Cina, COVID-19 e elezioni presidenziali del 2020

vote usadi Duncan McFarland

da da http://masspeaceaction.org

Traduzione di Marco Pondrelli per Marx21.it

Nel 1950 la destra anticomunista guidata dal senatore Joseph McCarthy attaccò i progressisti al governo domandando “chi ha perso la Cina? Nel 2020 un tema importante della campagna elettorale presidenziale sarà “chi è morbido con la Cina? Ad ogni modo la crisi della Covid-19 presenta al settore dominante dell’imperialismo statunitense anti-cinese un’opportunità d’oro per far avanzare l’agenda per l’egemonia globale, attaccando la Cina percepita come il principale concorrente a lungo termine.

In aprile la campagna elettorale di Trump ha attaccato preventivamente, accusando “Beijing Biden*” di essere morbido con la Cina, denunciando le sue azioni come vice presidente e dichiarando che “la Cina non mangerà il nostro pranzo”. La campagna di Biden ha reagito dicendo che il Presidente Trump all’inizio dell’anno “non ha guardato ai cinesi” non considerando i resoconti sulla comparsa e la diffusione del coronavirus.

Le motivazioni immediate sono chiare. Trump ha cercato di distogliere l’attenzione dalla sua maldestra gestione della crisi sanitaria del Covid-19 dando la colpa di tutto ai cinesi e al loro presunto insabbiamento. Ha usato il termine “virus cinese” per incoraggiare il razzismo anti-asiatico e ha perseverato nella teoria che la pandemia sia iniziata all’Istituto di virologia di Wuhan, sottintendendo oscuri motivi da parte della Cina. Questo nonostante il consenso della comunità scientifica e dell’intelligence sul fatto che il Covid-19 non è generato dall’uomo. Ci sono state accuse di hackeraggio cinese per rubare la ricerca medica per un vaccino e richieste di risarcimenti per miliardi di dollari.

Il Partito democratico da parte sua potrebbe pianificare durante la campagna elettorale un attacco da destra contro Trump rispetto alla Cina, dicendo che Trump coccola leader autoritari come Xi Jinping, Vladimir Putin, Kim Jong Un, ecc. Questo ovviamente contrasta con un partito apparentemente democratico e umanitario, ma dove ci sono gruppi che minano il rapporto donchisciottesco di Trump con il leader nordcoreano Kim.

Le due parti possono attaccarsi l’un l’altra nella campagna elettorale, ma sono d’accordo nel colpire la Cina. Anche i media mainstream stanno facendo la loro parte come megafono dell’eco anti-Cina.  Il New York Times ha incolpato quello che ha definito il sistema politico opaco, burocratico e autoritario della Cina per aver pasticciato con la risposta iniziale al coronavirus. Inoltre i media statunitensi hanno minimizzato la successiva efficacia nel contenere il virus, sostenendo implicitamente che la Cina ha mentito sui dati. Le notizie sul programma sulla solidarietà internazionale della Cina nel fornire assistenza medica a Paesi come l’Italia, la Serbia e l’Iran sono state appena riportate. Anche la solidarietà internazionale di Cuba e del Vietnam è stata scarsamente riportata.

Le radici della denigrazione verso la Cina sono profonde.  Per decenni il capitalismo-imperialismo statunitense è stato ambivalente su come trattare con la Cina.  Si auspica un cambiamento di regime con un governo controrivoluzionario e amico degli Stati Uniti.  Ma la strategia migliore è il soft power o il confronto?  Un grande settore della comunità imprenditoriale statunitense ha fortemente investito in Cina, che è una delle principali fonti di profitto, ad esempio Apple Computer, General Motors, Starbucks.  D’altra parte, gli strateghi di destra e i neocon come il consigliere della Casa Bianca Peter Navarro (autore di “Death by China”) vedono il Paese come una pericolosa minaccia al dominio globale degli Stati Uniti nel “nuovo secolo americano”.

La tendenza al confronto è iniziata nell’amministrazione Obama, con il pivot to Asia spinto dal segretario di Stato Hillary Clinton.  La politica del pivot o di riequilibrio asiatica si basava sull’analisi per cui l’Asia orientale e sudorientale si stanno sviluppando rapidamente e stanno diventando il centro della crescita economica mondiale.  Le forze statunitensi dovrebbero quindi essere spostate dal Medio Oriente a questa regione.  Questo in pratica significava circondare la Cina con basi militari e con accordi diplomatici avversi.  Il perno militare era accompagnato dal suo partner economico, il Trans Pacific Partnership, un enorme blocco commerciale che escludeva la Cina, progettato in parte per isolare e fare pressione sulla Repubblica Popolare. L’amministrazione Trump non ha gradito il multilaterale TPP, ritirando gli Stati Uniti dall’accordo a favore della guerra commerciale unilaterale contro la Cina.

Il documento della Casa Bianca sulla strategia globale pubblicato nel dicembre 2017 ha identificato Russia e Cina come i principali concorrenti “revisionisti” (che cercano di cambiare l’ordine mondiale) in una nuova era di grande competizione per il potere.  Non è più il terrorismo la principale minaccia per gli interessi statunitensi, ma la Russia e, adesso, soprattutto la Cina.  Questa valutazione è stata rafforzata dalla testimonianza dei leader dei servizi segreti statunitensi di fronte alla commissione del Congresso USA nel gennaio 2019.  La Cina è stata descritta come una potenza pericolosa gestita da un regime autoritario e comunista, che sopprime le libertà civili e i valori liberali occidentali, una minaccia per lo stile di vita americano.

La Cina è considerata formidabile in particolare per la sua forza economica; si prevede che il prodotto interno lordo cinese supererà quello statunitense, è già la più grande nazione commerciale del mondo e vasti progetti come la nuova via della seta stanno accrescendo l’influenza cinese nel mondo, specialmente nel Sud. Il sostegno della Cina a un sistema globale multipolare è espressamente contrario all’egemonia degli Stati Uniti. La Cina sta lavorando attivamente con il Gruppo dei 77** del Sud del mondo sul cambiamento climatico e su altre questioni, tra cui l’opposizione all’uso illegale delle sanzioni economiche come arma aggressiva. 

Incolpare Covid-19 sulla Cina non è quindi solo una tattica di Trump per negare la responsabilità, ma facilita anche il programma a lungo termine anti-Cina della fazione dominante dell’imperialismo statunitense.   Lo strumento privilegiato della supremazia bianca potrebbe essere utilizzato per attaccare gli asiatici e i sino-americani, preparando l’opinione pubblica statunitense all’aumento della tensione e al possibile conflitto.  La Cina non vuole la guerra ma l’imperialismo statunitense potrebbe essere disposto a correre questo rischio.

La strategia imperialista degli Stati Uniti che prende di mira la Cina, è molto dannosa non solo per le prospettive di pace, ma anche per la cooperazione internazionale nella lotta contro le pandemie e il riscaldamento globale, oltre a colpire il lavoro congiunto per lo sviluppo economico e lo scambio culturale.  Il programma anti-cinese ha attualmente il consenso delle élite al potere negli Stati Uniti, sia nel Partito Repubblicano che in quello Democratico. Questo percorso distruttivo continuerà, a meno che il potere non si sposti verso l’ala più pragmatica del capitalismo statunitense. 

Per quanto riguarda la campagna elettorale del 2020, il Partito Repubblicano sembra impegnato nella strategia anti-cinese. Il Partito Democratico potrebbe essere più ambivalente, con forze che all’interno del partito si sono opposte ad alcune parole anti-cinesi di Biden. Gruppi di asiatici americani e non solo si sono opposti al razzismo che le pervadeva.   Le società con grandi investimenti in Cina potrebbero voler smorzare questa retorica.  L’ala progressista non vuole più interventi e guerre.  Di conseguenza, un’amministrazione Biden potrebbe diminuire la tensione e passare a un approccio di soft power invece che di confronto. A lungo termine la nuova Guerra Fredda è destinata a persistere in diverse forme, derivanti dalla contraddizione tra il capitalismo globale statunitense e la politica estera indipendente della Cina per il “socialismo con caratteristiche cinesi”.

– Duncan McFarland è membro del MAPA e dei Comitati di corrispondenza per la democrazia e il socialismo (CCDS)

* gioco di parole con cui si riferiva al probabile candidato democratico Joe Biden

** Il Gruppo dei 77 o G77 è nato il 15 giugno del 1964 è un’organizzazione intergovernativa delle Nazioni Unite, oggi conta 134 paesi membri, principalmente in via di sviluppo.