I comunisti e le guerre

B61 12riceviamo e pubblichiamo

di Aginform

Quando, nel settembre del 1943, i comunisti decisero di fare sul serio e iniziarono la guerra partigiana, non misero solo al centro della loro strategia l’analisi della politica di guerra del nazismo, ma organizzarono concretamente la Resistenza e si dimostrarono il fulcro della lotta armata antifascista.


Per chi si definisce comunista riconoscimento oggi questo fatto è un’ovvietà. Ma se noi paragoniamo quella situazione a quella odierna dobbiamo registrare comportamenti difformi da parte di quei comunisti che continuano a fare analisi sull’imperialismo, ma sono assolutamente al palo rispetto alla capacità di dare battaglia alla politica di guerra che esso sta conducendo. Eppure il rilancio americano della nuova guerra fredda ci imporrebbe di prendere atto della novità.

E’ del tutto evidente che il nuovo presidente ‘democratico’ Biden fa del confronto con la Russia e con la Cina il centro della propria strategia. La crisi di credibilità dell’imperialismo USA può essere superata infatti solo tentando di rilanciare un confronto che intimorisca gli avversari e li induca a bloccare la loro avanzata nelle relazioni internazionali, nell’economia e da ultimo anche nella produzione di vaccini che è divenuta un arma geopolitica. Di questo rilancio americano bisogna però averne una visione lucida. Non siamo più nel periodo in cui Bush poteva dichiarare la guerra infinita o la NATO aggrediva la Jugoslavia. La situazione nei rapporti di forza militari e geopolitici è cambiata totalmente. Il compito che gli americani si sono dati non è quindi una passeggiata e la vicenda siriana ne è un esempio. Russia e Cina hanno in questi anni aumentato considerevolmente le loro capacità militari, i loro legami internazionali e la loro potenzialità economica. Non è quindi possibile riportare indietro l’orologio della storia.

Anche i tentativi di rimettere in piedi una nuova ondata ‘umanitaria’ non stanno dando i frutti sperati. Il tentativo di fare di Hong Kong una testa di ponte contro la Cina è naufragato; il progetto di rovesciare Lukashenko non è riuscit; in Russia la pedina occidentalista Navalny è finita dietro le sbarre. Tutto questo però non deve tranquillizzarci troppo. Soprattutto per quanto riguarda la strategia americana di coinvolgimento totale dell’Europa nello scontro prossimo futuro. A partire dall’Ucraina e dal Donbass.

I progetti americani prevedono un rilancio in grande stile della guerra in questa regione, una guerra che dovrebbe svolgersi direttamente ai confini della Russia per coinvolgerla direttamente nel conflitto e riaprire anche la questione della Crimea.

Nonostante gli annunci di prossimi attacchi però le previsioni, fino ad oggi, non si sono avverate. Probabilmente gli americani e i loro alleati NATO stanno facendo bene i loro conti. Sfidare la Russia, anche e soprattutto per interposta persona, cioè con l’Ucraina, non è rassicurante sul piano militare. Lo si è visto in Georgia, con l’Abkazia e l’Ossezia.

Per questo la prima mossa americana è quella di recuperare l’Europa nella sua strategia di confronto con la Russia e su questo Biden ha già dato istruzioni. No all’oleodotto North Stream, no al vaccino Sputnik V e soprattutto sfruttare l’attuale debolezza dell’UE per riportarla sotto il totale controllo americano. Draghi, Letta, Salvini e Di Maio su questo hanno dichiarato il loro totale allineamento.

E’ da questa situazione che nasce dunque la necessità di ricostruire in Italia e in Europa un movimento contro le guerre, contro la sudditanza agli Stati Uniti. Questo non è un compito ideologico, ma pratico. Bisogna spostare l’opinione pubblica a favore della pace, battere il rilancio della guerra fredda per imporre nuove e corrette relazioni internazionali. In questa battaglia i comunisti hanno un dovere precipuo e si devono attrezzare, invece di limitarsi a portare in giro i simboli del comunismo.

Ora come allora.