Perché la Cina ha successo in Africa e l’Europa no

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Il fallimento evidente dell’approccio dell’UE al problema dell’immigrazione è stato tra i temi affrontati alla conferenza dello Schiller Institute a Bad Soden. La proposta di Helga Zepp-LaRouche che l’Europa si unisca alla Cina nello sviluppo dell’Africa come unica soluzione è stata appoggiata da numerosi relatori. Echeggiando questa discussione, gli stessi cinesi hanno aiutato a capire che cosa sia sbagliato nell’approccio europeo. In un articolo pubblicato su Global Times il 5 luglio, He Wenping dell’Istituto Charhar in Cina e Hisham Abu Bakr Metwally del Dipartimento centrale per la politica di Eximport del Ministero dell’Industria e del Commercio egiziano hanno spiegato perché sia “ora che l’Europa impari dalla Cina a impegnarsi in Africa”. Non a caso, He Wenping ha partecipato come relatrice alla conferenza dello Schiller Institute lo scorso novembre.

L’Europa guarda ai migranti “esclusivamente in una prospettiva di logica umana o empatia, e non come sintomo di un disagio. I Paesi europei devono cambiare il loro modo di pensare e la loro strategia per affrontare il disagio ed eliminare le cause dell’emigrazione”, scrivono.

La politica cinese invece “si è sempre concentrata sullo sviluppo (…) la Cina finanzia le infrastrutture e queste infrastrutture permettono all’Africa di aumentare produzione ed esportazioni, migliorando la qualità della vita e le condizioni di milioni di africani”.

I due autori prendono nota del fatto che almeno l’ultimo Consiglio dell’UE ha promesso l’aumento degli investimenti in Africa per ottenere una “sostanziale trasformazione socio-economica”, e suggeriscono che “l’UE collabori strettamente con la Cina nella Belt and Road per combattere la povertà e promuovere lo sviluppo in Africa”.

È vero che il Consiglio dell’UE ha promesso più aiuti per l’Africa, ma perché funzioni, l’approccio dell’UE deve cambiare radicalmente. Come ha spiegato l’europarlamentare Marco Zanni alla conferenza dello Schiller Institute, l’UE manda fondi nell’ambito del cosiddetto Piano Juncker per l’Africa che comporta “una piccola somma di denaro fresco e un bel po’ di ingegneria finanziaria con denaro fasullo piazzato in giro dalla Commissione Europea”, senza alcun controllo sull’uso del denaro che spesso finisce per alimentare la corruzione o addirittura per finanziare gruppi radicali. Secondo il modello cinese, invece, i fondi sono strettamente controllati dal governo cinese, “e i risultati e il valore creato con quei soldi sono controllati dal governo con una strategica centrale”.

L’EIR ha ricevuto anche una lettera al direttore da parte del noto autore e divulgatore scientifico Roberto Vacca, che l’Economist si è rifiutato di pubblicare. Nella lettera, Vacca osserva che la soluzione considerata dall’UE, quella di “creare degli hotspot nel Sud della Libia per fermare tutti i migranti e lasciar passare solo coloro ritenuti degni, creerebbe ulteriori ostacoli – non soluzioni”. Egli quindi fornisce due esempi di progetti che varrebbe la pena realizzare: “Una enorme centrale idroelettrica a Inga sul fiume Congo produrrebbe energia pari a quella di 40 grandi centrali nucleari (un valore aggiunto di 150 G$ l’anno). Il canale navigabile Transaqua, 2400 km (…), tornerebbe a riempire il lago Ciad, che sta sparendo, e aprirebbe 600 milioni di ettari all’agricoltura”.