Vertice dell’Unione Africana: il Sudafrica mette in scacco la Francia

da “Atlas Alternatif” | Traduzione di Marx21.it

UA PingZuma 0Il 18° vertice dell’Unione Africana (UA) si è chiuso lunedì 30 gennaio 2012 con un triste bilancio per l’unità di questo continente. Né il presidente uscente gabonese Jean Ping (69 anni) né la sudafricana Nkosazana Dlamini-Zuma (63 anni) sono riusciti ad imporsi alla testa dell’organizzazione, di modo che il mandato del premier è stato prolungato di sei mesi.

L’esito dello scrutinio (32 voti per Ping, 20 schede bianche al termine della quarta votazione) sebbene sia negativo per l’immagine dell’unità africana, segna soprattutto una sconfitta per il progetto di rinnovamento della Francafrique e più in generale per l’imperialismo occidentale, in particolare in merito alla Libia.

Come sottolinea Thomas Yonkeu di Afrik.com, “nel corso della ribellione libica, il Sudafrica ha rimproverato ufficiosamente a Jean Ping il suo nervosismo e la sua mancanza di fermezza, di non avere saputo stemperare le tensioni anti-gheddafiste e più ancora, di non essere riuscito ad esprimere il più chiaramente e fermamente possibile la sua opposizione all’intervento della NATO in Libia”.

L’attuale ministro sudafricano dell’interno ed ex moglie del presidente Jacob Zuma, Nkosazana Dlamini-Zuma è percepita come una partigiana del federalismo africano, pronta a rafforzare la commissione dell’UA come autentico esecutivo del continente. Oltre a paesi dell’Est africano anglofono, prima dell’elezione sembrava poter anche beneficiare dell’appoggio di Angola, Congo-Kinshasa, Guinea Equatoriale, Sao Tome e Camerun. In compenso non poteva contare su Kenya e Ruanda. La sua candidatura si identificava non solo con il disappunto del Sudafrica verso la passività di Jean Ping durante l’aggressione libica, ma anche nel sostegno di Pretoria a Laurent Gbagbo in Costa d’Avorio, sostegno che ha scontentato paesi anglofoni come la Nigeria (la quale al contrario ha valutato positivamente l’azione o meglio l’inazione di Jean Ping in Libia).

Alcuni giornali africani anglofoni accusano Parigi di avere teleguidato il voto dei francofoni durante le prime tre votazioni mentre l’Africa australe faceva blocco attorno a Nkosazana Dlamini-Zuma. “Il vertice è terminato nelle prime ore di ieri (30 gennaio), mentre la maggioranza degli stati francofoni continuava ad impedire ogni progresso e nel momento in cui i rapporti indicavano che stavano prendendo istruzioni in Europa, in particolare in Francia”, nota il quotidiano dello Zimbabwe filo-Mugabe The Herald.

Così di fronte alle pressioni di Parigi e malgrado il ritiro di Nkosazana Dlamini-Zuma alla quarta votazione, l’insuccesso finale di Jean Ping, che non è riuscito a riunire i due terzi dei voti necessari alla sua rielezione, può essere letto come una vittoria di Pretoria e della sua visione del non allineamento africano sui capitoli ivoriano e libico. “Sebbene la loro candidata sia arrivata seconda ed esclusa dalla corsa, i delegati del Sudafrica hanno cantato e danzato quando è stato annunciato il risultato, scrive il quotidiano sudafricano The Daily News. Perché? Perché, come ha spiegato uno di loro, l’obiettivo principale era di sloggiare Ping – che il Sudafrica considera come una “pedina dell’Ovest” -, che ha fatto atto di sottomissione, in particolare nei confronti della Francia, la vecchia potenza coloniale del suo paese natale”.

Ecco come il disprezzo che l’ardore interventista del presidente francese ha riservato ai paesi africani nel 2011 si paga oggi con una perdita di influenza sensibile della Francia in seno all’Unione Africana (la cui nuova sede ad Addis Abeba è stata finanziata a titolo gratuito dalla Cina) e con il rafforzamento del Sudafrica come campione dell’anti-neocolonialismo, tre settimane dopo l’inizio delle celebrazioni del centenari del Congresso Nazionale Africano, al potere a Pretoria, che è il più antico movimento di liberazione dell’Africa.