Appunti per una discussione tra comunisti

togliatti1946Riceviamo e pubblichiamo

di Aginform

Se non prendiamo sul serio il PC di Rizzo per le motivazioni che abbiamo esposto anche in occasione di queste elezioni europee, dobbiamo anche ammettere che in Italia non esiste un punto di riferimento credibile per i comunisti. Non che non esistono dei compagni che si ritengono comunisti e che in vario modo si esprimono, ma il loro essere comunisti non ha prodotto finora una forma credibile di rappresentanza politica.

Alla radice di questa situazione ci sono motivazioni oggettive che dovrebbero essere seriamente analizzate per evitare sia altre caricature partitiche che la riproposizione di scenari confusi in cui si scambia una prospettiva di classe e comunista con un movimentismo verniciato di rosso.

A nostro parere è arrivato il momento di riflettere su questo e porci degli interrogativi che ci portino al cuore del problema. Il primo di questi interrogativi è di carattere storico-teorico. Esiste un retroterra oggi che può portare nell’immediato a una formazione comunista che abbia non solo i legami di classe, ma anche una elaborazione che abbia fatto i conti con la natura della crisi del movimento comunista e sappia individuare le forme e i tempi della ripresa? La nostra risposta è no e senza questo, aldilà delle buone intenzioni, non si riuscirà ad andare avanti. Da questo punto di vista si dovrebbero prendere in considerazione i risultati elettorali del PCP e del KKE.

Aprire una discussione seria su questo punto non è solo preliminare, ma è la condizione perchè si possa dare senso alla riorganizzazione dei comunisti in Italia, la cui Rinascita, per le ragioni peculiari della storia del movimento comunista nel nostro paese, ha subito una devastazione senza eguali sia ad opera dei suoi liquidatori ufficiali che della cultura di sinistra che è subentrata dopo il ’68. Questo spiega molte delle false partenze, ultima quella di Marco Rizzo.

Crollo dell’URSS, vicende cinesi, ragioni della liquidazione del PCI ci sembrano i riferimenti da cui partire ed eventualmente ritrovarci in una posizione comune. Non si tratta di dogmi da ribadire. Si tratta di andare a fondo sul giudizio dell’intero ciclo storico che il movimento comunista ha attraversato, sul passaggio epocale dopo gli avvenimenti degli anni ’90 del secolo scorso e il ‘capovolgimento dei verdetti’ dopo la rivoluzione culturale e il successivo sviluppo della Cina di Deng.

Impostata in questo modo, la questione ci fa vedere che la scelta da fare oggi non è automatica sul piano organizzativo né tantomeno di riaffermazione identitaria. Un progetto di riorganizzazione non può avere successo se non aggancia i dati oggettivi della fase storica. Si tratta di scegliere in sostanza tra una capacità di analisi delle tendenze di fondo, nazionali e internazionali, presenti dopo la svolta degli anni ’90, e su questo definire le ipotesi, oppure fare testimonianza con i residui di precedenti esperienze che proietterebbe l’azione dei comunisti su un terreno ideologico che ha ben poco a che fare col il marxismo rivoluzionario. Purtroppo, se andiamo ad analizzare la politica delle organizzazioni comuniste nel mondo, la loro caratteristica è la seconda.

Lavorare dunque sulla prima ipotesi ci sembra assolutamente necessario. A nostro parere i compagni che in vario modo hanno iniziato un lavoro di analisi e di interpretazione storica del movimento comunista possono oggi essere una base preziosa per cominciare. La condizione è che non inseguano l’illusione di poter trasformare sic et simpliciter l’inizio del percorso per una possibilità di trasformazione immediata in ipotesi di partito. Quale partito? Quale analisi della realtà e quale progetto? Non dimentichiamoci che se il PCI si è costituito nel 1921, ha dovuto poi passare per il Congresso di Lione e per la strategia togliattiana.

Su questo non si tratta però di mettere in piedi un collettivo di studio, ma un lavoro militante di analisi che si traduca, nei tempi e nei modi dovuti, in prospettiva politica e organizzativa. Evitando appropriazioni indebite e operazioni di bassa macelleria politica

Il primo passaggio esterno a questo lavoro bisogna individuarlo nel confronto (e nello scontro) dialettico con la cultura dominante della sinistra, sia quella liberal imperialista che quella trotsko-movimentista. Insomma bisogna uscire da un concetto di sinistra e dare un senso politico all’identità comunista. Ci sembra che da questo punto di vista non si sia andati avanti e bisognerebbe invece rispolverare il concetto di egemonia e non solo di separatezza ideologica.

La crisi del partito comunista italiano ha lasciato il campo, nei decenni scorsi, non solo a ipotesi di neoliberismo di sinistra, ma anche all’egemonia di un radicalismo pseudomarxista che non ha certamente giovato alla ripresa di una cultura e di un metodo comunista. Questo è un passaggio che diventa premessa per avviare un possibile lavoro sul terreno politico. E ciò non si fa ovviamente con l’uso di formulette, ma di una capacità di analizzare la realtà, sia quella di classe e politica che quella legata all’imperialismo, con gli strumenti che il marxismo rivoluzionario e l’esperienza del movimento comunista ci forniscono.

Per parlare del presente, in termini di aggancio alla realtà per far progredire le posizioni comuniste, si può portare l’esempio del PCI diretto da Togliatti dalla caduta del fascismo fino agli anni ’50. A nostro parere, e contro la vulgata antitogliattiana, dobbiamo dire che i risultati ottenuti dai comunisti italiani sono derivati dalla capacità di individuare i passaggi storici dentro cui far emergere le proposte politiche. Lo diciamo solo a mo’ di esempio, ma ricordiamo che non si trattava di una posizione ideologica, ma di una capacità di far scaturire dalla realtà il ruolo dei comunisti e di farne dunque una forza motrice delle trasformazioni epocali. Ed è per questo che lo schematismo dottrinario ne ha sempre deviato l’interpretazione.

Ci sembra per questo che, tra le altre cose, il ritardo comunista in Italia non derivi oggi solo dall’approccio sulle questioni di carattere generale che riguardano il movimento comunista e la sua crisi, ma anche dal rapporto con la situazione sociale e di classe in Italia e dall’assenza di leadership su movimenti che pure hanno importanza nello scontro politico. Si può concepire una ripresa comunista in assenza di queste condizioni?

Ci rendiamo conto che rispondere a questi interrogativi è complesso per la loro interdipendenza e che essi ripropongono il solito dilemma se è nato prima l’uovo o la gallina. A questo si può rispondere che ciò dipenderà dall’indirizzo che un lavoro di ricostruzione imboccherà. Tenendo conto però che un gruppo comunista con l’ambizione di svolgere un ruolo concreto deve saper rispondere a due esigenze improrogabili: l’assunzione di una piena responsabilità storica dei compiti da adempiere, quindi non far finta ma essere un partito di classe, e in secondo luogo la capacità di verifica costante del lavoro svolto e dell’asse strategico in cui esso è collegato. E su questo decide anche il modello organizzativo e operativo da adottare.

P.S.

I risultati elettorali in Europa e in Italia confermano che la fase storica pone problemi di tempi e modi di una ripresa comunista legati anche e soprattutto alla situazione internazionale. I comunisti italiani hanno avuto anche la conferma che il rifiuto da parte dei trotsko-movimentisti e buonisti di considerare importante il ruolo dei 5 Stelle e la scelta di coprire con l’antifascismo di maniera il PD hanno portato al risultato elettorale del 26 maggio. Questo risultato ci conferma anche che un’analisi e una posizione comunista espressa da noi e da altri compagni tra l’altro [qui] e [qui] coglieva nel segno, anche se la situazione si è complicata dopo i risultati del voto. Questo ci conferma però la necessità di reintrodurre il metodo comunista nelle scelte politiche e sarebbe finalmente ora dopo tanti discorsi rimasti appesi nel vuoto. Anche questo è un passaggio preliminare.