Fuori dal coro. Resistenza e riorganizzazione

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di Aginform

La sinistra inesistente, quella identitaria e quella movimentista, ha di fatto ignorato il passaggio politico da Conte a Draghi, così come prima faceva finta di ignorare le ragioni che portavano la quasi totalità degli organi di stampa e le istituzioni di regime a combattere il governo. E’ un po’ come Totò di “e che mi chiamo Pasquale?


Noi abbiamo combattuto, invece, in tutti questi mesi per affermare un orientamento diverso e ci sembra che i fatti ci diano ragione. Sennò non si spiegherebbe il killeraggio di Renzi e l’arrivo di Draghi. Battuto nel tentativo di screditare, sul piano politico e mediatico, il governo Conte, il fronte liberista ha assoldato il suo sicario e organizzato un vero e proprio golpe. Con il consenso del capo dello stato è stato preparato un programma di ‘unità nazionale’ che rimette le cose a posto rispetto a una situazione che, a partire dal recovery fund, stava sfuggendo di mano ai gruppi di potere tradizionali, che poi sono i mandanti del golpe Draghi e da tempo svolgono, quasi in esclusiva una campagna agitatoria attraverso mass-media e stuoli di ‘esperti’.

Qual è il ruolo di Draghi nel progetto di governo di ‘unità nazionale’? A giudicare dal modo in cui i vari partiti politici hanno reagito, sembrerebbe che la storiella che si tratta finalmente di stare uniti per salvare l’Italia dalla crisi economica e sanitaria è stata presa per buona. In realtà si tratta di ben altro. In tutte le dichiarazioni dei partiti sulla formazione del nuovo governo, sono stati sottolineati due punti come condizione per partecipare al nuovo schieramento: europeismo e atlantismo.

Quindi non solo entrare nei ranghi dell’UE senza se e senza ma, ma anche, con particolare e significativa insistenza, riaffermare l’appartenenza allo schieramento occidentale, di cui la NATO è il braccio armato. Che vengano poste queste premesse non è un caso.

Nella grande agitazione per l’arrivo del demiurgo che deve salvare l’Italia, a qualcuno forse è sfuggito il collegamento tra l’insistenza sulla parola atlantismo e ciò che sta avvenendo nel mondo con l’arrivo del nuovo presidente americano. Da quando Biden è diventato presidente degli USA è scattata una campagna di dimensioni mondiali contro i paesi che rappresentano, nella vulgata occidentale, l’impero del male. Russia, Cina, Bielorussia, Hong Kong, Birmania e finanche l’Egitto sono entrati nel mirino della campagna ‘umanitaria’ del blocco imperialista occidentale.

La questione non ha nulla di ideologico, ma è collegata alla funzione che, con l’avvento di Biden, dovranno avere Stati Uniti ed Europa. Stretti da una morsa che è fatta di limiti alla loro ripresa economica e perdita di egemonia essi puntano, con una rinnovata collaborazione dopo l’era Trump, a ripetere l’operazione, riuscita, degli anni ’90 del secolo scorso. In questa nuova situazione gli obiettivi principali sono, bloccare la Cina e ritentare con la Russia quella operazione di disgregazione che Putin ha finora impedito. La Russia è un paese immenso e pieno di risorse per cui Europa e Stati Uniti sanno che la sua ‘conquista’ rappresenterebbe un passaggio epocale per il blocco occidentale. A questo serve la vicenda Navalny.

Quando si valuta l’obiettivo di Draghi bisogna tener conto che il suo scopo principale è portare l’Italia dentro questa strategia. Per il resto si tratta di creare una condizione interna in cui si accontentano le varie fazioni purchè si rientri nell’obiettivo strategico del rilancio occidentale (uscire dalla crisi) e sia salvato il carattere ‘produttivo’ dei provvedimenti. Come i ‘diritti umani’ sono la copertura del progetto imperialista così l’economia green copre il versante di ‘sinistra’ (Cinque Stelle compresi).

Non dobbiamo pensare che la trappola scatti senza contrasti, ma un’opposizione di classe e popolare non può sottovalutare il pericolo, una volta eliminato Conte, di una ricomposizione unitaria delle forze di governo e per questo bisogna soprattutto di ridefinire i nuovi obiettivi di fase.

Innanzitutto la questione internazionale. Senza la crescita di un movimento di massa che sviluppi la sua opposizione al progetto USA-UE continueremo a vivere nel ventre molle dell’imperialismo, magari accontentandoci di riti alternativi che non incidono in nessun modo sulla dialettica politica. Questa crescita, inoltre, è stata ostacolata in tutti questi anni da quell’imperialismo ‘di sinistra’ che ha preso per buoni gli obiettivi umanitari dell’occidente capitalistico e non ha svolto una funzione di orientamento che facesse capire, tra guerre ed embarghi, quello che stava effettivamente accadendo.

La contrapposizione al governo di ‘tutti’, ovviamente non ha solo una dimensione internazionale, ma passa anche attraverso le lotte contro il rilancio liberista, che nel programma di Draghi è ben presente. Vedremo nei prossimi mesi come si andranno a configurare le contraddizioni che il rilancio della politica liberista produrrà in Italia e su questo occorrerà contrapporre un programma non occasionale, ma politico e di grande respiro, che dia credibilità a un’alternativa.

Ma il nodo della questione rimane sempre la mancanza di una forza politica che, rimanendo fuori dal coro, esprima gli interessi dei lavoratori e del movimento progressista. Non si può continuare a pestare l’acqua nel mortaio lasciando agli identitari e ai cultori delle nicchie movimentiste il ruolo che spetta ad una forza politica che sappia opporsi al governo di ‘tutti’.

E’ inutile e frustrante continuare a ripetere le solite litanie contro un nemico che invece le sue scelte le fa veramente e picchia duro come si è visto col golpe Draghi.

Qual è la soluzione concreta da adottare, i passaggi necessari è ancora tutto da discutere, ma da questo bisogna partire.