Mar Cinese Meridionale: libertà di navigazione? Per chi e per cosa?

mar cinese meridionale esercitazione usa giapponedi Fabio Massimo Parenti
da opinione-pubblica.com

Riceviamo e volentieri pubblichiamo

Mentre la Cina lavora insieme all’ASEAN per fare del Mar Cinese Meridionale un mare di tutti, gli Stati Uniti interferiscono reclamando una pretestuosa “libertà di navigazione”.

Oggi è di nuovo il turno delle isole Xisha (Paracels), oggetto domenica scorsa delle provocazioni della marina statunitense, come già accaduto a giugno e in altre occasioni negli anni passati. Il portavoce della Difesa cinese, Wu Qian, ha denunciato “l’entrata illegale di un cacciatorpediniere Usa nelle acque territoriali della Cina di fronte alle isole Xisha”. “E’ un’offesa seria”, ha continuato Wu, e la Cina è stata costretta ad inviare navi militari ed aerei da combattimento per avvertire la USS Stethem.

Questa situazione si protrarrà secondo le necessità della teatralizzazione mediatica di questioni sensibili. Lo statunitense Jim Dean, caporedattore di Veteran today, ha affermato a Russia Today che “gli USA stanno invischiandosi in dispute in cui non sono stati chiamati”, in cui non sono parte in causa. Si tratta, secondo Dean di un “gioco” di pubbliche relazioni contro la Cina. E’ una campagna che va avanti da un po’ di tempo e l’ultimo incidente, che “avviene a seguito di un ordine di vendita di armi a Taiwan”, è parte di un giro di vite.

Infiammare le tensioni in un’area lontanissima dai propri territori è un’ennesima dimostrazione di forza per pubblicizzare la volontà statunitense di continuare a interferire negli affari interni di altri paesi – al di fuori di rapporti cooperativi e di reciprocità, in violazione delle norme esistenti – e magari favorire un maggiore impegno militare da parte della Repubblica popolare in modo da giustificare un crescente interventismo. Le provocazioni e pressioni unilaterali a migliaia di chilometri dal proprio spazio sovrano, mostrano chiaramente la volontà degli USA di perseguire i propri interessi sotto la copertura della “libertà di navigazione”.

Ancora una volta siamo di fronte all’uso di slogan vaghi e generali, impiegati per portare avanti agende strategiche più articolate, ma estremamente rischiose. La cosiddetta “libertà di navigazione” nel Mar cinese meridionale è in realtà un falso problema. Negli ultimi decenni non si è verificato un solo caso in cui si imponessero restrizioni per la libertà di navigazione e la libertà di sorvolo, e nessuna delle principali società assicurative ha classificato il Mar Cinese Meridionale come zona ad alto rischio. Pertanto, la cosiddetta libertà di navigazione sembra essere soltanto un pretesto strumentale per altri fini strategici. La libertà di navigazione non equivale alla navigazione sregolata.

I copioni si ripetono, dalla Corea del Nord a Taiwan, passando per Hong Kong fino alle isole del Mar cinese meridionale a nord e a sud. L’amministrazione Trump, pur con una retorica più rude, non fa altro che proseguire le azioni intraprese dal suo predecessore. Le questioni sono in realtà legate alla competizione strategica tra grandi potenze in un mondo in profondo cambiamento, almeno se guardiamo ai rapporti di forza. La ripetitività delle supposte minacce è invece tipica del processo di manipolazione dell’informazione per ottenere consenso da parte di un’opinione pubblica che altrimenti sarebbe d’ostacolo alle agende politiche. È una tecnica teorizzata nei primi manuali di “scienza” della comunicazione e di relazioni pubbliche e praticata da almeno un secolo.

La nuova vendita di armi a Taiwan, cosa che si ripete costantemente, l’implementazione parziale del sistema THAAD in Corea del sud, le minacce ricorrenti alla Corea del nord, raccontano sempre e solo una storia… censurando o marginalizzando, ad esempio, le informazioni sulle lunghe e ripetute esercitazioni militari in funzione anti-Pyongyang (con Giappone e Corea del Sud), oppure sulle contestazioni al THAAD da parte della popolazione della Corea del sud.

Quest’ultimo sistema anti-missilistico, ad esempio, irrita da tempo Russia e Cina e, anche in questo caso, aumenta le tensioni con la Corea del Nord, invece di attenuarle. In tutte queste questioni non esiste alcuna attenzione, da parte di Washington, ad approcci autenticamente democratici, ovvero al confronto tra posizioni differenti e altrettanto legittime. Non esiste alcuna attenzione alla stabilità di aree strategiche, semmai il contrario. Ogni controversia geopolitica che di volta in volta si agita nei media occidentali di massima diffusione, in cui gli USA vedono sempre e dappertutto minacce per l’umanità, ha le seguenti motivazioni: volontà di contenere la Cina, indisponibilità a nuove forme di cooperazione internazionale, costante attitudine ad interferire negli affari altrui, nonché violazione dei principi di base del diritto internazionale, per non cedere mai, in ultima analisi, all’impellente necessità di dominio al livello globale, che passa dal controllo di aree strategiche e dal contenimento di possibili competitor. Non è un caso che il ministro degli esteri cinese WangYi abbia posto una domanda calzante: “gli Usa sono peacekeepertroublemaker”? Ovvero, sono volti a supportare la pace, oppure a creare problemi?

Al contrario, l’atteggiamento cinese sulle dispute regionali si è mostrato molto equilibrato. La Cina infatti si è dedicata, e continua a farlo, a risolvere le dispute direttamente con i Paesi coinvolti, attraverso negoziati e trattative, sulla base della realtà storica e nel pieno rispetto del diritto internazionale. La Cina e i Paesi dell’ASEAN si stanno ad esempio impegnando ad applicare in modo complessivo ed effettivo la Dichiarazione sulla Condotta nel Mar Cinese Meridionale (approvata nel 2002 in ambito ASEAN), rafforzando concretamente la cooperazione marittima.