Piazza Tian’anmen , 4 Giugno 1989 – II Parte

Tiananmen Square 2di Maria Morigi

70 Anni dopo, nel 1989, gli studenti ritornarono in Piazza Tian’anmen. Un’ondata di proteste dilagò a Pechino con esiti drammatici soprattutto nei quartieri periferici, mentre il Paese stava attraversando una fase di difficile transizione politica. Di questi eventi non si conosce la reale dimensione, ma siamo in grado di valutare criticamente e distinguere sia le motivazioni della protesta, sia le cause dell’intervento armato da parte del Governo. Poiché quei fatti costituirono (e ancora costituiscono) una ferita e una svolta nel complesso sistema di governance cinese, è meglio tuttavia non rimanere condizionati dalla propaganda anticinese del mainstream occidentale, considerato che le fonti in nostro possesso per lo più provengono da “osservatori” e analisti occidentali o risultano essere assai dubbie, come i Tian’anmen Papers, una raccolta di “documenti ufficiali segreti relativi alle proteste di piazza Tiananmen del 1989”, presentati da un compilatore dall’identità nascosta. 

Si è fin troppo banalizzato sui fatti di Tian’anmen dipingendoli in modo semplificatorio come proteste libertarie e richieste di “riforme democratiche” da parte degli studenti , cui seguì la drammatica repressione del Partito Comunista con il “massacro di Tian’anmen”. Al contrario, oggi sappiamo per certo che le vittime – ben più numerose – furono lavoratori, operai e civili, e non in quella Piazza. 

Terminata da solo 10 anni la Rivoluzione Culturale, la stagione di “Apertura e riforme” promossa da Deng Xiaoping aveva cambiato e stava ancora cambiando il Paese. Era in atto una transizione: da una teorica gestione politica per principi proclamati, si doveva passare alla verifica dei risultati relativi alla gestione economica dell’intero sistema Paese, già avviato a profonde riforme strutturali. Erano perciò necessari accertamenti , soprattutto nei settori delle politiche del lavoro e dei salari, privatizzazioni controllate dallo Stato, trasferimento massiccio di manodopera dalle campagne, sanità, sistema scolastico, … anche l’operato dei vari funzionari responsabili di singoli settori andava valutato per rendimento ed eventuale corruzione (una delle ragioni più enfatizzate di protesta da parte del movimento studentesco). In realtà un intero processo di cambiamento doveva essere confermato e/o modificato per proiettare il Paese verso la crescita economica auspicata (e poi effettivamente raggiunta negli anni successivi). 

Il 1989 fu l’anno nel quale si stava rinnovando il “contratto sociale” tra Popolo cinese e Partito comunista. 

Ma la migrazione forzata dalle campagne alle città, la gestione delle imprese (statali o miste) nelle città, la dissoluzione di comunità di villaggio e imprese agricole comunitarie, avevano generato grande scontento e rivendicazioni accese tra varie categorie di lavoratori. Un dissenso che ingigantiva e confluiva nella protesta degli studenti, ma aveva poco in comune con le rivendicazioni studentesche di diritti democratici e liberali. 

Per la dirigenza del Partito, Tian’anmen è stato un punto di non ritorno ma anche di opzione tra due alternative possibili. Lo stesso abile vecchio stratega Deng Xiaoping aveva compreso che, se le due proteste -quella dei lavoratori e quella degli studenti – si fossero saldate, sarebbe stato un disastro per il PCC. (“Le riforme devono procedere e per procedere serve ordine, serve che la popolazione lavori, invece che protestare” cit. Deng Xiaoping). Lo scontro all’interno del PCC sulla linea da seguire per rispondere alle istanze di questa prima “Primavera” cinese, fu acceso ed emerge palpabile dalle posizioni di importanti funzionari e del comitato detto degli “8 Immortali”.

Se gli studenti e le proteste dei lavoratori avessero vinto, la Cina avrebbe avuto la stessa sorte dell’Unione Sovietica: collasso economico, crollo del sistema-paese, guerra civile. Niente di tutto questo è avvenuto perché il timone è rimasto saldamente orientato a stroncare ogni virus destabilizzante. 

In seguito è calata una sorta di silenzio sui fatti del 1989, confermato nel giugno 1998 dalla cerimonia di benvenuto al Presidente USA Bill Clinton, il quale fu criticato in patria per il suo riavvicinamento alla Cina e per aver sancito l’oblio che il Partito comunista aveva deciso sui fatti del 4 giugno ‘89 .

Ora, guardando più da vicino ciò che è effettivamente successo in Piazza Tian’anmen quel 4 giugno, sappiamo che la versione ufficiale del “massacro ” – montagne di cadaveri di studenti schiacciati dai carrarmati e mitragliatrici che sparavano – ci è stata trasmessa dai giornalisti stranieri della CNN e BBC che lavoravano a Pechino. Tuttavia gli “eroici” rappresentanti dell’informazione non stavano dietro le transenne sulla scena del delitto, ma se ne stavano alle finestre dell’Hotel Beijing, lontano Km 2,7 a piedi , da cui non è affatto visibile né il teatro del “massacro” né l’”eroe solitario e sconosciuto contro il carrarmato” (la Piazza è immensa ma non infinita). In realtà i giornalisti hanno trasmesso al mondo notizie provenienti da Voice of America. Un po’ come succede quando la Botteri da Pechino ci spiega nel dettaglio cosa succede in Siria, in Francia o a Hong Kong. Fu il trionfo del “giornalismo passivo” e di quella “menzogna efficace” per cui il nostro cervello viene reso disponibile ad accogliere ciò che si decide a Washington sui nostri autentici nemici.

Ora, dopo anni, operatori umanitari e giornalisti indipendenti, all’epoca presenti a Pechino offrono nuove informazioni e smentiscono molti miti creati a posteriori. Ci danno elementi sullo sviluppo del movimento di protesta degli studenti che fu influenzato dal contesto delle rivendicazioni popolari in atto, tutti dati sconosciuti al grande pubblico: 

1. la “ricerca della democrazia” tanto cara agli occidentali e alla rivendicazione dei Diritti Umani, non è mai stato l’argomento principale dei manifestanti; 

2. la maggior parte della popolazione dei lavoratori di Pechino non ha affatto sostenuto il movimento degli studenti;

3. la maggior parte delle vittime è stata registrata nei quartieri periferici, sia tra i lavoratori che tra le forze di polizia chiamate a contrastare i disordini;

4. azioni di dialogo sono state promosse da settori del governo e degli studenti in tutte le settimane di occupazione della piazza; 

5. l’uso della violenza è stato utilizzato da entrambe le parti, anche se con intensità e mezzi diversi: agli studenti vengono imputate azioni gravi, al limite del terrorismo, nei quartieri periferici (fonti di residenti locali);

6. una fazione radicale studentesca ha assunto la guida degli studenti e ha eliminato ogni opzione di dialogo, facendo precipitare la situazione nella repressione armata;

7. l’esercito ha permesso agli studenti di sgomberare Piazza Tiananmen senza uccidere nessuno all’interno della piazza. 

Infine mi permetto un ricordo personale. Pochi anni fa circolavano sulla nostra stampa notizie di censure e schieramenti di polizia per impedire agli studenti la commemorazione dell’anniversario del 4 giugno. Posso smentire perché ero là, ospite dell’Università Beida, comunicavo con studenti e professori: nessuno schieramento di polizia ha impedito agli studenti che conoscevo (studiavano latino e storia d’Europa) di andare ai vari cimiteri dove erano sepolte alcune delle vittime dell’89 o di lasciare un fiore e un ricordo. Ero colpita dalla serietà con cui, vent’anni dopo, gli studenti si proponevano di comprendere e giustificare il comportamento dei loro compagni del 1989, chiamati “martiri” solo dalla propaganda occidentale. Ero anche stupita dalla fiduciosa “ingenuità” di questi studenti che non tentavano neppure di contestualizzare quelle proteste in un quadro socio-politico… o forse, più semplicemente come capita ai troppo giovani, non volevano proprio parlare di quadri generali, accontentandosi di utilizzare social e mezzi a loro disposizione per sfogare una voglia di innocua protesta e ridicolizzare le “mummie” del sistema.

Devo confessare che anch’io nel 1989 non avevo capito affatto ciò che ribolliva sotto la facciata della cosiddetta prima “Rivoluzione di Primavera” abortita. D’altronde le cose venivano raccontate da agenzie stampa piene di immaginazione e pregiudizi, le quali avevano come unico interesse quello di focalizzare l’attenzione sulla parte emergente dell’iceberg. Pochi mesi dopo, nel Novembre 1989, la caduta del Muro di Berlino non faceva che confermare il proposito dell’ alleanza occidentale di realizzare, tappa dopo tappa, la liquidazione di ogni sistema di socialismo reale. Ma a Tian’anmen, il disegno siglato CIA fu deluso: il mondo bipolare era ormai in procinto di acquisire un terzo importante attore che sarebbe cresciuto, negli anni successivi, smentendo ogni previsione sul definitivo collasso del sistema fondato dal Grande Timoniere.