Afghanistan: benvenuto mister Biden

Afghanistan1di Guadi Calvo

da https://www.alainet.org

Traduzione di Mauro Gemma per 
Marx21.it

Non sono pochi i problemi che il nuovo presidente americano Joe Biden deve affrontare con urgenza a livello internazionale. Le molteplici cause non sono solo responsabilità dell’inefficacia del suo immediato predecessore Donald Trump, ma, e soprattutto, sono dovute ai fronti aperti e approfonditi da George W. Bush e Barack Obama, di cui Biden è stato vicepresidente nei suoi due mandati.


Tra tutti questi fronti, l’Afghanistan, senza dubbio, è forse il più critico, poiché, secondo le informazioni ufficiali, gli Stati Uniti hanno investito più di ottocento miliardi di dollari in quella guerra, e le vite di duemilaquattrocento americani, tra i militari e gli appaltatori (mercenari), per mantenere quella che è considerata la guerra più lunga della sua storia.

Le politiche avviate da Obama e proseguite, più lentamente, da Trump, hanno ridotto il numero di truppe in quel Paese dell’Asia centrale di circa 2.500 uomini, il livello più basso degli ultimi 20 anni. Questi hanno l’ordine di evitare di entrare in combattimento, visti gli accordi di Doha, in Qatar, firmati a fine febbraio 2020, tra Washington e i talebani.

Buona parte di questi accordi sono stati rispettati nell’ultimo anno, come il ritiro graduale delle truppe statunitensi, che dovrebbe essere totale nel prossimo maggio; oltre all’obbligo di ridurre le azioni armate dei talebani, che devono anche porre fine alla loro vecchia alleanza con al-Qaeda, e combattere la presenza di Daesh Khorasan (DK). Oltre a proseguire con i negoziati tra il potere politico di Kabul e l’organizzazione fondata dal Mullah Omar nel 1994, che ha risolto con notevole successo uno dei punti più difficili: “la liberazione dei prigionieri” da entrambe le parti.

I colloqui di Doha, ripresi lo scorso settembre, sono praticamente congelati, quando bisognerebbe discutere un piano che definisca un percorso politico per un’uscita definitiva dalla guerra che torna ad aumentare con azioni quasi quotidiane dei talebani: Nell’ultimo anno ci sono stati quasi 18.000 attacchi da parte degli uomini del mullah Hibatullah Akhundzada.

Le azioni hanno avuto, al di là di una forte dimostrazione di forza, lo scopo di fare pressione sia sul presidente afghano Ashraf Ghani, sia sulla nuova amministrazione statunitense, che non ha molte strade tra cui scegliere: o cede di fronte alle richieste dei mujaheddin, confermando il ritiro di tutte le truppe statunitensi per maggio, questione a cui Trump, per sbarazzarsi del problema, stava per risolvere, oppure irrigidisce la sua posizione e fa marcia indietro, così che ancora una volta la guerra afghana riprenderà a piena intensità.

È noto che Biden è d’accordo, in parte, con il ritiro delle truppe, poiché la sua idea sarebbe quella di mantenere una piccola forza anti-ribelle nordamericana, almeno fino a quando al-Qaeda e Daesh Khorasan non cesseranno di rappresentare una minaccia. Inoltre Biden già ha espresso l’intenzione di ridefinire il ruolo degli Stati Uniti nell’antiterrorismo.

Quindi, se si seguirà la rotta di Trump, senza dubbio i talebani, o almeno i quadri che hanno praticamente passato la vita in guerra con gli Stati Uniti, vedranno la loro opportunità di entrare vittoriosamente a Kabul, il che praticamente garantirebbe il ritorno alla sharia nella sua versione più atroce, che farebbe scomparire i pochi progressi che la popolazione civile ha compiuto nella modernizzazione della società.

Mentre l’offensiva talebana è in forte crescendo dal 2015-2016, nell’ultimo anno le sue azioni contro le forze di sicurezza afghane sono aumentate notevolmente. Gli insorti hanno ampliato la loro base combattente e consolidato il controllo sulla maggior parte delle rotte principali, così come intorno alle principali città e cittadine.

Indubbiamente, per raggiungere questa nuova posizione, sono confluiti due fattori chiave emersi dagli accordi di Doha, che hanno sbilanciato la situazione a favore dei fondamentalisti, costringendo a una nuova lettura del conflitto: il ritiro di gran parte delle truppe statunitensi e il rilascio dei prigionieri : solo mille nel caso delle truppe regolari trattenute dai talebani, e cinquemila mujaheddin, rimasti in questi anni nelle carceri afghano-americane, di cui la grande maggioranza è tornata a combattere.

Biden è un profondo conoscitore delle complicate relazioni che i talebani hanno storicamente con il Pakistan e della partecipazione dell’India a quel conflitto, quindi le sue analisi e decisioni dovranno comprendere anche quelle due potenze regionali, che non sono mai state assenti nella guerra.

La guerra a rate

Dallo scorso anno in Afghanistan si è verificata una nuova ondata di azioni terroristiche a bassa intensità ma sempre mortali. Uccisioni selettive mirate di giornalisti, attivisti per i diritti umani, medici e funzionari governativi. Una di queste è avvenuta domenica 18 gennaio, in mattinata, contro due giudici della Corte di Cassazione, che si stavano dirigendo verso i loro uffici con un veicolo ufficiale. Entrambe le donne, che non sono state identificate, sono state uccise a colpi di arma da fuoco dai takfiristi da una motocicletta nel quartiere Taimani di Kabul. Mentre i funzionari hanno ritenuto i talebani responsabili dell’incidente, il gruppo fondamentalista lo ha negato. I talebani operano di rado nella capitale afghana da molto tempo e gli attacchi successivi sono stati riconosciuti sia dal D.K. e dalla Rete Haqqani, storicamente legata ai talebani, ma che, dopo i negoziati di Doha, ne ha preso le distanze.

Il giorno dell’attacco alle magistrate sono avvenute anche azioni a un posto di blocco sulla rotta da Baghlan-Samangan a Pul-e-Khumri, capitale della provincia di Baghlan, dove sono stati uccisi almeno otto uomini delle forze di sicurezza, due sono rimasti feriti e altri due sono scomparsi. Due veicoli dell’esercito sono stati distrutti, mentre i mujaheddin hanno preso armi e apparecchiature di comunicazione, il giorno successivo in un nuovo attacco dei talebani, contro i posti di blocco nella provincia di Khunduz. Quattro militari e una quindicina di combattenti sono stati uccisi. Nessuna di queste informazioni è stata verificata, poiché la regione del Khunduz è stata chiusa alla stampa.

In risposta alla nuova ondata di violenza, l’alleanza afghano-americana ha intensificato le operazioni aeree cercando di colpire i suoi nemici, ma, come è accaduto in innumerevoli occasioni, le vittime sono state civili innocenti, come quelli del 9 gennaio, quando un attacco aereo ha ucciso almeno 18 persone, tutti membri della stessa famiglia, nel villaggio di Manzari nel distretto di Khashrod nella provincia di Herāt, lungo il confine con l’Iran. Tra le vittime c’erano donne e bambini.

Il ministero della Difesa afghano ha praticamente negato l ‘”errore” sostenendo che nell’area c’era un nascondiglio talebano, dove sono morti combattenti pakistani e cinque militanti afgani, mentre altri sei sono rimasti feriti. Anche se è stato anche riferito che è in corso un’indagine sulle denunce di vittime civili.

Gli attacchi dell’esercito afghano sostenuto dagli Stati Uniti nei primi nove mesi dello scorso anno avevano ucciso o ferito circa 340 civili. Mentre è noto che le Nazioni Unite hanno documentato più di 100mila vittime civili, tra morti e feriti dal 2009 in questo tipo di “incidente”, ragion per cui il Sig. Biden dovrà aspettare molto tempo per essere finalmente accolto in Afghanistan.

Guadi Calvo è uno scrittore e giornalista argentino. Analista internazionale specializzato in Africa, Medio Oriente e Asia centrale. Su Facebook: https://www.facebook.com/lineainternacionalGC