuperare gli scritti precedenti si veda qui), in anteprima per Marx21.it, la pubblicazione del capitolo finale dell’opera, in cui dopo aver posto le premesse analitiche, si cerca di trarne alcune conclusioni politiche. Il presente scritto tiene conto implicitamente anche delle analisi svolte sulla Cina e sul cosiddetto “terzo mondo” presenti nella Storia del Comunismo.


La “questione cinese” assurge oggi alla questione teorica principale che nel suo complesso la società occidentale, compresa buona parte del movimento comunista corrispondente, deve ancora essere affrontare in maniera adeguata. Segnalo anche che nel 2018 è uscita un’opera di Sidoli, Burgio, Leoni, intitolata significativamente Piaccia o no: il Dragone scavalca l’America, in cui si riporta con dati alla mano l’avvenuto sorpasso della Cina sugli USA in campo scientifico ed economico, seppur non ancora sul piano militare. La crisi post-Covid sta accelerando rapidamente il divario tra la Cina e l’imperialismo occidentale, colpito da recessioni apocalittiche. Per il popolo italiano diventa prioritario comprendere che esiste un’alternativa al fallimentare modello capitalista-liberista, e qualunque modello alternativo di transizione si scelga (capitalismo di Stato in una rinnovata “economia mista” in stile “Prima Repubblica”, o come sarebbe più augurabile il socialismo) il progresso e lo sviluppo passano necessariamente dallo sganciamento dalla NATO e dall’UE, sviluppando relazioni con paesi che hanno interesse reale e concreto al benessere dell’intera umanità. Questo è il caso della Cina, con cui l’Italia può costruire una nuova prospettiva di sviluppo aderendo organicamente al progetto della “nuova via della Seta”.

Deve essere chiaro a tutti, in primo luogo ai comunisti, che la Cina non può essere considerata un paese “imperialista” o “capitalista”, bensì un modello “socialista” le cui caratteristiche peculiari (le “caratteristiche cinesi”) affondano pienamente nella tradizione politica e teorica del movimento comunista internazionale, e in primo luogo nella lezione leninista. Non ci si può più permettere di essere ambigui. La crisi dell’imperialismo occidentale, ed in particolar modo il declino dell’impero statunitense, accentua i pericoli di nuove guerre, in cui il primo nemico dichiarato di Washington è Pechino. O si sta da una parte, o dall’altra. 

Non sono ammessi ignavi: “… chi non sta da una parte o dall’altra della barricata, è la barricata”.

Alessandro Pascale, 17 luglio 2020]

«Marx è la guida della rivoluzione del proletariato e dei lavoratori di tutto il mondo, il principale ideatore del marxismo, il fondatore dei partiti politici ad esso ispirati, pioniere del comunismo internazionale, e il maggiore pensatore dei tempi moderni. Il marxismo ha promosso notevolmente il processo di sviluppo della civiltà umana, ed è un sistema ideologico e dialettico in grado di esercitare un’influenza a livello internazionale fino ad oggi […]. La storia e il popolo hanno scelto il marxismo e questo è totalmente corretto. È completamente corretto che il Partito comunista cinese scriva il marxismo sulla propria bandiera. È completamente corretto combinare il marxismo con la situazione reale della Cina e continuare a promuovere la sinizzazione e la modernizzazione del marxismo stesso. Il marxismo dirige la Cina sulla strada della costruzione di un Paese socialista moderno e potente, e i membri del PCC si stanno impegnando a persistere sulla via da esso tracciata e a svilupparlo […]. In questa nuova epoca, i membri del PCC sono ancora chiamati a studiare e a mettere in pratica il marxismo, a continuare a trarre vantaggio dalla sua intelligenza scientifica e forza teorica, a persistere e a sviluppare il socialismo con caratteristiche cinesi nella nuova epoca, e impegnarsi a realizzare sulla terra cinese il futuro radioso della società umana immaginato da Marx ed Engels». (Xi Jinping, Segretario Generale del CC del Partito Comunista Cinese, dalla lezione sul marxismo tenuta il 4 maggio 2018 a Beijing, in occasione del bicentenario della nascita di Karl Marx)[1]

Occorre a questo punto riflettere sui problemi emersi in ogni Paese post-coloniale che sia riuscito a svincolarsi anche solo temporaneamente dall’imperialismo e abbia tentato di attuare politiche progressiste e di sviluppo di lungo termine. Principalmente la constatazione della carenza di tecnologia (il “know how”) e la necessità di sviluppare le forze produttive. Ogni Paese post-coloniale non controllato dall’imperialismo è partito da una situazione simile a quella della Russia bolscevica: continui tentativi di destabilizzazione interna, scarso sviluppo delle forze produttive industriali, livelli di analfabetismo diffusi, assenza di settori avanzati di popolazione dediti all’istruzione superiore e alla ricerca tecnologica, prevalenza di un’economia agricola assai arretrata fondata sui latifondi, assenza totale o parziale di capitali, mancanza di relazioni internazionali e rapporti diplomatici proficui, ecc. In una situazione simile i tre principali Paesi-guida del socialismo nei relativi continenti (URSS, Cina, Cuba) hanno scontato tutti quanti la misura “punitiva” dell’embargo economico, ossia il rifiuto della borghesia imperialista di fornire capitali esteri per lo sviluppo delle economie di Paesi in cui il potere politico ed economico fosse sostanzialmente nelle mani del Partito Comunista. 

Sappiamo come l’URSS sia uscita da questa situazione: con la pianificazione centralizzata, l’industrializzazione forzata e la collettivizzazione delle campagne. Ciò è stato reso possibile anche dalla dimensione del Paese, che poteva disporre ampiamente di materie prime e di manodopera, oltre alla contingenza storica. Il che si è tradotto in un complessivo successo, pagato però con una serie di squilibri dai costi umani molto elevati. La Cina ha potuto godere per un certo periodo del supporto sovietico, ma nel momento in cui si ruppero i rapporti, l’esigenza di acquisire tecnologie e capitali ha spinto il PCC a venire a patti con il diavolo statunitense, facendo leva sulle contraddizioni dello scenario internazionale. La piccola Cuba ha potuto godere per 30 anni del supporto economico dell’URSS, realizzatosi nei termini di una cooperazione internazionalista, scontando un periodo di dura crisi (il periodo “especial”) negli anni ’90, salvandosi poi grazie all’evoluzione della situazione internazionale, che ha permesso di stringere nuove relazioni commerciali con l’affermazione del mondo multipolare (si pensi ai rapporti commerciali con Cina, Russia, ALBA, ecc.). La Corea del Nord, che pure oggi può godere di un’economia relativamente autarchica, ha goduto per decenni del supporto economico sovietico e cinese, mette tuttora a disposizione la Zona Economica Speciale di Rason, una regione dalla legislazione economica speciale, creata sul modello cinese con il compito di attrarre gli investimenti dei forti confinanti.

I Paesi emancipatisi dall’imperialismo hanno trovato come sponda economica e commerciale la cooperazione offerta dai Paesi del blocco socialista, riuniti per molti anni attorno al COMECON. Per la gran parte degli Stati dell’America Latina, dell’Africa e dell’Asia però questa possibilità è stata totalmente preclusa nel periodo della Guerra Fredda. In quegli anni mantenere anche solo relazioni diplomatiche con un Paese socialista significava finire nel mirino di Washington. Ciò ha fatto sì che per molti governi progressisti, o semplicemente sinceramente “nazionali”, sia stato impossibile emanciparsi dall’imperialismo, dovendo scegliere se avviare relazioni diplomatiche e commerciali con il blocco socialista, e affrontare la destabilizzazione interna e la minaccia esterna, oppure accettare di corrompere il proprio programma per mantenere uno status quo che garantisse il “libero mercato”, che ha significato nel concreto la prosecuzione dello sfruttamento indiscriminato delle multinazionali e un progresso economico insignificante in termini di sviluppo delle forze produttive. Così si è svolta gran parte del ‘900. Il nuovo secolo ha inaugurato però una svolta di portata storica. La fine della Guerra Fredda e l’apparente integrazione della Cina nel sistema economico mondiale hanno aperto nuovi scenari per i Paesi del “Terzo Mondo”. Ridiamo la parola a Cadoppi[2]:

«La globalizzazione finanziaria è stata diretta dagli USA a loro beneficio e al limite dei loro alleati. La competizione con questo ordine proviene dai BRICS ma soprattutto dalla Cina che è la più coerente nel portare una sfida a tutto campo. L’affermarsi della finanziarizzazione è andata di pari passo con il successo dell’ideologia neoliberale, più radicale del liberalismo classico nel rivendicare la non ingerenza statale (a parole). Spesso però succede che gli investitori “liberali” spremano in realtà lo stato per i loro investimenti. Scrive Parenti che: “Lo stesso paradigma politico-economico di riferimento in Occidente – il neoliberalismo – continua a godere di buona salute come scelta dominante nei centri di potere malgrado abbia mostrato da tempo tutta la sua fallacia. Diversamente, le potenze emergenti presentano modelli di sviluppo almeno in parte alternativi, anche perché conservano maggiori controlli sui flussi di capitale e promuovono una finanza per lo sviluppo volta a investimenti di lungo termine”. Con Bretton Woods nel 1944 e il superamento del Gold Standard si pongono le basi del Washington Consensus. La nuova parità tra il dollaro e l’oro impone la valuta americana come moneta di riferimento mondiale. Gli americani finanziano il Piano Marshall, la guerra di Corea, la “colonizzazione” economica del Giappone, imponendo il loro dominio sul “mondo libero”, come lo definiva la retorica della Guerra Fredda. Con la World Bank fanno prestiti a Paesi in via di sviluppo, con il Fondo Monetario Internazionale mantengono la stabilità monetaria e il controllo delle bilance dei pagamenti. Che cosa poteva fare la povera Unione Sovietica contro questa Invincibile Armata più potente delle legioni naziste che l’avevano invasa? Diciamo che la Cina a questo punto ha capito tutto. Socialismo di mercato significa anche inserirsi positivamente nel mercato mondiale acquistando influenza con nuove rotte commerciali come la One Belt, One Road (la Via della Seta), le nuove banche d’investimento (Banca Asiatica d’Investimento per le infrastrutture, Banca Brics) per finanziare l’economia reale e la costruzione d’infrastrutture. A questo punto diventa indispensabile trasformare lo yuan in moneta internazionale di riserva. L’entrata stessa della Cina nel WB, FMI e WTO, non a caso contrastata dagli USA, non solo non ha portato al crollo della Cina (come paventava ai tempi il Manifesto) ma oggi molti americani (a cominciare da Trump) vedono in questi fatti l’inizio del temuto tramonto dell’egemonia yankee. Come ha detto Jack Ma, patron di Alibaba: “Dove sono finiti i soldi degli americani? 4,2 triliardi sono andati a finanziare 13 guerre all’estero. 19,2 triliardi sono stati bruciati da Wall Street nella crisi del 2008, cosa sarebbe successo se voi li aveste investiti in industria, educazione, infrastrutture?” Il Beijing Consensus è alle porte: meno finanziarizzazione (ma bisognerà eccellere anche in questo campo), meno guerre calde, fredde o riscaldate e più economia reale!».

Viviamo dentro un evento storico: per la prima volta dopo secoli il centro economico mondiale sta per essere conquistato da un Paese non “occidentale”, non “bianco”, ma ex-coloniale e guidato da un Partito Comunista. In altre parole la Repubblica Popolare Cinese, accettando di scendere sul terreno imposto dalla stessa borghesia, sta assumendo la guida della globalizzazione mondiale, provocando la progressiva perdita di potere imperialista delle potenze occidentali. Per la prima volta nella Storia un Paese guidato da un Partito Comunista dispone di prodotti tecnologicamente più avanzati in alcuni settori strategici dell’industria leggera. Si pensi al successo internazionale ottenuto dal cellulare cinese “Huawei”. Per la prima volta nella Storia Paesi dell’America Latina, dell’Africa e dell’Asia possono disporre di un partner commerciale che propone un modello “win-win”, strutturato cioè su relazioni paritarie in cui si offrono vantaggi reciproci di guadagno, garantendo l’accesso a infrastrutture, a tecnologie, a investimenti esteri di grossi quantitativi di capitali, senza porre condizioni politiche o militari e senza ricorso alla destabilizzazione. La Cina è diventata il potenziale virus del sistema imperialista mondiale, aprendo scenari fino a pochi decenni fa impensabili e sgretolando dalle fondamenta il potere primario su cui l’Occidente capitalistico ha fondato la propria vittoria contro il socialismo nel ‘900: la supremazia economica. Nel XX secolo i Paesi socialisti hanno tentato di sconfiggere l’imperialismo con l’internazionalismo proletario e con la competizione tecnologico-industriale fondata sul benessere dei popoli. In entrambi i casi ci si è scontrati con la sconfitta. Nonostante in alcuni Paesi si siano registrati successi totali e in altri vittorie parziali, nel complesso l’imperialismo è riuscito a mantenere il proprio dominio su scala mondiale, sfruttando questo aspetto per favorire un elevato livello di vita dei propri popoli.

Nel XXI secolo si inaugura la possibilità per i Paesi socialisti di sconfiggere l’imperialismo anzitutto sul piano del primato tecnologico e delle forze produttive, ponendo fine al dominio dei Paesi imperialisti esercitato per secoli grazie allo sviluppo tecnologico, economico e militare. È comprensibile in questo quadro che la Cina non voglia presentarsi come una potenza destabilizzatrice e sovvertitrice dell’ordine mondiale, onde scongiurare l’intensificarsi di una nuova “Guerra Fredda”. In questa situazione quale deve essere allora l’operato dei comunisti degli altri Paesi?

Note:

1. Redazione China Radio International, Beijing, riunione commemorativa del 200esimo anniversario della nascita di Marx, discorso importante di Xi Jinping, Cri.cn, 4 maggio 2018.

2. G. Cadoppi, Un libro fondamentale per capire le dinamiche dell’economia mondiale, cit.