Le pressioni occidentali sull’Iran si ripercuotono nel Caucaso

da “Atlas alternatif” | traduzione a cura di Marx21.it

 

caucasus mapLe ultime tensioni tra l’Iran e l’Occidente (assassini mirati di ricercatori iraniani da parte dei servizi israeliani, embargo europeo, australiano e giapponese sulle esportazioni di petrolio, raddoppio del numero delle portaerei statunitensi al largo dell’Iran, gli appelli di John Bolton del neo-conservatore Istituto dell’impresa americana per la ricerca sulle politiche pubbliche a favore di attacchi preventivi) non hanno effetti destabilizzanti solamente nel Medio Oriente. Contribuiscono anche alla militarizzazione del Caucaso (frontiera nord dell’Iran).

 

Il capo di Stato maggiore russo Nikolai Makarov (grande specialista della modernizzazione dell’apparato di difesa russo che aveva sottolineato recentemente i rischi di una dottrina russa troppo centrata sul nucleare) ha annunciato il 18 gennaio scorso (in una Russia dove le manifestazioni contro i risultati delle elezioni legislative si sono progressivamente esaurite) che le esercitazioni militari che hanno luogo ogni anno nel sud della Russia (strategic command and staff exercise) quest’anno assumeranno un’ampiezza particolare con la mobilitazione di tutto l’apparato di sicurezza russo, civile e militare, e avranno luogo non solamente in Russia ma anche in Abkhazia, Ossezia del Sud e Armenia. Come precisa il politologo Serghei Konovalov “le proposte del generale poggiano su azioni concrete. Fonti ufficiali del distretto militare del sud segnalano l’arrivo, tra le unità stazionate nel Caucaso del Nord, di circa una ventina di veicoli del comando e dello stato maggiore modernizzati (sono presenti alla direzione di ogni battaglione di fanteria motorizzata o di carri armati), che a titolo di sistema di localizzazione e riconoscimento utilizzano il sistema GLONASS (GPS russo). Tale sistema equipaggia anche tutti i nuovi elicotteri e aerei da combattimento (il loro parco nella regione sud è stato rinnovato per quasi il 100%), che assicurano la sorveglianza nella zona di responsabilità., come pure i sistemi di artiglieria. Anche le truppe sono state fornite di un nuovo sistema di controllo automatizzato delle forze di difesa antiaeree Barnaoul-T. Tale sistema controlla già lo spazio aereo non solo della Russia, ma anche dell’insieme del Caucaso del Sud. Ciò è importante, poiché la 102° base militare russa, di stanza in Armenia, è separata dal gruppo principale della regione sud”.

 

Gli ufficiali russi non nascondono che tale dispiegamento di forze è dovuto in parte, in previsione di scenari di attacco dell’Iran, alla protezione degli interessi russi nella regione. Si tratta in particolare della presa in considerazione del fatto che, in caso di attacco contro l’Iran, l’Azerbaigian potrebbe essere mobilitato come base per l’esercito americano (dal momento che la Turchia si rifiuta di giocare tale ruolo), ed essere così oggetto di rappresaglie da parte di Teheran (sulla capacità di rappresaglia dell’Iran in caso di guerra vedere in particolare http://www.strategic-culture.org/pview/2012/01/12/can-iran-defeat-the-us-in-a-major-war.html.

 

Queste manovre russe sono programmate parallelamente a un vasto piano di ripresa di controllo politico del Caucaso da parte di Mosca che si iscrive nel progetto più ampio di Vladimir Putin di Unione eurasiatica (e che è accompagnato anche da una componente finanziaria, dal momento che la Russia sta cercando di mettere ordine nei suoi aiuti all’Abkhazia e all’Ossezia del Sud, come aveva fatto con la Transnistria). Uno degli aspetti interessanti della politica russa verso il Caucaso potrebbe anche riguardare l’accoglimento dei Circassi della Siria che hanno inviato a Medvedev una richiesta di rimpatrio nel Caucaso del Nord (ma su cui Mosca è ancora dubbiosa a causa dell’esistenza di problemi di coesistenza religiosa).

 

Ma l’annuncio delle manovre militari è stato immediatamente interpretato da Tbilisi come una minaccia contro la Georgia (che ha anch’essa organizzato esercitazioni militari congiunte con gli Stati Uniti nel 2011). Le relazioni con la Georgia sono state ulteriormente aggravate negli ultimi mesi dal progetto di Saakashvili di rovinare economicamente il porto di Sukhumi e dal possibile coinvolgimento di Tbilisi nel progetto di scudo anti-missile americano. La Turchia ha già messo in funzione a metà gennaio al servizio della NATO un radar di allerta che inquieta Mosca. La Russia oggi minaccia di installare missili Iskander puntati verso il Caucaso per dissuadere la Georgia dal continuare ad armarsi presso gli Stati Uniti e Israele. Medvedev ha fatto la stessa cosa alla sua frontiera occidentale annunciando l’installazione degli stessi missili a Kaliningrad in risposta all’installazione dello scudo della NATO nella Repubblica Ceca. Le precauzioni di Mosca non sono certo un lusso in questo momento. L’ex presidente georgiano Shevarnadze in http://news.am/eng/news/90431.html ha esplicitamente accusato Mikheil Shaakashvili di spingere per una guerra contro l’Iran allo scopo di salvaguardare la sua poltrona presidenziale, esattamente come quando aveva provocato la guerra contro la Russia nell’agosto 2008. Il presidente georgiano ha già accettato la costruzione di ospedali militari sul suo suolo destinati direttamente a curare i feriti dopo lo scatenamento di un conflitto con Teheran. L’escalation guerrafondaia dei neoconservatori americani e di Mikheil Saakashvili comporta automaticamente lo sviluppo della strategia di dissuasione russa basata sulla dislocazione di missili Iskander e la messa sul campo di nuove forze di intervento militare.

 

In questo contesto di crescita delle tensioni nel Caucaso, il voto da parte del Senato francese di una nuova legge sulla memoria, su richiesta di organizzazioni armene (e in conformità con una promessa di Sarkozy fatta in ottobre) diminuisce le possibilità della Francia di concorrere alla pace nella regione. Oltre alle perdite economiche calcolate in miliardi di euro che il voto di questa legge potrebbe provocare se Ankara prendesse misure di ritorsione economica, già da ora ciò compromette il ruolo di mediazione di Parigi nel conflitto dell’Alto Karabakh (in seno al gruppo detto di Minsk). Ali Ahmedov, segretario esecutivo del Partito del nuovo Azerbaigian (YAP) al potere a Baku ha dichiarato a tal proposito mercoledì 24 gennaio: “Una legge talmente assurda e infondata dimostra che la Francia si presenta apertamente come il difensore dell’Armenia (…) mentre dovrebbe salvaguardare la sua neutralità in quanto copresidente del Gruppo di Minsk dell’OSCE (…) La Francia ha tradito la sua missione e perduto il diritto morale di restare”. I responsabili azerbaigiani vedono in questa legge un attentato alla libertà di espressione in Francia. In seguito alla prima approvazione di questa proposta di legge in dicembre da parte dell’Assemblea Nazionale, il ministro azero degli affari esteri Elmar Mammadyarov ha dichiarato che, se la Francia è interessata ai genocidi, dovrebbe anche mostrare interesse per il massacro di Khojali nel febbraio 1992, nel corso del quale le forze armene avrebbero ucciso tra i 500 e i 1.000 civili azeri secondo Human Rights Watch, fatto che Baku considera un genocidio. L’iniziativa anti-turca della Francia è malvista in Azerbaigian che condivide con Ankara lo stesso substrato culturale. Il Centro della diaspora internazionale dell’Azerbaigian e l’Organizzazione per la Libertà del Karabakh hanno manifestato davanti all’ambasciata di Francia a Baku per esigere il ritiro della Francia dal Gruppo di Minsk, per il congelamento delle relazioni economiche franco-azerbaigiane e per il ritiro della Total da tutti i pozzi di petrolio di questo paese.

 

Ma, paradossalmente, il voto della legge francese e i suoi effetti sulle tensioni nazionaliste nel Caucaso potrebbero beneficiare la pace del popolo iraniano, poiché, non solamente complica le relazioni franco-turche e franco-azerbaigiane, ma rilancia negli Stati Uniti il dibattito sul riconoscimento del genocidio turco promesso da Barack Obama. Il Comitato nazionale armeno d’America (ANCA) ha chiesto per voce del suo direttore Aram Amparian a Washington di imitare la Francia riconoscendo a sua volta il genocidio. Se la sua domanda venisse seguita da qualche effetto, almeno sotto la forma della proposta di risoluzione al Congresso, Barack Obama – già incline negli ultimi tempi ad avanzare offerte di negoziato a Teheran piuttosto che a seguire i neoconservatori – si troverebbe anche nella posizione di gestire gli effetti del degrado dei suoi rapporti con Ankara, fatto che rappresenterebbe un ulteriore alleggerimento della situazione per Teheran.