Rivolta in America Latina: l’auge e la caduta del consenso neoliberale

cile proteste 2019di Bruno Sgarzini
da misionverdad.com

24 ottobre 2019

Traduzione di Marco Pondrelli

“Un programma d’urto di drastici tagli alla spesa pubblica eliminerebbe l’inflazione in mesi e porrebbe le basi per una libera economia di mercato in Cile”, così scrisse Milton Friedman in una lettera inviata ad Augusto Pinochet dopo un breve incontro di 45 minuti con il dittatore. Fin dall’inizio, Friedman capì che Pinochet sapeva poco di economia, e “approfittando” di ciò gli inviò la lettera. Lo fece come leader della corrente di pensiero del libero mercato, fondata presso la University of Chicago’s School of Economics.

L’accettazione del piano di Friedman fu immediata da parte di Pinochet e diede origine alla “rivoluzione liberale cilena”, che in seguito ispirò le presidenze di Margaret Thatcher in Gran Bretagna e Ronald Reagan negli Stati Uniti nei loro piani di deregolamentazione e privatizzazioni. Dietro il programma economico di Pinochet, però, c’erano gli Stati Uniti, che ne finanziavano l’elaborazione con i fondi della Central Intelligence Agency (CIA) inviati ai discepoli della Chicago School indottrinati in Cile.

I creatori del famoso “ladrillo”, il libro di 300 pagine che è servito come base per il programma di Pinochet, sono stati formati dalla Chicago School dell’Università Cattolica del Cile, sotto la tutela di un programma di finanziamento dell’Agenzia Americana per lo Sviluppo Internazionale (USAID). Il tridente Stati Uniti, Chiesa cattolica e neoliberismo irrompe per la prima volta in America Latina per imporre l’ideologia del libero mercato in tutto il continente.

Una volta concluse le riforme di liberazione e privatizzazione delle imprese pubbliche, José Piñera, fratello dell’attuale presidente e altro discepolo di Friedman, promosse una Costituzione che istituzionalizzava il diritto del privato sul pubblico arrivando al limite di abbandonare l’istruzione, la salute e persino l’acqua ai desideri del mercato. Questo packaging istituzionale, marcato da un sistema di destra dura e di destra moderata, è quello presentato come il miglior modello di gestione di un’economia di libero mercato nella regione e nel mondo.

Secondo Orlando Letelier, assassinato dal Piano Condor degli Stati Uniti, il credo di questa ideologia è che “l’unico quadro possibile per lo sviluppo economico è quello in cui il settore privato può operare liberamente; che l’impresa privata è la forma più efficiente di organizzazione economica e che, quindi, il settore privato dovrebbe essere il fattore predominante nell’economia. I prezzi dovrebbero fluttuare liberamente in base alle leggi sulla concorrenza. L’inflazione, il peggior nemico del progresso economico, è il risultato diretto dell’espansione monetaria e può essere eliminata solo attraverso una drastica riduzione della spesa pubblica”.

PERCHÉ IL PROBLEMA DEL MODELLO CILENO È REGIONALE E GLOBALE?

José Piñera ha riformato la Costituzione cilena ascoltando le parole del suo mentore Milton Friedman sull’esperimento neoliberale, che non sarebbe stato fattibile se non fosse stato istituzionalizzato in un “regime democratico”.

Il fratello di Piñera, inoltre, è stato colui che ha progettato la privatizzazione della Sicurezza Sociale in Cile, presa come riferimento dai neoliberali del mondo per permettere alle banche, e ai fondi finanziari, di scommettere con i soldi delle pensioni sul mercato globale.

Proprio le tre riforme in corso in tutta l’America Latina per rilanciare la crescita economica della regione, stimata per quest’anno allo 0,2%, si basano sull’applicazione di riforme del lavoro, delle pensioni e delle imposte simili a quelle adottate dal Cile. Il credo citato da Letelier è lo stesso: ridurre la spesa pubblica e liberalizzare i controlli privati per attirare capitali.

“La triste ironia delle proteste come quella del Cile è che rendono difficile migliorare la situazione attraverso riforme economiche”, ha detto Brian Winter del Consiglio delle Americhe, fondato da David Rockefeller. Secondo questa logica, il Brasile eviterebbe una caduta di sette punti del PIL solo se il suo ministro dell’Economia, Paulo Guedes, formatosi dentro all’esperimento neoliberale cileno, potesse riformare la sicurezza sociale e privatizzare Petrobras* dopo aver liberalizzato le condizioni di lavoro.

Se si osserva la tendenza regionale dal Messico all’Argentina, il mandato delle banche di continuare a finanziare il debito pubblico degli Stati nazionali si basa su una combinazione di misure di chiara austerità. Se Stati come l’Argentina non riescono a fare passare queste riforme, come è successo a Mauricio Macri con la riforma del lavoro, il FMI immediatamente finanzia un piano d’urto che libera i controlli privati e riduce drasticamente la spesa pubblica con la forza.

Queste misure basate sulla trappola del “debito”, secondo l’economista David Harvey, produce che, attraverso la triade FMI, Dipartimento del Tesoro e Wall Street, i paesi razionalizzano il loro debito generando un debito maggiore, ma meglio strutturato, basato sul trasferimento dei loro beni all’estero (leggi Stati Uniti ed Europa).

Dal 2008 con il crollo finanziario questo processo, che Harvey chiama “accumulazione per espropriazione”, si è accelerato in tutta l’America Latina, portando allo stato attuale delle cose dove la maggior parte degli stati hanno avviato grandi riforme per tornare alla crescita delle loro macroeconomie, a spese delle proprie popolazioni impoverite da queste misure.

Fu proprio in Cile che iniziò questo processo globale di accumulazione per espropriazione, siccome il piano economico disegnato dai Chicago Boys fu quello che diede origine al Washington consensus, imposto nella maggior parte dell’America Latina dopo gli scenari di iperinflazione e grandi debiti degli anni Ottanta. Esperienza che è stata replicata in Africa e in Asia nella stessa forma e nella stessa maniera, come spiegato nel documento di lavoro En las ruinas del presente della Tricontinental.

La privatizzazione e la drastica riduzione della spesa pubblica è stato il grido di guerra dei neoliberali quando hanno progettato il sistema istituzionale cileno per stratificare una società di classe, dominata da un consumo di beni e servizi basato su un massiccio indebitamento.

Il bilancio è eloquente: un cileno su tre di età superiore ai 18 anni non ha le risorse per pagare i debiti. Che sono stati contratti per gli acquisti nei grandi magazzini, istruzione personale o familiare, spese sanitarie e per gli acquisti quotidiani, secondo un rapporto sul giornale Concepción.

In questo senso, El Mostrador ha intitolato un articolo “Con la corda intorno al collo; l’indebitamento accumulato che ha scatenato la rivolta di ottobre”, in cui ha intervistato Lorena Pérez, ricercatrice del Núcleo Milenio Autoridad y Asimetrías del Poder. Pérez ha detto che la maggior parte dei cileni spendono il 27% dei loro stipendi per pagare debiti che rappresentano una “sorta di estensione salariale”, che viene costantemente rifinanziata per scopi di consumo o semplicemente per far quadrare i conti.

Un’aggiunta ancora più grande a questa situazione esplosiva è che la privatizzazione dei fondi pensione, effettuata dal fratello di Piñera, ha portato i lavoratori attivi a farsi carico dei costi economici dei loro genitori ora che si stanno ritirando dal sistema pensionistico.

“Questa generazione deve sostenere economicamente i propri debiti e i costi delle pensioni indegne dei suoi genitori”, ha detto Pérez in un Cile dove i ricchi ,che beneficiano maggiormente di questa privatizzazione, sono i maggiori evasori fiscali.

Un esperto in evasione fiscale è l’attuale Presidente Piñera, specializzato nell’acquisto di società in fallimento, considerate “zombie”, affinché attraverso di loro potesse registrare i suoi profitti nelle loro perdite per pagare meno tasse. Per questo motivo, il ricercatore Martín Rivas ha descritto Piñera come “re degli zombie”.

ESPLOSIONE SOCIALE E REPRESSIONE INDISCRIMINATA

“Piñera ha compreso correttamente la necessità di rendere il Cile più attraente per gli investitori stranieri e di stimolare la crescita economica (…..) Se vuole preservare la stabilità del proprio paese, ora dovrebbe mostrare una sensibilità simile per cileni meno fortunati”, ha scritto il Financial Times in un editoriale dopo che il presidente cileno ha affrontato le proteste scoppiate principalmente contro l’aumento della Metro, tra le altre riforme.

Si stima che il servizio sia aumentato di 20 volte dal 2017 e se un cileno viaggia due volte al giorno, il prezzo del biglietto assorbe il 16% dello stipendio. Un chiaro esempio di come funziona il neoliberismo in Cile.

Il Financial Times, che considera erroneamente la rivolta cilena come delle “classi medie”, tra le righe critica la decisione di Piñera di imporre il coprifuoco e lo stato di emergenza nelle strade, senza farsi carico delle conseguenze delle politiche che proclama.

Nell’ambito di una classica strategia di criminalizzazione della protesta, il governo cileno, insieme ai media, ha remixato la classica combinazione di gruppi di infiltrati con atti di violenza per caratterizzare le manifestazioni come una minaccia alla stabilità del paese. Con lo stesso obiettivo di smobilitare la protesta, i militari e i carabineros, erano incaricati di usare metodi per terrorizzare la popolazione per farle lasciare le strade.

Ore e ore di riprese video con episodi di violenza da parte delle forze dell’ordine, come se fosse stato girato un film di Quentin Tarantino. Il cittadino globalizzato ha potuto vedere di persona come i militari cileni hanno sparato ai giovani alle spalle, picchiato bambini e donne ed investito i manifestanti con pattuglie, tra i tanti altri episodi dell’horror show cileno.

Il bilancio è di 19 morti, più di 200 feriti, quasi 3.000 arrestati e 129 denunce di torture e trattamenti crudeli raccolte dall’Istituto nazionale dei diritti umani (INDH). Un flashback su tutta la linea della dittatura di Augusto Pinochet ma con schermi touch screen.

David Harvey afferma giustamente nella sua tesi sull’accumulazione per espropriazione che il controllo del malcontento, prodotto delle politiche neoliberali, rimane generalmente nelle mani dell'”apparato statale del paese debitore, sostenuto dall’assistenza militare delle potenze imperiali.

Il Cile, per esempio, ha Forze Armate formate dalla Scuola delle Americhe secondo le dottrine della sicurezza nazionale che considerano come “nemico interno” chiunque sia un rischio per la stabilità del paese. Quello che vediamo sui social network non è altro che un esempio pratico di tutto ciò che le forze di sicurezza fanno ai Mapuches** durante tutto l’anno, ogni anno.

Piñera, da parte sua, stupito dalla virulenza delle proteste, cerca di fare concessioni come il congelamento della tassa della metropolitana e dell’elettricità e l’innalzamento del salario minimo, applicando la teoria politica neoliberista delle elezioni razionali su cui si basa il sistema politico cileno.

Questa teoria suppone che l’individuo, o agente, tenda a massimizzare la sua utilità-beneficio e a ridurre i costi o i rischi nelle sue decisioni. “Gli individui preferiscono più il bene e meno di ciò che causa loro danni”, dice il portale di Economipedia. Secondo Piñera, quindi, il modo per attirare le richieste dei cileni verso l’istituzionalità è quello di contenerle con misure palliative e un tavolo di dialogo.

Tuttavia l’incapacità di Piñera di placare la protesta, con la forza o la persecuzione, dimostra un chiaro crollo di un sistema politico e di un disegno istituzionale che dieci anni fa ha impedito che la Costituzione venisse modificata per contemplare i diritti sociali, comuni nella regione, come l’istruzione e la sanità, per citarne solo due.

Un esempio di come comprendere questo può essere trovato nella teoria dei sistemi di David Easton, che è amato anche dai neoliberali, il quale afferma che i sistemi politici rispondono alle richieste della società, elaborate dagli articolatori del sistema (politici), le risposte a queste richieste, a loro volta generano altre reazioni della società che fanno ripartire il ciclo.

Da questo punto di vista, il sistema politico cileno da tempo, molto tempo, non soddisfa nessuno dei punti sopra elencati.

Ecco perché per le strade di Santiago gridano “que se vayan todos” contro una classe politica, che da Piñera a Michelle Bachelet è stata coinvolta in atti di corruzione ed un’élite imprenditoriale che sottrae il 65% della ricchezza che i cileni producono senza nemmeno pagare le tasse. In questo contesto, Cecilia Moret, la first lady cilena, disse a un’amica che avrebbero dovuto “diminuire i loro privilegi” dopo averle detto che il governo cileno era stato sopraffatto da una “specie di invasione straniera e aliena”.

È l’orrore della plebe che rincorre i politici e gli uomini d’affari del Sud e del Nord del mondo, afflitta dall’implosione di un sistema politico che non corrisponde più alle esigenze della società a causa della voracità aziendale.

Il 23 aprile questa percezione si è riflessa in un articolo del Financial Times intitolato “Perché i dirigenti sono preoccupati per il capitalismo”, dove uno dei CEO aziendali consultati, Ray Dalio del fondo Bridgewater, ha semplicemente detto l’ovvio: “Il capitalismo può essere riformato nel suo complesso o con il conflitto.

Ecco perché la casa degli specchi cileni, in cui si osserva che ciascuna delle crisi regionali rimbalza all’infinito, mostra una traiettoria eccessivamente cruda del mondo in cui viviamo.

* Compagnia petrolifera brasiliana
** Sono un popolo amerindo originario del Cile centrale e meridionale e del sud dell’Argentina