Ungheria: i nazisti di Jobbik si alleano con il centro-sinistra

jobbik ungheriadi Omar Minniti
da lantidiplomatico.it

Riceviamo da Omar Minniti e volentieri pubblichiamo

Fino a pochi mesi fa, Jobbik – acronimo del “Movimento per un’Ungheria Migliore” – veniva considerata una formazione di ultradestra, xenofoba, antisemita e nostalgica delle Croci Frecciate, collaborazioniste delle SS durante la Seconda Guerra Mondiale. Un’organizzazione, seconda forza politica ungherese con il 20,2% e primo partito di opposizione, che può vantare anche una milizia paramilitare – la Guardia Magiara – disciolta dal governo ma più volte ricostruita sotto nomi diversi.

Eppure, da un paio di mesi qualcosa è cambiato nella proiezione esterna di questa organizzazione. Da gruppo estremista, bollato come minaccia per l’Unione Europea, ad interlocutore, senz’altro ingombrante ma non più “appestato”, del centrosinistra ungherese che guarda a Bruxelles e tifa Nato nella battaglia per disarcionare il primo ministro Viktor Orban.

Sembra fantapolitica, anche alla luce degli appelli fatti dai partiti “socialisti” e liberali dei paesi UE contro la minaccia del “populismo xenofobo ed euroscettico”. In Francia chiunque si rifiutava di legittimare il ballottaggio e di votare Macron, veniva accusato di tradimento del “patto repubblicano ed antifascista” e di favorire il Fronte Nazionale. Fantapolitica, dicevamo, ma è quanto sta accadendo a Budapest, sulle rive del Danubio. Qualcosa che, per certi versi, ricorda la sceneggiata andata in onda a Kiev, prima e dopo il golpe di EuroMaidan, con formazioni come Svoboda e Pravy Sektor, che non hanno mai celato le simpatie neonaziste, spacciate dai media mainstream e dagli esponenti politici occidentali per “giovani in marcia per la democrazia e contro la dittatura filo-russa”.

Tutto ha inizio con il referendum del 2 ottobre 2016 contro le quote dei rifugiati fissate dall’UE, indetto da Orban e dal suo partito Fidesz. Da una forza come Jobbik, da sempre ipercritica verso le politiche dell’accoglienza, il sostegno alla linea tracciata dal premier era dato per scontato. E, invece, le cose non sono andate proprio così. Formalmente si schiera per No alle quote, ma nei comizi accusa Orban di “avventurismo ed opportunismo” su un tema delicato come quello delle migrazioni. La linea del premier esce plebiscitaria dalle urne – il No ottiene il 98% dei voti – ma il referendum fallisce per mancato raggiungimento del quorum. Solo il 43,4% degli ungheresi si reca a votare. Il centrosinistra ed i leader UE esultano. Immediato e frontale l’attacco di Orban al leader di Jobbik, Gábor Vona, accusato di boicottaggio, di non aver mobilitato i militanti e l’elettorato. Effettivamente, in molte aree in cui il movimento vanta un forte seguito (controlla, tra l’altro, anche delle amministrazioni locali) l’affluenza è stata ben sotto le aspettative.

L'”uomo forte” di Budapest non è uno che demorde facilmente e, dopo poche settimane, ci riprova. Stavolta in parlamento, cercando di modificare la costituzione ungherese, rivendicando la sovranità nazionale sulle politiche migratorie. Per la riforma serve la maggioranza qualificata dei deputati, almeno 133 voti, ma Orban ne ottiene 131, tutti di Fidesz. Anche stavolta Jobbik si defila e, pur criticando con slogan di destra il primo ministro ed il governo, si muove all’unisono con l’opposizione di centrosinistra a guida Mszp (“socialisti”).

Non finisce qui. Budapest è sede di molte Ong e fondazioni. Tra l’altro, ospita il quartier generale europeo dell’Open Society di George Soros, che è nato proprio in Ungheria. Emanazione del miliardario “filantropo” è pure la CEU, la Central European University, mastodontico ateneo a pochi passi dalla Basilica di Santo Stefano. Una vera e propria fucina di “rivoluzionari colorati”, dove i più “meritevoli” ricevono alloggio pagato e laute borse di studio. Sono passati dalla CEU molti agit-prop balcanici, ucraini, russi e protagonisti delle “primavere arabe”.

Questa galassia di Ong e fondazioni vede Orban come un nemico giurato, puntando l’indice soprattutto verso l’incremento dei rapporti economici e diplomatici con la Russia di Putin. Da questa rete  è partita la protesta contro una tassa su internet che il governo ha cercato di introdurre nel 2014, dovendo poi fare marcia indietro. Idem per l’opposizione al referendum sui migranti ed alla proposta di candidare Budapest per le Olimpiadi del 2024. Una rete che non ha alcuna presa sull’elettorato di Fidesz, concentrato nelle periferie popolari di Budapest, nei piccoli centri e nelle campagne, ma che fa breccia tra molti intellettuali, tra i giovani del ceto medio e soprattutto all’estero, con accesso ai media globali come megafono. 

Orban, seguendo l’esempio della Russia ed anche di alcuni paesi latinoamericani di sinistra, lancia una sfida a queste Ong e punta direttamente alla CEU. In parlamento fa varare una legge che inasprisce le condizioni per creare e gestire università finanziate da soggetti stranieri. Visti i requisiti richiesti, l’ateneo di Soros potrebbe chiudere tra qualche anno. A Budapest si respira aria di rivolta: in poche settimane sono state innumerevoli, quasi a cadenza giornaliera, le manifestazioni organizzate fin sotto il parlamento contro la legge. Si protesta, con slogan russofobi al limite del razzismo genetista, anche davanti l’ambasciata di Mosca, accusando Orban di essere una marionetta di Putin. Alcuni leader dei dimostranti pro-CEU deturpano il monumento all’Armata Rossa di Piazza della Libertà e vengono arrestati. Il partito satirico del “cane a due code” tappezza la città di manifesti in cirillico, al fine di far passare l’Ungheria quasi come una sorta di colonia russa.

Ma, tornando a Jobbik, come si relaziona il movimento di estrema destra diretto da Vona su questa vicenda? Una forza con quel background potrebbe mai scendere in campo in difesa di Soros, per anni accusato dai suoi dirigenti di fomentare l'”invasione e l’islamizzazione dell’Europa”, di sponsorizzare “modelli di vita e di sessualità contro natura” e di far parte della cupola “giudaico-massonica” della finanza mondiale? Con un’arrampicata sugli specchi che probabilmente passerà alla storia e verrà citata dai manuali politici come esempio di trasformismo, Vona ed i suoi parlamentari si schierano per l’astensione sulla legge, dicendo “No a Soros, ma Sì alla CEU”, e si confrontano con i colleghi del centrosinistra su come organizzare l’ostruzionismo. Soprattutto con l’LMP, di orientamento ecologista, che qualcuno considera riconducibile direttamente al network sorosiano. Addirittura tale scelta viene giustificata in nome della salvaguardia della “libertà accademica” e del rifiuto della “bolscevizzazione messa in atto da Orban”.

I militanti di Jobbik partecipano anche alle proteste di piazza. Senza simboli di partito, ma ben riconoscibili. Tipi tatuati e palestrati con la camicia tradizionale ungherese, oppure in abbigliamento da boneheads e con sciarpe delle tifoserie di estrema destra, sfilano fianco a fianco coi ragazzi dai capelli rasta, le femministe e le associazioni Lgbtq. Perfino con gruppi che si definiscono di “sinistra radicale” ed associazioni della comunità ebraica. Vessilli bianco-rossi del panmagiarismo e quelli della “Terra dei Siculi”, la Transilvania romena ma a maggioranza linguistica ungherese, sventolano accanto alle bandiere arcobaleno del Pride e blu dell’Unione Europea (non era Jobbik euroscettico?). Un vero e proprio “miracolo” politico.

Una svolta clamorosa, che potrebbe in qualche modo influenzare la tela delle alleanze in vista delle elezioni politiche del 2018. Qualcuno già parla, senza peli sulla lingua e senza paura di subire l’accusa di “rossobrunismo”, quantomeno di un patto di desistenza o di non belligeranza tra il centrosinistra e Jobbik, per aggirare la legge elettorale fatta a pennello per Fidesz.

Per “socialisti” e liberali l’antifascismo è un limite invalicabile. Ma ad intermittenza. A seconda delle convenienze delle elites europee. In Francia tutti “novelli partigiani” per eleggere il banchiere tecnocrate Macron. In Ungheria, in Ucraina e nei paesi baltici, alleati finanche dei neonazisti, se serve a fermare Putin e se Soros lo chiede.