Il giocattolo rotto di Bernanke

di Pasquale Cicalese per Marx21.it

us-fed-bernanke Crea moneta, spara moneta, compra carta straccia, butta soldi dall’elicottero e la crisi “finirà”.

E’ la Greenspan put, in vigore dal crollo borsistico del 1987, il peggiore in un giorno nella storia di Wall Street. Ripresa con forza con lo sboom della new economy del 1999 e dal 2001, causa Torri Gemelle, protrattasi fino al 2007. Ancora un crollo nel 2008 ed essa viene “sostituita” dalla Bernanke Put, un micidiale mix di acquisto titoli tossici e tassi di interesse pari allo 0% che invade i mercati monetari, obbligazionari e azionari del mondo. In una parola, “asset inflation”: Wall Street ai massimi storici, prezzi delle case nuovamente in crescita, “effetto ricchezza”, boom di consumi di beni di lusso.


Effetti sull’economia? Venti giorni fa le statistiche americane informavano il mondo che il pil congiunturale dell’ultimo trimestre del 2012 in USA era pari a -01%; i dati sui sussidi di disoccupazione sono in crescita, gli indici produttivi segnalano rallentamenti.

Avevano iniziato i Brics a criticare la Bernanke Put. Nel 2009 Zhou Xiaochuan informava la comunità finanziaria mondiale che la Cina propende per l’abbandono del dollaro ed è favorevole alla diffusione dei diritti speciali di prelievo presso il Fondo Monetario, composti da un paniere di valute, possibilmente anche yuan. Nessuno lo sta a sentire. Zhou risponde all’asset inflation con una poderosa “sterilizzazione monetaria” e con un’accorta politica di internazionalizzazione del renmimbi. In più, nell’autunno scorso Zhou fa sapere che la Banca centrale cinese ha avviato un massiccio acquisto di oro. Non è il solo, stessa politica valutaria è condotta da Turchia, Iraq, Russia, mentre Montega, ministro brasiliano del Tesoro, reitera l’accusa di guerra valutaria all’Occidente. La Bernanke Put provoca in questi anni una massiccia rivalutazione dello yen fino a quando il nuovo Primo ministro giapponese Abe, ultranazionalista e anticinese, risponde con una politica monetaria fortemente espansiva che provoca nel giro di un mese la svalutazione dello yen del 20%. La guerra valutaria diventa “guerra civile” occidentale, nel mentre in Europa all’asset inflation si risponde con una fortissima deflazione salariale in risposta alla rivalutazione dell’euro. La “guerra civile” occidentale, dopo la mossa giapponese, subisce un nuovo salto: Draghi fa sapere al mondo che l’asset inflation americana e giapponese provoca “bolle” difficilmente gestibili, nel mentre la Cina mantiene intatta la sua strategia di “sterilizzazione monetaria”.

Il muro dell’Occidente subisce crepe, fino a quando il 20 febbraio u.s. il mondo viene informato che all’interno della Federal Reserve ci sono profonde spaccature circa la conduzione della politica monetaria di Bernanke. Panico nelle borse, che campano a sbafo grazie alla Fed, nel mentre in Occidente l’economia subisce un’ulteriore “double dip”. Non potrebbe essere altrimenti: la “guerra interna” occidentale contro i salariati causa conseguenze molto più profonde di quanto i patronati dell’Occidente potessero o volessero prevedere, nel mentre i banchieri centrali si preoccupano di proseguire diabolicamente la deflazione salariale, contenti dei boom borsistici, l’unico loro parametro di riferimento. Ignorano che è tutto capitale fittizio pronto ad esplodere, tant’è che Bill Gross, gestore di Pimco (asset obbligazionari per duemila miliardi di dollari..) fa sapere che abbandona il dollaro e compra oro per ripararsi dall’asset inflation. I paesi emergenti rispondono a loro volta alla guerra contro i salariati condotta in Occidente reflazionando il loro mercato interno attraverso l’aumento dei salari, prova ne è che gli interscambi sud-sud aumentano sempre di più a scapito dei rapporti con l’Occidente. Vince chi sterilizza la moneta e reflaziona il mercato interno, cioè la Cina, la quale invita gli operatori finanziari dell’Occidente a spostare i loro asset verso le piazze finanziarie di Kong Kong, Shanghai e Shenzen, riformando alcuni aspetti dei loro mercati finanziari. 

Il capitalista si impicca con la propria corda, direbbe il Moro…e la crisi continua fino a quando non risuoneranno nuovamente i cannoni in Occidente. Kabul non basta …