Contrastare la criminale provocazione imperialista contro la Repubblica Popolare Cinese

china national symboldi Mauro Gemma

Il testo dell’intervento presentato al dibattito “La Cina della Nuova Era”, organizzato dalla Federazione torinese del PCI

Considero mio dovere ringraziare per il gradito invito ricevuto dalla Federazione torinese del PCI a partecipare come relatore e, con il mio intervento cercherò in ogni caso di non sottrarmi all’impegno di portare un mio personale contributo alla discussione sulla situazione e le prospettive di una grande potenza socialista, quale è la Repubblica Popolare Cinese diretta con saggezza e lungimiranza da un partito comunista dalla gloriosa storia rivoluzionaria, i cui successi e le immense realizzazioni unite a un indefesso impegno nella difesa della pace e di un mondo multipolare sottratto all’egemonia imperialista dovrebbero rappresentare un punto di riferimento fermo per ogni comunista dell’intero pianeta.

L’esempio luminoso della Cina, impegnata nella costruzione di un “socialismo dalle caratteristiche cinesi”, dimostra con convincenti argomenti quanto sia falsa la campagna martellante condotta da più parti che dà per morto e sepolto il movimento comunista nel mondo di oggi.

Va riconosciuto che il Partito Comunista Italiano (almeno a giudicare dalle sue posizioni ufficiali) è, nel panorama politico italiano, la forza politica che più di altre sembra avere compreso (constato però, non in modo unanime, a giudicare dai commenti di alcuni vostri compagni che pure svolgono ruoli dirigenti e da quelli spesso pubblicati pagine facebook di alcune federazioni provinciali) la necessità di rafforzare la nostra sovranità nazionale e una maggiore indipendenza dalle scelte euro-atlantiche, anche attraverso la valorizzazione da parte dei nostri governi (di ogni colore) del ruolo indubbiamente positivo che la Cina gioca in un mondo in profonda trasformazione, caratterizzato dal declino dello strapotere imperialista occidentale e, proprio per questa ragione, attraversato da seri rischi di conflagrazione bellica dalle conseguenze imprevedibili e da un’aggressività che forse mai, dalla fine del cosiddetto “campo socialista”, guidato dall’Unione Sovietica, agli inizi degli anni 90 dello scorso secolo, aveva assunto forme così minacciose e pericolose.

Va rilevato a questo proposito come, ormai da anni, l’imperialismo, in particolare quello statunitense, persegua una ben precisa strategia destinata ad impedire ad ogni costo (anche con la guerra) che la Cina raggiunga il primato come potenza economica mondiale. Qualcuno tra i teorici delle politiche imperialiste statunitensi è arrivato ad utilizzare persino l’espressione “soffocare il bambino nella culla”.

E’ soprattutto per questa ragione che ho deciso di dedicare il mio intervento a ciò che sta accadendo in questi giorni ad Hong Kong, dove si sta dipanando (sul modello delle cosiddette “rivoluzioni colorate” targate USA) quella che considero una delle più terrificanti provocazioni messe in atto dall’imperialismo. Una campagna ben orchestrata, anche con i caratteri della esplicita aggressione militare che utilizza bande guidate da aspiranti “quisling” locali, che ha come bersaglio proprio la Repubblica Popolare Cinese e che sta riempiendo in questi giorni i commenti complici di tutti i grandi media occidentali e del nostro paese, in assenza, qui da noi, almeno nel nuovo governo e nelle aule parlamentari, all’interno di tutti i gruppi politici (in particolare nella destra e nel Partito Democratico), di un argine sufficiente ad arrestare il torrente di menzogne e di irresponsabile bellicismo tendente a condizionare un’opinione pubblica già sufficientemente manipolata.

C’è un altro obiettivo della campagna incessante che caratterizza le pagine dei giornali e i commenti televisivi del nostro paese e che intende fare della “questione Hong Kong” il grimaldello con il quale scardinare il positivo e costruttivo rapporto politico ed economico con la Cina costruito nell’ultimo anno (pur in presenza di non trascurabili resistenze da parte della Lega all’interno del governo giallo-verde). In questo senso, le posizioni più virulente all’interno di questa campagna si manifestano addirittura con accuse alla Cina di manovrare forze politiche e della comunicazione italiane con una mirata operazione a base di fake news: tra tutti, occorre affermarlo con fermezza, si distingue il Manifesto che, a firma Simone Pieralli, è arrivato a scrivere testualmente per legittimare l’operazione propagandistica imperialista in corso sugli eventi di Hong Kong: “la potenza degli uffici della propaganda di Pechino è arrivata anche in Occidente, dove ormai il peso dei media cinesi non è più ininfluente come qualche tempo fa. I network televisivi e informativi cinesi sono ormai in grado di fare breccia anche nel panorama mediatico occidentale, spesso anche grazie a collaborazioni con importanti media e agenzie”.

E’ evidente che non è certo un caso che a scatenare questa mistificante operazione propagandistica siano i giornali più vicini al Partito Democratico e alle sue schegge parassite “di sinistra radicale” oggi associate al nuovo governo giallo-fucsia. Il bersaglio di questa manovra dovrebbe essere colto con chiarezza da ogni comunista e amico della Cina: con l’avvento del nuovo governo giallo-fucsia e con la ufficiale riconversione euro-atlantica dei 5 Stelle (pilotata in particolare da Conte, da Grillo e da Di Maio), c’è sicuramente chi intende mettere in discussione l’importante memorandum di intesa firmato nel corso della visita del presidente cinese nel nostro paese alcuni mesi fa, un evento di carattere storico che ha fatto dell’Italia il primo paese del G7 a compiere passi significativi sulla via del rafforzamento delle relazioni con la Repubblica Popolare Cinese, e che anche voi, compagni del PCI, avevate salutato con calore, vincendo resistenze che mi è sembrato di avvertire all’interno delle stesse vostre file, tra coloro che un eventuale accordo lo avrebbero preferito concordato (al ribasso per l’Italia) con l’Unione Europea, da costoro considerata non una potenza imperialista in cooperazione e competizione con altre potenze imperialiste, ma quasi una sorta di “alleato naturale” della Cina nella contrapposizione all’egemonia imperialista. Una posizione, sia detto con chiarezza, assolutamente in contrapposizione e polemica con quella assunta dalla parte migliore del movimento comunista europeo, a cominciare dal Partito Comunista Portoghese.      

Tornando a quanto sta accadendo ad Hong Kong, vale la pena riprendere quanto ha avuto modo di osservare Pino Arlacchi, un acuto osservatore di questioni internazionali. Scrive Arlacchi: “La corruzione mediatica ha di recente preso di mira la Cina, attraverso la disinformazione sulle proteste che avvengono a Hong Kong in queste settimane presentate come manifestazioni di difesa delle libertà politiche dei cittadini da un trattato di estradizione che consentirebbe alla Cina di prelevare da Hong Kong i dissidenti per imprigionarli nella madrepatria. Non una parola viene sprecata per ricordare: A) che Hong Kong fa parte della Cina, ed è una regione a statuto speciale tornata a far parte della Cina stessa dal 1997 dopo essere stata per oltre un secolo colonia inglese in conseguenza delle guerre vinte dalla Gran Bretagna nell’Ottocento in nome della libertà di vendere l’oppio ai milioni di tossicodipendenti cinesi. B) che la Cina ha rispettato le istituzioni democratiche introdotte a Hong Kong dagli inglesi all’ultimo minuto prima della loro dipartita. C) che la maggioranza degli elettori della città sono pro-Cina e che i partiti anticinesi continuano a perdere consensi. D) che il trattato riguarda i reati comuni sopra i 7 anni di carcere (omicidi, rapine, stupri, etc.) puniti in entrambi i sistemi. Ed esclude quindi qualunque possibilità di uso politico. E) che la Cina lamenta il fatto che Hong Kong ha firmato solo 20 trattati di estradizione con paesi esteri ed è diventata perciò un ricettacolo della delinquenza cinese ed internazionale di ogni risma: dagli assassini di alto bordo ai contrabbandieri, dai politici corrotti ai mega-truffatori finanziari che risiedono sul posto imboscando il loro malloppo (Hong Kong è ancora uno dei massimi paradisi fiscali). F) che il vero problema che sta alla base del disagio degli abitanti di Hong Kong è il suo declino come centro finanziario rispetto alla crescita impetuosa della madrepatria e della zona confinante di Shenzhen dopo il 1997. Crescita dovuta allo sviluppo di una vasta industria manifatturiera che sta agli antipodi della finanza semi-criminale di Hong Kong. Scavalcata ampiamente, tra l’altro, nella sua componente legale, dalle Borse di Shanghai e Guangzhou“.

Tutti in questi giorni hanno potuto constatare, nelle trasmissioni televisive che sostengono con entusiasmo (insieme a tutti i partiti di governo e di opposizione e nel silenzio, se non con la complicità di almeno una parte significativa della “sinistra radicale”) la rivolta in corso in questa metropoli, i metodi utilizzati dai manifestanti che non nascondono la loro nostalgia per l’umiliante passato coloniale della Cina pre-rivoluzionaria, agitando le bandiere delle potenze imperialiste occidentali, e persino i vessilli inalberati dalle bande criminali naziste che con la complicità di tutte le potenze imperialiste, nel febbraio 2014, avevano rovesciato con un colpo di Stato il governo dell’Ucraina: armi automatiche, bombe molotov, mattoni ardenti, aggressioni allo scopo di uccidere, a cui la polizia si è limitata a rispondere con cannoni ad acqua e lacrimogeni (niente di paragonabile alla violenza inaudita con cui la polizia francese ha represso, anche con l’utilizzo di gas micidiali, per oltre 50 settimane la rivolta dei gilet gialli, provocando 2 morti e 2.500 feriti). In più di un’occasione questi “innocenti ragazzi”, secondo la narrazione dominante, (ed è singolare e certo non casuale come la sovversione imperialista punti sempre di più sulla costruzione di “personaggi simbolo” con la faccia pulita del “bravo ragazzo” o della “brava ragazza”) hanno tentato di dare l’assalto ai palazzi istituzionali e in primo luogo al parlamento, respingendo le ripetute offerte di dialogo da parte delle legittime autorità politiche di Hong Kong.

Ma quali sono le forze che stanno dietro a questo movimento?

Il governo cinese lo ha denunciato con precisione, non escludendo la possibilità di intervenire direttamente per difendere la sovranità cinese. Alti funzionari governativi hanno etichettato gli atti più estremi come “terrorismo” e denunciato il sostegno degli Stati Uniti. Più volte i funzionari hanno sollevato l’analogia con le “rivoluzioni colorate” occidentali che hanno violentemente ribaltato i governi di Serbia, Ucraina e Libia e che sono in corso in Venezuela e Siria.

“Gli ideologi dei governi occidentali non cessano mai nei loro sforzi per creare disordini contro governi che non sono di loro gradimento, anche se le loro azioni hanno causato miseria e caos in paesi dell’America Latina, dell’Africa, del Medio Oriente e dell’Asia. Ora stanno provando lo stesso trucco in Cina”, ha spiegato il quotidiano “China Daily” il 3 luglio.

Liu Xiaoming, ambasciatore cinese in Gran Bretagna, ha accusato il governo di Londra di comportarsi ancora come il padrone coloniale di Hong Kong e una portavoce del Ministero degli Esteri cinese ha affermato che i recenti commenti dei deputati americani Pelosi (Democratica) e McConnell (Repubblicano) dimostrano che il vero obiettivo di Washington è incitare il caos in città,

Un ruolo di primo piano lo stanno ricoprendo certo le tante organizzazioni non governative – ma spesso finanziate e sostenute indirettamente da governi degli Stati Uniti e dell’Unione Europea e che a volte riscuotono anche la simpatia di settori della “sinistra radicale”, in particolare quelli oggi al governo (non si capisce se per ingenuità o complicità) – che dovrebbero occuparsi della tutela dei diritti umani ma che oggettivamente in questi anni hanno contribuito alla copertura ideologica delle tante aggressioni imperialiste condotte da USA/UE/NATO in giro per il mondo. Con una battuta, si potrebbe affermare che una gran parte delle Ong si comporta come le missioni religiose al seguito dello sterminio attuato dai “conquistadores” spagnoli, dopo la scoperta dell’America.

In questo contesto pregno di pericoli per la stessa pace e a conclusione del mio intervento, personalmente ritengo che il compito dei comunisti in Italia (dovunque collocati), nell’ambito delle pur limitate forze su cui possono contare, dovrebbe essere quello di intensificare (come state facendo voi con questa importante iniziativa di riflessione) la campagna di informazione corretta su quanto avviene in Cina e attorno a questa grande potenza socialista, denunciando con forza la crescente pressione dell’imperialismo che, nei suoi orizzonti, non esclude neppure le più pesanti provocazioni militari e prendendo le distanze da chi, anche nella “sinistra a sinistra del PD” sembra ignorare più o meno volutamente l’importanza della questione cinese (in particolare dopo l’ingresso di alcuni di costoro nel governo giallo-fucsia). Cogliendo in tal modo tutti gli importanti segnali di attenzione alle ragioni della Cina che si avvertono in questi giorni (penso, ad esempio alla condivisibile e per certi versi inaspettata intervista concessa da Marco Rizzo, segretario del PC, alla stampa cinese e al pregevole lavoro di informazione corretta da parte di importanti siti coerentemente antimperialisti come l’Antidiplomatico. Per quanto riguarda poi noi di Marx21.it, siate certi che continueremo a fare la nostra parte per contrastare questa criminale campagna imperialista contro la Cina socialista, augurandoci di poter contare anche sul sostegno di tutti voi.

Grazie per l’attenzione!