Il “lavoro mentale” non è immateriale ed è sfruttato

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Intervista a Guglielmo Carchedi sulle caratteristiche del lavoro mentale, della produzione di conoscenza in Internet e sulla validità della teoria del valore anche per la produzione di conoscenza.

Guglielmo Carchedi, economista marxista di fama internazionale, è stato fra coloro che più radicalmente hanno combattuto le interpretazioni di tipo neoricardiano del Capitale di Marx, contestando la determinazione simultanea – à la Sraffa – del saggio del profitto, dei prezzi di produzione dei fattori produttivi e dei prodotti. Introducendo nella sua analisi il fattore tempo e interpretando la teoria del valore di Marx come un sistema di non equilibrio, ha mostrato che tale interpretazione consente di superare tutte le obiezioni fatte al procedimento marxiano di trasformazione dei valori in prezzi di produzione. Insieme a Alan Freeman ha curato e pubblicato un volume che è una pietra miliare di questa critica [1].

Ha letto anche, sempre con lenti marxiane, le caratteristiche di questa crisi economica, producendo tra l’altro un’analisi di classe delle contraddizioni insite nel processo di integrazione economica europea [2]. Recentemente ha dato un contributo teorico importante [3] per controbattere molte teorie di moda, sul lavoro cognitivo e su Internet in particolare, tendenti oggettivamente a disarmare la classe lavoratrice espungendone la componente dei lavoratori mentali e sostenendo l’inapplicabilità della teoria del valore al lavoro mentale. Insomma il suo contributo a confutare i “confutatori” ci consente di parlare ancora di pluslavoro e plusvalore e di individuare ancora nella classe lavoratrice il soggetto principale di un possibile superamento del modo di produzione capitalistico.

Gli chiediamo intanto che valore politico, oltre che scientifico, attribuisce alla cosiddetta Temporal Single System Interpretation (TSSI).

Il TSSI è semplicemente una concezione della realtà in cui la nozione del tempo è parte integrante. L’economia è vista come un susseguirsi temporale di processi, o cicli, di produzione, distribuzione e consumo. Quando un processo finisce, incomincia quello susseguente. Questa è semplicemente una questione di buon senso. L’interpretazione opposta è quella simultaneista in cui tutto accade allo stesso tempo. Qui il tempo non esiste e non esiste neanche il buon senso.

Per un lungo tempo la teoria Marxista, specialmente la teoria dei prezzi, è stata interpretata attraverso la lente dell’economia borghese in tutte le sue varianti (dal neo-liberismo al Keynesianismo), cioè in termini statici, come se il tempo non esistesse. L’esempio più discusso è quello della teoria dei prezzi, e cioè della trasformazione dei valori in prezzi di produzione. Qui bisogna stare attenti a capire in che cosa consiste tale trasformazione. Per chiarezza, diciamo prima di tutto quello che essa non è.

Il valore è lavoro. In una economia capitalista viene espresso in termini monetari, di denaro. Cioè il denaro è la manifestazione monetaria del valore. Per alcuni critici vi sarebbero due sistemi, uno in termini di valore e l’altro in termini di denaro e non vi sarebbe una necessaria relazione quantitativa tra i due sistemi, tra le due quantità. Non si saprebbe a quale quantità di valore corrisponderebbe una data quantità di denaro. Ciò sarebbe particolarmente importante nel calcolo del tasso di profitto per cui a un tasso di profitto in termini monetari potrebbe corrispondere un qualsiasi diverso tasso di profitto in termini di valore. Tuttavia, in uno scritto recente ho dimostrato che i due tassi sono strettamente correlati e che quindi Marx è perfettamente giustificato nell’usare quantità monetarie per indicare quantità di valore [4]. Pertanto segue che valori e prezzi sono sinonimi. Però, come dicevo, questa non è la trasformazione dei valori in prezzi di produzione che sarebbe il punto in cui la teoria di Marx sarebbe logicamente incoerente. Ed è qui che l’approccio temporale è necessario.

Nei termini più semplici, il valore di una merce è la somma del valore dei mezzi di produzione usati, più il valore della forza lavoro usata (i salari) più il plusvalore (i profitti). Questo è il valore che la merce ha prima di essere venduta, detto anche valore contenuto in una merce. Questo è diverso dal valore realizzato. Siccome i tassi di profitto tendono ad essere ugualizzati, il plusvalore tendenzialmente realizzato per unità di capitale investito tende ad essere ugualizzato. Vi è quindi una redistribuzione del plusvalore tra i diversi capitali. Il prezzo a cui le merci sono vendute è tendenzialmente calcolato sulla base del plusvalore ugualizzato ed è chiamato prezzo di produzione. Il valore contenuto e il prezzo di produzione sono quindi in genere differenti.

Ora, secondo i critici, nell’atto di compravendita la stessa merce è comprata e venduta allo stesso prezzo. Ma a quale prezzo, il prezzo prima o dopo la perequazione dei tassi di profitto? Vi sarebbe in Marx una contraddizione che minerebbe la sua teoria. Ma sono i critici che fanno confusione. In realtà vi è una continua successione di cicli o processi di produzione e realizzazione. Quando uno finisce, incomincia un altro. La merce prodotta in un ciclo viene venduta alla fine di quel ciclo e quindi viene venduta al suo prezzo di produzione di quel momento. La stessa merce, quando entra come input nel ciclo successivo ha un valore (lo stesso quantitativamente) che però ora vale come input che entra a far parte del valore dell’output del periodo successivo. Supponiamo che io produca una merce con un valore contenuto di 60 euro e che dopo la perequazione dei tassi di profitto la venda a 55 euro. Alla fine del primo ciclo, 55 euro è il valore realizzato da quella merce come output di quel ciclo. Esso è anche il valore (55 euro) contenuto nella stessa merce come input del ciclo successivo, come componente del valore del capitale costante che si trasferirà pari pari nel valore del prodotto di quel ciclo.

I critici hanno un quadro di riferimento simultaneo. Essi credono che 55 euro sia anche il valore di quella merce non solo come output del primo ciclo ma anche come input dello stesso ciclo. Nella teoria di Marx l’output di un ciclo sarebbe anche l’input dello stesso ciclo invece che del ciclo successivo. L’approccio dei critici è statico perché l’input di un processo è anche l’output dello stesso processo. L’approccio di Marx è dinamico perché l’output di un ciclo è l’input del ciclo successivo. Il primo cancella il tempo, per il secondo il tempo è una variabile fondamentale. Se vi è incoerenza logica, è quella dei critici [5].

L’importanza politica è che se il tempo non esiste (come nella teoria dei critici di Marx), non esiste neanche il cambiamento e quindi viene escluso il cambiamento dalla società capitalista verso una forma di società superiore. In una “realtà” senza tempo nulla cambia.

Venendo invece al tuo recente lavoro, presentato in questi giorni in diverse città d’Italia, puoi dirci perché secondo te il lavoro mentale non è lavoro immateriale?

Alla base del processo conoscitivo, cioè della generazione di (nuova) conoscenza, vi è una erogazione di energia umana, un cambiamento nel sistema nervoso, nelle connessioni tra i neuroni nel cervello (sinapsi). Questo è un cambiamento materiale. Se questo è un processo materiale, il suo prodotto, la conoscenza, non può che essere materiale. Anche se intangibile, la conoscenza è materiale. Negare la materialità della conoscenza significa negare i risultati della neuroscienza. Quindi tutta la realtà è materiale. È questo il significato della concezione materialista. La dicotomia non è, come si sostiene, tra realtà materiale e mentale, ma tra realtà oggettiva (al di fuori di noi) e mentale (la rappresentazione della realtà oggettiva nella nostra mente), entrambe materiali. Il lavoro mentale non è immateriale, l’immaterialità non esiste. Esiste solo la materialità [6].

L’importanza di questo punto è che la tesi dell’immaterialità della conoscenza causa un buco nero nell’analisi marxista. Infatti, se la conoscenza, il lavoro mentale, fosse immateriale non si spiegherebbe (così come in effetti non viene spiegato neanche da autori Marxisti) come una attività immateriale possa produrre qualcosa di materiale, valore e plusvalore.

Invece, perché il cosiddetto prodotto immateriale, o capitale cognitivo, non contraddice la marxiana metamorfosi del capitale, Denaro-Merce-Denaro, all’interno della quale si annida il processo di produzione?

Date certe condizioni, il processo conoscitivo produce valore e plusvalore se eseguito dai lavoratori mentali per il capitale. Non vi è contraddizione tra processo lavorativo mentale e quello oggettivo. Essi sono entrambi combinazioni dialettiche di trasformazioni sia oggettive che mentali, sono parte della produzione capitalista. Nel processo conoscitivo o mentale, le trasformazioni mentali determinano quelle oggettive. Nel processo lavorativo oggettivo sono le trasformazioni oggettive che determinano quelle mentali. Entrambi i processi sono categorie del processo lavorativo capitalista.

Ma, obiettano i “post-qualcosa”, il prodotto di questi lavoratori è un prodotto immateriale, la conoscenza, riproducibile a costi trascurabili in molte copie. Non è più il lavoro che attribuisce valore a questa conoscenza. Cosa rispondi?

La produzione di conoscenza ha un certo costo, proprio come la produzione di scarpe. La conoscenza in genere è incorporata in contenitori oggettivi (per esempio il DVD). Il costo per unità di prodotto dipende dal costo totale e dal numero di contenitori oggettivi. Più sono quei contenitori, meno è il loro costo unitario. Anche se il costo unitario fosse minimo, il costo totale (il valore totale) potrebbe essere anche elevato. È profondamente errato concludere che la conoscenza non abbia (o meglio detto che essa non produca) valore. L’errore consiste nella confusione tra costo (valore) totale e unitario.

Un’altra obiezione è che con Internet anche i consumatori, i cosiddetti utenti, smanettando nel PC, ricercando informazioni o comunicando nei social, producono conoscenza che mettono gratuitamente a disposizione dei capitalisti. Si passerebbe quindi dallo sfruttamento del lavoratore allo sfruttamento del consumatore….

È difficile prendere sul serio tali argomenti. I grandi capitalisti (Facebook, ecc.) pagano i lavoratori mentali affinché questi ultimi si approprino della conoscenza generata su Internet da coloro che usano Internet per i fini più vari (per esempio, didattici, di ricerca, per svago, ecc.). Io chiamo questi ultimi gli agentimentali, per distinguerli dai lavoratorimentali. Gli agenti mentali producono la materia prima, la conoscenza che viene appropriata dai lavoratori mentali per conto del capitale. Il capitale sfrutta i lavoratori mentali, non gli agenti mentali perché questi ultimi non lavorano per il capitale e quindi non producono valore e plusvalore.

La conoscenza generata dagli agenti mentali non ha valore, ma ha un valore d’uso. L’analogia è con le forze della natura, per esempio il vento che viene usato per azionare un mulino. In entrambi i casi, vi è appropriazione di valori d’uso. Tale appropriazione aumenta la produttività del lavoro, l’output per unità di capitale investito, ma non il valore contenuto in tale output. Pensare diversamente significa obliterare la distinzione fondamentale tra valore e valore d’uso e quindi tra lavoro astratto (che genera valore) e lavoro concreto (che genera i valori d’uso). Ma solo il lavoro astratto permette la comparabilità fra di loro e l’aggregazione di merci diverse per definizione. Questa è una delle maggiori scoperte di Marx. [7]

La confusione dei critici è ancora maggiore quando gli agenti mentali vengono visti come consumatori.

Gli agenti mentali producono conoscenza che essi poi consumano. Il capitale non sfrutta gli agenti mentali e quindi neanche i consumatori.

Un’ultima domanda. Il lavoro teorico a un elevato livello di astrazione è purtroppo difficilmente accessibile ai lavoratori, perfino a molti di quelli mentali. La scuola italiana non prepara purtroppo a leggere i classici del marxismo e non esistono più le vecchie scuole di partito. Secondo te cosa dovrebbero fare i comunisti per contribuire a smascherare le ideologie dominanti che negano lo sfruttamento e per riunificare un mondo del lavoro così frammentato com’è quello attuale?

Marx, quando gli fu chiesto cosa bisogna fare per cambiare la società, rispose: lottare. Similarmente, per negare le ideologie dominanti bisogna sviluppare coerentemente il pensiero di Marx e adattarlo alla realtà attuale. [8]

Note:

[1] Marx and Non-equilibrium Economics, 1996, by Alan Freeman and Guglielmo Carchedi.

[2] G. Carchedi, For Another Europe: A Class Analysis of European Economic Integration, 2001.

[3] G. Carchedi, Behind the Crisis: Marx’s Dialectic of Value and Knowledge (Historical Materialism), agosto 2012. La presentazione di questi giorni si riferisce alla traduzione in italiano di una parte di questo lavoro a cura della Rete dei Comunisti e di Noi Restiamo, dal titolo “Sulle orme di Marx”. Lavoro mentale e classe operaia. Per un’analisi marxista di Internet. Alcuni ragguagli su quest’ultimo saggio possono essere reperiti in rete su www.Retedeicomunisti.org;www.contropiano.org;www.noirestiamo.org; https://www.youtube.com/watch?v=-lLcVVEacPs

[4] G.Carchedi, Capitalo 2 di Carchedi and Roberts (editori) The world in Crisis, Zero Books, di prossima pubblicazione. In rete si veda una dimostrazione dell’evidenza fattuale di tale stretta correlazione in Carchedi, The old is dying but the new cannot be born. On the exhaustion of the present phase of western capitalism.

[5] Marx and Non-equilibrium Economics, 1996, già citato in nota [1].

[6] Sulle Orme di Marx, Lavoro mentale e classe operaia, per un’analisi marxista di Internet, già citato in nota [3].

[7] G. Carchedi, Behind the Crisis: Marx’s Dialectic of Value and Knowledge, già citato in nota [3]

[8] G. Carchedi, For Another Europe: A Class Analysis of European Economic Integration, già citato in nota [2].