I sette grattacieli di Stalin. L’architettura sovietica tra avanguardia e tradizione. Alessandro Attori

attori grattacielidi Marco Pondrelli

È facile approcciarsi al libro di Attori anche per chi non ha nozioni o interessi verso l’architettura. Questo perché il saggio si dispiega in un’analisi che è anche storica, l’architettura rispecchia infatti i cambiamenti di cui fu protagonista la Russia/URSS nella prima metà del secolo scorso. Così come sarebbe sbagliato studiare la figura del Palladio senza considerare la storia della Repubblica di Venezia, allo stesso modo non si può guardare all’architettura russa senza conoscere le forze e le idee che segnarono questo entusiasmante periodo storico.

L’analisi dell’Autore parte dal periodo pre-rivoluzionario impregnato dall’influenza dei movimenti europei che condizionarono il movimento russo panslavo nato con la liberazione dei servi della gleba, il cui obiettivo era portare l’arte al popolo. Il periodo che precede la Rivoluzione è attraversato da grandi movimenti di rinnovamento artistico che toccano anche l’architettura,in questo contesto la figura di Malevič ha un’influenza che va oltre la pittura. La sua idea è quella di un’arte che non si limiti alla rappresentazione estetica della realtà ma che diventi fine a se stessa, c’è quindi una rottura completa con il passato è la ricerca di una forma d’arte non utilitaria. Dall’altra parte Bogdanov legava la sua proposta ‘alle esigenze culturali e materiali della vita e della produzione comunitaria’ [pag. 14].

Potrebbe sembrare una discussione astratta e poco rilevante davanti ai drammi che si stavano consumando (la guerra, la Rivoluzione e la guerra civile) ma in realtà non è così. L’architettura determina la nostra vita, la conformazione delle nostre città e la nostra convivenza.

Dopo il ’17 la prima stagione architettonica sovietica è legata al costruttivismo. Per avere un’idea di come le soluzioni architettoniche influiscono e condizionano la popolazione basti pensare alla ‘casa comune’, appartamenti in cui alcune parti degli alloggi, come la cucina, sono condivise. Era un tentativo di creare un tessuto sociale coeso mettendo in relazione le persone fra di loro. Questo ‘progetto mirava all’affermazione di un sistema ideologico che si fondava sulla cancellazione integrale del preesistente ordine di valori civili, etici religiosi ed economici, considerato il prodotto della degenerazione borghese del popolo russo’ [pag. 29].

La successiva crisi del costruttivismo è una crisi europea e non solo russa, lo stesso Le Corbusier da sostenitore ne divenne critico. Da questa aporia Stalin uscì gettando le basi di quello che è noto come ‘neoclassicismo russo’, i sette grattacieli che danno il titolo al libro, così come la splendida metropolitana moscovita, sono figli di questa esperienza. Non c’è più una rottura con il passato ma un rivalutazione delle stesso. Il recupero del passato, della storia russa e dell’identità nazionale segna la politica staliniana anche rispetto al rapporto con la Chiesa Ortodossa, questa scelta si inserisce nel dibattito interno ai bolscevichi successivo alla vittoria rivoluzionaria. Questa contrapposizione è la stessa di cui scrive in modo chiaro ed esemplare Luciano Canfora il quale afferma che dopo la presa del potere i bolscevichi si trovarono “dinanzi ad un bivio: o compenetrarsi con il Paese e fare i conti con l’enorme peso della sua tradizione e della sua storia, ovvero continuare a mantenersi ‘straniero in patria’ in attesa della ‘rivoluzione mondiale’. Un dilemma che si incarna […] in due persone concrete: Trockij, ebreo, cosmopolita e fortemente internazionalista; Stalin, georgiano e convinto assertore della necessità dell’innesto nel concreto terreno di ‘un Paese solo’ del credo comunistico”[1].

In questo passaggio l’Autore sottolinea le assonanze con la coeva esperienza portata avanti da Albert Speer nella Germania nazista. Personalmente, pur capendo che questo parallelo non ha nulla a che fare con l’equiparazione di comunismo e nazismo, trovo necessario un distinguo che è allo stesso tempo un allargamento del ragionamento. In quel periodo anche il new deal roosveltiano segna l’architettura degli Stati Uniti, proprio perché l’architettura è legata alla realtà (potremmo anche in questo caso dire: prassi, teoria, prassi) ne è allo stesso tempo espressione e testimonianza.

Anche sulla figura di Stalin e sul culto della personalità di cui parla l’Autore ricordo quello che scrisse Domenico Losurdo sia a proposito di F.D. Roosevelt, a cui di guardava come a Dio e che veniva accusato di esercitare un potere dittatoriale, sia rispetto a Kerenskij che si atteggiava a Napoleone[2].

L’analisi di Attori è di grande interesse è sarebbe interessante che la proseguisse per portare questo lavoro attraverso la storia sovietica alla Russia contemporanea, la quale continua ad essere poco conosciuta, sopratutto per chi ha formato il suo immaginario verso questo grande paese non conoscendo il Principe di Rostov di ‘guerra e pace’ ma Ivan Drago di Rocky IV.

Note:

1. Canfora, Luciano; Pensare la Rivoluzione Russa, Stilo Editrice, Modugno (Ba), 2017, pag. 102-103

2. Losurdo Domenico, Stalin. Storia e critica di una leggenda nera, Carocci editore, Roma, 2008, pag. 42-43