Analisi, idee e riflessioni per una informazione libera

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Scrivo questa introduzione all’intervista che ho fatto al professor Pietro Ratto pensando ai bambini, ai ragazzini. Gli eredi del mondo di domani intanto crescono immersi in un ambiente fasullo, cattivo, spregiudicato, il quale insegna e trasmette loro modelli educativi scellerati e folli. Gli esempi da emulare sono irraggiungibili, vuoti in animo, pieni di denaro, di beni materiali, famosi! E tantissimi giovani li invidiano, vogliono essere come loro. L’articolo che segue ha come oggetto una riflessione intorno alla costruzione di un giornalismo nuovo e libero, ma allora forse si chiederà qualcuno che cosa c’entrano i ragazzi in questo caso.

A tali persone rispondo che una nuova informazione libera che voglia contrastare questo modello culturale unico nefasto presente in Occidente e, per quel che ci riguarda, in particolare in Italia, deve avere un progetto che si faccia carico di intercettare i giovani catturando il loro interesse, entrando dentro il loro orizzonte erotico di identità e di senso fatto di aspirazioni, desideri, idee per il futuro, perché è cambiando le menti che si cambiano le linee della Storia. Occorrono un linguaggio e una teoria nuovi che si facciano carico di affrontare tali problematiche imprescindibili e importantissime non solo per il giornalismo, e che oggi sono completamente assenti o quasi dal panorama culturale. Sotto questo aspetto il professor Ratto ha dimostrato una sensibilità finissima e una saggezza che pochi hanno a mio avviso. Con grande piacere vi invito alla lettura di ciò che segue questo preambolo. Enrico Sanna. 

Intervista a Pietro Ratto: di Enrico Sanna

A mio avviso una qualsiasi riflessione che voglia mettere le basi teoriche per lo sviluppo di un pensiero nuovo che sia da supporto ad un giornalismo veramente nuovo, libero e alternativo, deve tenere conto della reale situazione in cui si trova tutto il sistema mediatico ufficiale sia italiano che occidentale, del livello intellettuale del pubblico, nonché dello scenario storico in cui ci troviamo. Lei condivide questa idea? Qual è in effetti la situazione culturale che abbiamo di fronte? È possibile in questo scenario che possa nascere una nuova comunicazione libera?

Sono d’accordo, sì. Ritengo inoltre che la situazione culturale del nostro Paese sia in effetti alquanto disastrosa, quanto meno in relazione alla capacità di affrontare in maniera critica – e al contempo razionale –  le sfide politiche e sociali proposteci dagli eventi in corso. È altresì evidente che questa drammatica situazione costituisca il risultato di un capillare e inesorabile processo di diseducazione e di impoverimento culturale connesso a quella degenerazione dell’istruzione pubblica messa in atto dai nostri governi, per lo meno nel corso degli ultimi vent’anni.

Quale dovrebbe essere, secondo il suo punto di vista, questo nuovo pensiero su cui deve poggiare la nuova informazione? L’occidente è erede di una grande tradizione filosofica e scientifica: ritiene che si possa attingere a questa grande esperienza per lo sviluppo di prospettive nuove? In altre parole, se il giornalismo ha come suo nucleo le parole unite in strutture argomentative, allora non si trova investito da eminenti problemi filosofici come il costruire un ragionamento che regge da sé, l’utilizzo del linguaggio per persuadere, il problema del raccontare i fatti, il vero?

Sicuramente una maggiore sensibilità alle problematiche (ma anche e soprattutto alle relative risposte) messe a disposizione dalla Filosofia dovrebbe essere richiesta a tutti. In primis a chi ha la responsabilità di fare informazione. Da questo punto di vista, ritengo assolutamente essenziale una conoscenza approfondita del dibattito filosofico in relazione ai principi etici, convinto per giunta che la morale kantiana sia la vera soluzione a fenomeni come quello della diffusione della corruzione e di quella disonestà intellettuale che, a mio parere, rappresenta ormai un’autentica emergenza. Soltanto una piena fedeltà ai principi morali, infatti, ci può consentire di prescindere dai nostri particolari interessi e di riuscire a immedesimarci nelle esigenze e nelle problematiche che, spesso, tormentano l’esistenza quotidiana di altre persone.

Io sono persuaso che il giornalismo nella sua tradizione sia sempre stato un mezzo di propaganda per Stati, partiti, gruppi economici e di potere, potentati vari. Non sarebbe necessario, per via della sua natura, che insegnasse all’individuo a chiedersi il perché delle cose, a dubitare su tutto e a non dare nulla per scontato?

Per far questo, però, l’informazione dovrebbe slegarsi da questa stessa sudditanza nei confronti degli interessi di chi gestisce un potere.

Personalmente, sono convinto che il futuro possa chiederci una maggiore autonomia anche in quel campo. Ho in mente un mondo in cui l’informazione smetta di costituire una professione più o meno elitaria e un’esclusiva di pochi, e si riappropri della sua originaria  natura. Che consiste in nulla più che una comunicazione, un resoconto di “fatti”, un messaggio tra un mittente e un destinatario entrambi liberi e incondizionati, finalmente slegati dall’autorità di un editore messo nelle condizioni di dettare incontrovertibilmente un orientamento politico da seguire.

Penso a un’informazione spontanea, un passaparola tra persone anche molto lontane tra loro ma collegate dalle moderne tecnologie e da una rete internet pubblica e democratica. Persone che si informino reciprocamente su ciò che accade davanti ai loro occhi.

Ho in mente un’informazione la cui attendibilità sia finalmente assicurata da un’istruzione scolastica più accurata e da un’educazione alla Libertà e ai Principi morali in nome di cui si ritorni a comportarsi tutti – informatori e informati – da uomini intellettualmente onesti, capaci di separar le proprie convinzioni e fedi personali dall’esigenza di un’informazione il più possibile trasparente e conforme al vero, avvertita dall’intera collettività.

Un sano giornalismo probabilmente non può prescindere da una Scuola vera che ponga al centro la realizzazione dell’uomo. Tuttavia siamo lungi da una situazione del genere. Da cosa allora deve partire la cosiddetta controinformazione al mainstream e quali sono i suoi punti deboli?

I punti deboli dell’attuale “contro informazione” sono gli stessi della cosiddetta “informazione ufficiale”. Così come, infatti, quest’ultima risulta ormai asservita alle logiche di potere di chi la finanzia, così l’informazione che si definisce alternativa si sottomette presto all’egocentrismo di chi la gestisce e, soprattutto, al capriccio di chi ne fruisce. Che, invece che reclamare finalmente un autentico pluralismo e una piena affidabilità del servizio, pretende di ascoltare soltanto una “narrazione” dei fatti diametralmente e rigidamente opposta a quella del cosiddetto “sistema”, rifiutando di prestar orecchio alle opinioni di chiunque ritenga (a torto o a ragione) collegato ad esso. Senza contare il fatto che qualsiasi sistema giornalistico, se mira a raggiungere un gran numero di persone, necessiti di finanziamenti. Un aspetto che non può che portare molto rapidamente un qualsiasi polo “alternativo” a trasformarsi in un nuovo “sistema” di controllo dell’informazione caratterizzato dalle stesse identiche finalità, faziosità e dinamiche di potere di quello a cui, originariamente, si era contrapposto.

L’unica informazione indipendente è quella che si mantiene distante da fondi economici che possano facilmente irregimentarla. Che fruisce di canali liberi e pubblici. Un problema, questo, davvero complicato da capire, in un’epoca in cui la gente ha completamente rimosso la differenza tra pubblico e privato. Pubblici, cioè: di tutti. Nel pieno rispetto della collettività così come delle aspirazioni individuali alla Libertà, alla Verità e alla Felicità.

Un’informazione di questo tipo, però, necessita di un cambiamento politico radicale. Di un sistema di democrazia diretta che garantisca a tutti i cittadini la piena e immediata partecipazione alla gestione della cosa pubblica, fondata su un nuovo sistema scolastico capace di tirar su uomini e donne responsabili, coerenti, moralmente virtuosi, curiosi e appassionati alla Verità e alla Vita.

Bisogna ricominciar tutto da capo, insomma. Altrimenti, nessun vero “cambiamento” sarà mai  minimamente possibile. Ma i primi a non crederci, a liquidar queste idee come mere utopie, sono proprio coloro che dovrebbero farsene entusiastici promotori e attivi protagonisti. Sono le vittime di questo sistema: quelle che avrebbero tutto l’interesse a sovvertirlo. La paura, così accuratamente e capillarmente diffusa nell’inconscio collettivo dai media e dai governi, le tiene invece tutte incatenate al silenzio, alle proprie misere comodità.

E alla convinzione che della loro vita, nelle sue innumerevoli sfaccettature, debba occuparsi qualcun altro.