In missione in Europa per la verità sulle violenze in Nicaragua. Il ministro S. Marin: “Reti sociali e fake news. Contro il Nicaragua, il solito noto manuale di destabilizzazione”

marina cura di Alessandro Bianchi

da lantidiplomatico.it

In missione ufficiale in Europa per conto del Presidente del Nicaragua Daniel Ortega c’è in questi giorni il ministro assessore del Presidente della Repubblica per le questioni internazionali Sidhartha Marin. Ha fatto tappa a Roma per importanti incontri istituzionali e con rappresentanti della Santa Sede. Come AntiDiplomatico abbiamo avuto la possibilità di rivolgergli alcune domande al fine di comprendere meglio la situazione attuale del paese.

Ministro, cosa sta succedendo in Nicaragua?

Come premessa doverosa vorrei dire e rispondere: ‘non quello che state leggendo in molti dei mezzi d’informazione occidentali’. Il mio viaggio in Europa ha l’obiettivo proprio di smentire il racconto parziale sui fatti recenti in Nicaragua. Spiegherò a tutti i miei interlocutori la situazione in termini reali. E basta partire dall’economia per farlo in modo semplice.

In che senso?

Nel senso che basta prendere a riferimento i dati non del governo del Nicaragua, ma del Fondo Monetario internazionale e della Banca mondiale. Dal 2007, anno in cui il Presidente Ortega ha assunto la guida del governo, al 2016, il Pil del Nicaragua si è duplicato. Raddoppiato e questo è stato possibile grazie ad un lavoro armonioso e fruttuoso con tutte le parti sociali. Anche gli investimenti sono raddoppiati e le esportazioni più che raddoppiate. Per il governo al centro doveva essere posta sempre la giustizia sociale, l’equità e la redistribuzione. Quindi mentre raddoppiavano Pil, esportazioni e investimenti, la povertà si è dimezzata – dal 48% del 2006 al 24% del 2016 – e quella estrema si è più dimezzata – dal 17% al 6%. E’ stato uno sforzo enorme, dai risultati incredibili che smentisce tutto quello che in questi giorni stanno raccontando sul Nicaragua.

E allora perché l’esigenza della riforma del sistema di sicurezza sociale al centro delle proteste?

Il governo del Nicaragua ha cercato di metter mano ad una questione che per il nostro paese purtroppo è improrogabile. Non riguarda solo il Nicaragua, a livello globale la riforma della sicurezza sociale è una priorità per un numero elevatissimo di paesi. Per noi si tratta di una questione non più rimandabile, in quanto il sistema attuale è non sostenibile. E il governo Ortega ha cercato di mettere, in un primo momento, d’accordo tutte le parti sociali attraverso la mediazione dell’Istituto di sicurezza sociale. Nell’impossibilità, ha proceduto con una proposta che salvaguardasse i lavoratori il più possibile. Alcune parti sociali hanno protestato. Ed è legittimo, in qualsiasi democrazia è salutare che ciò avvenga. Il tutto è iniziato dal Consiglio supremo delle imprese private. Ma il problema è che alcuni hanno utilizzato questa discordia per creare destabilizzazione che non esisteva, violenza che non esisteva nel paese. Alcuni che hanno marciato e protestato con gli studenti, ad esempio, non erano studenti e hanno partecipato con armi da fuoco. Per creare un’immagine del paese che non esisteva. Come fa un paese ad essere in conflitto e raddoppiare Pil, investimenti e esportazioni? Oggi il dialogo ha già avuto successo e le violenze si sono arrestate.

Si sono purtroppo registrate perdite di vite umane durante i giorni di violenza provocate dai manifestanti. Quali sono le misure intraprese dalle autorità del Nicaragua per punire i colpevoli?

Il governo del Nicaragua ha immediatamente promosso il “Gran dialogo nazionale” e la conferenza episcopale per accompagnarlo ha chiesto come prima condizione il ritiro della riforma. Il Presidente Ortega ha accettato e oggi, anche grazie alla mediazione importante e decisiva di Papa Francesco, la conferenza episcopale accompagnerà il dialogo. Come primo effetto le violenze si sono interrotte.

Anche l’Assemblea legislativa si è pronunciata a favore del dialogo con la creazione di una Commissione della Verità, della Giustizia e della pace per fare luce su questi giorni tristi nella storia del paese. Si è anche formato un Comitato delle vittime. Inoltre, la Polizia ha liberato tutti i manifestanti arrestati durante le proteste, a parte tutti coloro che chiaramente – come certificato da polizia – hanno commesso gravi reati contro le proprietà pubbliche, private o addirittura contro delle vite umane. Il Ministero degli interni, infine, ha invitato tutti i cittadini a avanzare le loro richieste in caso di danni ricevuti con la presentazione di prove. Per ora si è speculato molto attraverso video faziosi e fabbricati ad arte attraverso le reti sociali.

A noi non preoccupa l’esercizio libero di protesta da parte della popolazione. Anzi, un cittadino in Nicaragua può manifestare su qualunque cosa. Qualunque. Ma non può danneggiare la proprietà pubblica, la proprietà privata e la vita di altri cittadini. Questo no.

Veniamo proprio all’utilizzo dei social per fomentare le proteste. Come in molti altri paesi, da ultimo Siria e Venezuela, le violenze in Nicaragua si sono alimentate per la diffusione di notizie false dalle reti sociali. Come lo giudica e ritiene che la destabilizzazione del governo di Ortega nasca da un piano geopolitico preciso?

Si può affermare con assoluta certezza che le violenze di quei giorni si sono state alimentate attraverso le reti sociali e le fake news. Quello delle fake news è un grave problema politico. Non ci sono state le dimensioni delle violenze e di scontri che hanno voluto far credere in Nicaragua. Ci sono paesi in cui accade in modo più ripetuto eppure nessuno ne parla. E’ chiaro che pesano anche le questioni geopolitiche di chi vuole destabilizzare il Fronte sandinista rivoluzionario. Un governo rivoluzionario che ottenga questi risultati straordinari economici preoccupa tanto la destra degli Stati Uniti. Il nostro Presidente, del resto, lo ha detto immediatamente: ci sono interessi stranieri nel destabilizzare il nostro paese. E lo possiamo affermare senza nessuna ombra di dubbio.

In molti hanno visto delle chiare similitudini con le famigerate guarimbas del Venezuela, il duplice tentativo (2013 e 2017) dell’estrema destra del paese di sovvertire il legittimo governo con violenze fomentate e finanziate dall’esterno. Usa e Unione Europea in particolare. Ritiene appropriato il confronto?

Molte similitudini è vero. Il metodo è lo stesso. Due tre fuochi di conflitto creati ad arte, fake news e poi creare una solidarietà sociale, un’indignazione sociale presunta. E’ un manuale ormai noto a tutti e che viene applicato qualunque sia il paese da destabilizzare. Il parallelismo c’è, è visibile a tutti ma il percorso di pace intrapreso dal Presidente Ortega sta avendo successo.

Nel corso della Sua carriera, Lei ha avuto modo in più occasioni di rappresentare il Nicaragua nelle organizzazioni regionali come Alba bolivariana, Celac, fiore all’occhiello di quella diplomazia intrapresa dai vari Chavez, Castro, Ortega, Lula, Kirchner, Morales… che hanno offerto al mondo un’alternativa possibile alle barbarie attuali del neo-liberismo. In questa fase vediamo una chiara e innegabile regressione attraverso golpe blandi e sconfitte elettorali in diversi paesi progressisti. E’ un fenomeno irreversibile?

Oggi c’è una tendenza chiara in America Latina che si sta consolidando in diversi paesi con elezioni democratiche e passaggi non democratici. Ma i movimenti progressisti in Colombia, Messico stanno crescendo molto, a testimonianza che tutto non è così determinato. Nulla è irreversibile. Il più grande obiettivo raggiunto dalla rivoluzione bolivariana del Comandante Chavez e di tutti coloro che si sono prodigati per un modello di sviluppo alternativo possibile come il Comandante Ortega è che nonostante un cambio di governo possa avvenire in alcuni paesi, la coscienza critica dei popoli dell’America Latina è qualcosa di totalmente diverso dal passato coloniale. L’America Latina è un continente nuovo grazie a Chavez, grazie a Ortega, grazie a Cuba, grazie a Evo, a Correa, Kirchner, Lula, Mujica… Le loro conquiste hanno creato un punto di non ritorno. Dalle immense conquiste sociali i popoli dell’America Latina indietro non tornano.

I più maligni hanno visto come vero obiettivo dell’attacco al governo del Nicaragua il grande progetto del cosiddetto ‘Canale di Nicaragua’, il quale, se realizzato, permetterebbe di bypassare quello di Panama per i traffici commerciali nel Pacifico. Resta ancora in cantiere per il governo del Nicaragua quel progetto?

Si resta attivo. Sulla viabilità di impatto sostenibile ambientale e sociale sono stati fatti e hanno avuto esisti positivi. Lo dicono aziende private e non il governo del Nicaragua. E’ importante sottolineare che si tratta di un progetto privato che darebbe al nostro paese risvolti positivi politici, economici e sociali. Lo sosteniamo ma ribadisco si tratta di un progetto privato di diversi miliardi di dollari con molti investitori. Non solo cinesi, ma di diversi paesi.

Alessandro Bianchi