Dare efficacia alla mobilitazione contro la NATO

no nato jpgdi Mauro Gemma

Versione in portoghese brasiliano

Intervento all’iniziativa “Via dall’Italia le basi militari USA e NATO”, Torino, 4 marzo 2017

E’ facilmente constatabile come non solo ogni argomento che riguarda le questioni militari e della sicurezza del nostro paese sia scientificamente rimosso nell’apparato mediatico dominante, ma come continui a passare sistematicamente in secondo piano persino nelle mobilitazioni (scarse, per la verità) dei settori politici e dei movimenti sociali che più dovrebbero farsene carico e ad essere praticamente derubricato dall’agenda dell’intera sinistra che siede nel parlamento, anche quella che si definisce “a sinistra del PD”, in tutte le sue sfumature.

Non è rimasta praticamente più alcuna traccia e memoria delle grandi manifestazioni che nel passato caratterizzarono il nostro paese al punto che, a un certo momento, l’Italia era sembrata rappresentare la punta più avanzata di un movimento dalle caratteristiche mondiali, come avvenne, ad esempio, con la straordinaria mobilitazione di milioni di cittadini in occasione dello scatenamento della guerra di aggressione contro l’Iraq nel 2003.

E se pensiamo che, in questo stesso momento, è in corso nel cuore dell’Europa una guerra come quella scatenata dai nazisti al governo in Ucraina contro le popolazioni del Donbass, voluta e sostenuta dagli Stati Uniti e dai suoi alleati della NATO, appare sorprendente non solo la sostanziale assenza di mobilitazione delegata ormai a piccole pattuglie di volonterosi internazionalisti che si muovono nell’indifferenza generale, ma persino di informazione puntuale a proposito di una delle pagine più vergognose scritte dall’intero Occidente nella storia del secondo dopoguerra.

Ora per ricostruire le condizioni che permettano di mettere in campo una proposta che, in qualche modo, inverta l’attuale tendenza alla smobilitazione del movimento contro la guerra, è certamente indispensabile chiarire alcuni elementi di analisi, senza i quali non è possibile il rilancio di un movimento per la pace e antimperialista, degno di questo nome e capace di individuare gli obiettivi della sua iniziativa, senza inopportune confusioni.

Due sono gli elementi fondamentali su cui focalizzare l’attenzione e attorno ai quali cercare di costruire momenti di mobilitazione di una certa efficacia.

Occorre innanzitutto essere chiari su un punto, sul quale, almeno in quel poco che si muove qui da noi, si stia manifestando una confusione che rischia seriamente di oscurare le responsabilità di quelli che sono i principali attori della strategia di guerra in corso sull’intero pianeta, pregiudicando la costruzione di forme efficaci di mobilitazione che vi si contrappongano.

Si tratta di un punto essenziale ai fini della costruzione di piattaforme che vadano realmente alla radice della questione NATO: quello del riconoscimento che i principali pericoli per la pace mondiale vengono innanzitutto dai gruppi più oltranzisti degli Stati Uniti d’America, che della Alleanza Atlantica hanno rappresentato fino alla presidenza Obama e ne rappresentano tuttora, in una soluzione di continuità, il nucleo egemone. Quello che esprime le spinte più aggressive e fautrici dello scontro militare che sembrano prevalere anche oggi.

Sono soprattutto questi settori dell’establishment imperialista statunitense che hanno dettato e continuano a dettare l’agenda della NATO e delle sue politiche di intervento, aggressione e guerra nello scacchiere planetario.

E sorprende che in alcune analisi formulate in ambienti della sinistra cosiddetta radicale o antagonista del nostro paese questo elemento fondamentale venga rimosso, portando, come è avvenuto nel corso di alcuni recenti tentativi di mobilitazione a non citare neppure gli Stati Uniti tra gli attori principali delle politiche della NATO, quasi a ignorare il fatto che è proprio su iniziativa dei gruppi più oltranzisti dell’imperialismo statunitense, rappresentati dal connubio tra falchi del partito democratico che avevano in Hillary Clinton il loro candidato alle presidenziali, neo-conservatori fautori dello scontro con Russia e Cina, come il senatore repubblicano McCain, uno dei protagonisti del colpo di Stato in Ucraina, e ambienti del Pentagono e dei servizi come NSA e CIA, che si è messa e si continua a mettere a repentaglio persino la conservazione di una pace precaria tra le potenze nucleari, e si sta freneticamente lavorando per creare le condizioni più favorevoli persino per lo scatenamento di una guerra globale dalle dimensioni imprevedibili e più devastanti, anche di carattere nucleare.

E’ una linea questa che, almeno al momento e sotto la spinta dei settori prima citati, sembrerebbe pienamente confermata anche dalla nuova amministrazione di Donald Trump, in netto contrasto con certe dichiarazioni rilasciate in campagna elettorale che avevano generato qualche aspettativa almeno di un freno alle pulsioni più aggressive nei confronti del partner nucleare russo. Propositi che sono stati immediatamente frustrati dalla reazione furiosa degli ambienti guerrafondai che mantengono l’egemonia all’interno sia del Partito Democratico che di quello Repubblicano che, forti anche del supporto dell’intero apparato mediatico dominante dell’Occidente, hanno saputo cavalcare e torcere a loro favore persino la più che legittima e giustificata indignazione di ampi settori della società statunitense (ed europea) contro le ripugnanti pulsioni reazionarie, xenofobe e razziste del nuovo inquilino della Casa Bianca.

Sembra proseguire, e con accelerazioni, il processo di espansione della NATO verso est. Truppe e armamenti micidiali della NATO stazionano stabilmente in alcuni paesi dell’Europa Orientale, alcuni dei quali vivono ormai una situazione di autentica occupazione straniera. La guerra nel Donbass è stata riattizzata dall’esercito della giunta nazional-fascista di Kiev, in aperta violazione degli accordi di Kiev. E la Russia non sembra più nutrire ottimismi nei confronti dell’approccio USA/NATO alla questione, dopo la nuova ingiunzione di Trump a “restituire” la Crimea ai nazisti al governo dell’Ucraina e la sostanziale riconferma delle sanzioni da parte della sua amministrazione.

Quanto detto, certamente, non assolve gli alleati NATO degli Stati Uniti, a cominciare dall’Unione Europea, la cui politica della sicurezza – non va sottaciuto, al contrario di quanto a volte si ha la sensazione che avvenga – si sviluppa in assoluta subalternità rispetto alle scelte di un’alleanza il cui comando supremo è esercitato dagli Stati Uniti, ma definisce con precisione quello che, perlomeno da parte dei comunisti e delle forze antimperialiste più conseguenti, dovrebbe essere considerato il “nemico principale” di tutti coloro che si battono per la pace e contro la militarizzazione delle relazioni internazionali. 

C’è un altro punto importante che va focalizzato e consiste nel ruolo che deve essere assegnato allo schieramento di stati e blocchi di stati che costituiscono il bersaglio principale dei piani della NATO: quello delle potenze emergenti che si raggruppano nei Brics, un’alleanza che le manovre dell’imperialismo stanno tentando di scompaginare, destabilizzandone le componenti meno determinate a confrontarsi con l’offensiva degli Stati Uniti e dei suoi alleati, come sta avvenendo con il Brasile e l’India. E più in particolare, va analizzato ed evidenziato il ruolo di Russia e Cina, che di questo schieramento costituiscono l’elemento propulsore.

Non dovrebbero sussistere dubbi sul fatto che, in questa fase storica, Russia e Cina, due grandi potenze che stanno consolidando rapporti di alleanza anche sul piano della sicurezza (indipendentemente dal giudizio che ciascuno di noi formula sulla natura del loro sistema politico-sociale), rappresentano l’elemento principale di contrappeso nei confronti della politica di espansione aggressiva dell’imperialismo.

Russia e Cina si caratterizzano per una visione comune delle relazioni internazionali, che fa apparire campate in aria le accuse di aggressività e di imperialismo che vengono avanzate nei loro confronti.

Va rilevato, ed è una colpevole omissione non farlo, che le due potenze eurasiatiche condividono il rispetto puntiglioso delle norme del diritto internazionale, dei principi che regolano i rapporti tra le nazioni contemplati nella Carta delle Nazioni Unite. Entrambe auspicano costantemente, nei documenti ufficiali e nelle dichiarazioni dei loro leader, la creazione delle condizioni di un mondo privo di centri guida egemonici del cosiddetto “nuovo ordine mondiale”.

E’ questa, in sostanza, la ragione che spiega l’accanimento ossessivo, all’insegna delle caricature e della demonizzazione, dei propagandisti del modello attraverso il quale si è preteso di imporre, fin dal momento della fine dell’URSS, il dominio della principale potenza imperialista, in una logica puramente “unipolare”. Velleità che l’avvento alla presidenza della Russia di Vladimir Putin ha seriamente pregiudicato, con la conseguente trasformazione della Russia nel nemico principale dell’establishment imperialista, al punto di considerarla, anche nei documenti ufficiali, “più pericolosa” dello stesso Stato Islamico.

Ignorare questo aspetto fondamentale delle questioni riguardanti il ruolo svolto da Cina e Russia, significa non solo non comprendere quanto l’esistenza di questo contrappeso al dilagare dell’aggressività dell’apparato di guerra occidentale, alle sue ambizioni di dominio planetario, possa favorire lo sviluppo della resistenza antimperialista di popoli e paesi e la crescita complessiva dello stesso movimento per la pace in paesi come il nostro, ma significa anche operare una grave distorsione della realtà delle attuali relazioni internazionali, attribuendo la responsabilità del suo drammatico deterioramento, in uguale misura, a tutti i soggetti principali dello scenario globale, confondendo spesso gli aggrediti con gli aggressori.

Dispiace constatarlo, ma è ciò che regolarmente e colpevolmente avviene in quel poco che resta del movimento pacifista in Italia, quello che fa riferimento alla sinistra parlamentare, ma anche a settori consistenti della extraparlamentare, ogni volta che, di fronte al crescere della tensione internazionale, la risposta che viene data pare essere sempre, sostanzialmente, il pilatesco richiamo alle responsabilità di tutti i soggetti in campo e l’attribuzione dei pericoli di guerra a un generico conflitto tra le grandi potenze.

Ben vengano allora e si estendano iniziative come questa di Torino, nello sforzo di fare chiarezza sugli aspetti essenziali della questione NATO, in grado di coinvolgere il maggior numero di soggetti attorno a una piattaforma efficace e priva di ambiguità, che metta al centro la battaglia per l’uscita dell’Italia dal Patto Atlantico e per la sua liberazione dalla servitù militare e nucleare, attraverso la chiusura di tutte le basi straniere sul nostro territorio.

Solo in questo modo, e ricercando, senza preclusioni, l’interlocuzione con tutte le forze che nel parlamento e nel paese condividono completamente o almeno in parte questi obiettivi, si potranno creare le condizioni per il rilancio di un movimento per la pace e antimperialista degno delle  grandi tradizioni di lotta del nostro paese.