Sahara Occidentale: l’ultima colonia dell’Africa in lotta per l’indipendenza

sahara bandieradi José Reinaldo Carvalho*
da vermelho.org.br

Traduzione di Marx21.it

Una testimonianza dal Congresso del Fronte Polisario

Il 14° Congresso del Fronte Polisario, svoltosi tra il 16 e il 21 dicembre nell’accampamento dei rifugiati di Dahla, uno dei quattro in cui vivono 200.000 saharawi, in territorio ceduto dall’Algeria, in pieno Deserto del Sahara, ha rappresentato un evento di significato geopolitico, se si considera la natura del conflitto che coinvolge il movimento di liberazione e il Marocco, forza di occupazione, e altri attori importanti, come i paesi vicini – l’Algeria e in minor misura la Mauritania –, oltre alla Spagna, la Francia e le Nazioni Unite.

I 2.472 delegati, in rappresentanza delle popolazioni degli accampamenti dei rifugiati, delle regioni liberate sotto controllo del Fronte Polisario e dei territori occupati, dove pesa la mano di ferro della monarchia marocchina, hanno deliberato in merito al bilancio dell’attività del Fronte Polisario e della Repubblica Araba Saharawi Democratica (RASD), costituita come governo in esilio, con il riconoscimento dell’Organizzazione delle Nazioni Unite e di 80 paesi del mondo.

Il popolo saharawi si batte per l’indipendenza nazionale dagli anni 1960, quando combatteva il colonialismo spagnolo nel territorio situato nell’Ovest africano, allora conosciuto come Sahara Occidentale o Sahara Spagnolo. Con la decadenza del regime franchista, la Spagna rinunciò in pratica alla sua condizione di paese amministratore e non adempì al piano di decolonizzazione proposto dalle Nazioni Unite. Abbandonò il paese alla propria sorte e, in collusione con il regno marocchino, tollerò l’invasione della cosiddetta “marcia verde”, quando centinaia di migliaia di coloni del Marocco espulsero dalle loro case e terre il popolo saharawi. Questo accadeva 40 anni fa, determinando la formazione del Fronte Polisario e l’inizio della lotta armata per la liberazione nazionale.

L’occupazione del Sahara Occidentale da parte del Marocco è un flagrante esempio di ingiustizia, oppressione nazionale e violazione del Diritto Internazionale. Un’espressione di abominevole colonialismo – il Sahara Occidentale è l’ultima colonia africana –, in contrasto con la tendenza dell’epoca storica, che punta alla conquista dell’emancipazione nazionale, dell’indipendenza, dell’autodeterminazione e della sovranità. Lo spirito della nostra epoca è l’affermazione della volontà dei popoli a prendere nelle proprie mani il loro destino. Tutto ciò che contrasta tale tendenza è dimostrazione di intolleranza, oppressione e reazione, che merita il ripudio da parte di tutte le nazioni democratiche, indipendenti e amanti della pace.

Il Fronte Polisario svolge un ruolo di avanguardia fondamentale nella lotta del popolo saharawi per l’autodeterminazione, contro il colonialismo e per una Repubblica indipendente e sovrana. E’ la forza dell’unità, della convergenza nazionale, dell’organizzazione e della mobilitazione del popolo in lotta.

La lotta del popolo saharawi è legittimata dalle Nazioni Unite e dall’Unione Africana. Il Fronte Polisario è stato dichiarato dall’ONU rappresentante del popolo del Sahara Occidentale, nel novembre 1979. 25 anni fa, le Nazioni Unite e l’Unione Africana, in accordo con il Fronte Polisario e il governo marocchino, decisero la realizzazione di un referendum per assicurare al popolo saharawi, in maniera giusta e democratica, il diritto all’autodeterminazione. Tuttavia, il regno del Marocco ignora il Diritto Internazionale e le decisioni dell’ONU, contando sul beneplacito delle potenze imperialiste occidentali, in particolare la Francia.

Invece di realizzare il referendum, la monarchia marocchina ha costruito un muro di 2.700 chilometri, lungo i quali sono installate milioni di mine. Il muro, giorno e notte vigilato da migliaia di soldati, installati e armati in casematte, separa il territorio occupato dalle aree liberate. “Come mai esistono muri così altisonanti e muri così muti?” – domandava Eduardo Galeano, in un articolo del 2007, paragonando il silenzio dei media e della comunità internazionale con il fragore che si era levato con la caduta di un altro muro, quello di Berlino, anni prima.

Coperto dal silenzio, invisibile, lasciato nel dimenticatoio dalla stessa ONU, che non fa valere da un quarto di secolo le sue stesse decisioni, il conflitto del Sahara è questione urgente da risolvere. L’occupazione da parte di un paese di un territorio che appartiene a un altro popolo, la negazione dell’autodeterminazione nazionale sono escrescenze storiche, una violazione del diritto internazionale e della democrazia. L’imposizione di condizioni critiche di vita per decenni di fila a popolazioni che vivono in accampamenti di rifugiati è un’altra intollerabile violazione dei diritti umani.

Il capo della Missione delle Nazioni Unite per l’Organizzazione del Referendum nel Sahara Occidentale (MINURSO), Omar Bashir Manis, che ha concesso di incontrarmi nei giorni in cui ho partecipato al Congresso, ha riaffermato la legittimità della lotta del popolo saharawi e del suo diritto all’autodeterminazione, ma si è mostrato pessimista sulla soluzione del problema, per l’inazione della “comunità internazionale”. Mette sull’avviso rispetto al fatto che il popolo saharawi, soprattutto la sua gioventù, potrebbe tornare a ricorrere alle armi, nel caso avverta che gli accordi di pace non fanno avanzare la sua causa.

La scelta di tornare a impugnare le armi effettivamente non è esclusa ed è stata motivo di accalorato dibattito durante il congresso. Stanca della sua condizione di rifugiata e di soffrire, da quaranta lunghi anni, la repressione selvaggia delle forze colonialiste marocchine, la popolazione saharawi esige che il suo esercito riprenda le armi se la comunità internazionale continuasse a rifiutare di assumere le proprie responsabilità e, soprattutto, di far applicare le risoluzioni dell’ONU sul conflitto del Sahara Occidentale, adottate circa 25 anni fa dal Consiglio di Sicurezza.

Il Fronte Polisario ha una linea politica e una condotta tattica e strategica conseguenti, combinando fermezza e flessibilità, orizzonte storico e responsabilità. Ha il polso della situazione e continua a puntare sul dialogo, sulla lotta politica e l’azione diplomatica. Il congresso che si è appena svolto ha adottato risoluzioni che puntano al prolungamento della resistenza e della lotta e all’intensificazione degli sforzi e alla realizzazione di azioni per il miglioramento delle condizioni di vita negli accampamenti dei rifugiati. L’obiettivo principale è l’unità del popolo per la realizzazione delle sue giuste aspirazioni e la realizzazione dei suoi inalienabili diritti.

Il popolo saharawi vive nella regione più arida del mondo. Le condizioni in cui vive e lotta, in cui è necessario essere amico persino delle pietre, insegnano la solidarietà e la condivisione come principale valore. Mi hanno sorpreso. Prima ancora che io presentassi il messaggio di incoraggiamento di cui ero latore, hanno voluto esprimere la loro solidarietà per la lotta che stiamo conducendo in Brasile il difesa della democrazia, contro il golpe che si sta orchestrando da noi. Le centinaia di persone con cui ho conversato hanno manifestato appoggio alle forze progressiste e ai movimenti sociali del Brasile, con un impressionante livello delle informazioni.

Il Brasile, negli ultimi anni, si è affermato ed è ammirato nel mondo anche per la sua politica estera attiva e protagonista, con un approccio multilaterale e universalista, a fianco dei popoli che si battono per l’autodeterminazione. Tale profilo sarà ancor più definito e nitido con il riconoscimento, allo stesso modo di come hanno fatto tanti altri paesi, della Repubblica Araba Saharawi Democratica e del Fronte Polisario.

*José Reinaldo Carvalho è segretario della Politica e Relazioni Internazionali del Partito Comunista del Brasile (PCdoB)