«Una campagna del mondo del lavoro contro il massacro imposto dall’euro»

Professor Luciano Vasapollo, gli sconvolgimenti a cui stiamo assistendo in questo periodo sul piano finanziario sono più profondi di quanto sembrino?
Se dovessi dare un titolo a questa domanda direi «niente di nuovo sul fronte occidentale». Tutto quello che appare come qualcosa di nuovo, come il default degli Stati Uniti, in realtà va avanti da Bretton Woods del 1971. Con la fine degli accordi gli Usa decidono in base al loro potere politico e militare di imporre il proprio indebitamento come modello di sviluppo che ne scarica il costo sugli altri: debito privato, debito pubblico, e consumo sostenuto dal mix tra debito interno ed esterno, avendo molto deboli i cosiddetti fondamentali macroeconomici e un’economia reale che già da allora mostrava i caratteri della crisi strutturale e sistemica.

Cosa è cambiato nell’odierno scenario?
Dopo la caduta del muro di Berlino si apre una fase di guida unipolare del mondo basata sullo strapotere politico e militare Usa, che con l’imposizione dell’acquisto dei titoli di debito Usa imponevano il sostenimento della loro crescita retta sull’indebitamento e sull’economia di guerra. Poi si apre la fase che a suo tempo definimmo non di globalizzazione ma di competizione globale, basata non sul modello importatore degli americani ma con l’Europa che cerca i suoi spazi di affermazione economica puntando sul ruolo internazionale con una forte posizione di esportatore svolto dalla Germania. Lo stesso modello di economia basata sulla esportazione viene realizzato dalla Cina, che grazie al suo avanzo nella bilancia dei pagamenti decide di diventare il maggior compratore del debito statunitense.

Ad un certo punto, però, qualcuno presenta il conto…
Quando scoppia la crisi dei subprime negli Usa, la crisi volutamente viene evidenziata come crisi di carattere finanziario per lo scoppio delle bolle speculative immobiliari e finanziarie, ma è semplicemente la punta dell’iceberg che evidenzia una crisi dell’economia reale nei meccanismi stessi dell’accumulazione: sono cioè gli stessi meccanismi del modo di produzione capitalistico che si sono inceppati già dai primi anni ‘70 e che dimostrano che la crisi è irreversibile ed è di carattere sistemico. E’ evidente che hanno cercato di coprire la crisi dell’economia che si porta dietro il carattere della strutturalità e sistemicità.

Nel mentre la finanziarizzazione ha allargato il giro segnando l’arrivo dei paesi in via di sviluppo.
C’è da dire che il modello esportatore tedesco ha ormai sempre più bisogno di importatori anche direttamente europei ed è così che la Germania deve investire l’avanzo che matura comprando titoli dei Piigs (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia, Spagna) che sono costretti sempre più ad indebitarsi per rispondere alle regole dell’euro, soffocando le proprie economie e massacrando il mondo del lavoro per garantire che la “questione” dell’euro rimanga funzionale allo sviluppo esportatore della Germania e, in seconda battuta, agli interessi francesi. Gli stessi Stati Uniti hanno un indebitamento in parte sostenuto dalla Germania oltre che dalla Cina. La competizione però oggi è sempre più alta e i Brics vogliono il loro spazio. Gli Usa così non hanno più la forza politica e militare per imporre il loro modello di sviluppo al mondo basato sul loro indebitamento. Oggi il presidente degli Usa è costretto a chiedere l’innalzamento del debito proprio per questo, perché sa che fuori dai suoi confini non troverebbe tanti soggetti disposti a finanziare il suo paese in base al precedente modello economico. E’ la prova che è finito il mondo a guida unipolare basato sull’egemonia statunitense.

Che poi in fondo è anche il problema dell’Italia che ora sembra essere entrata in una spirale tra recessione e interessi sul debito…
L’Italia si comporta come gli Usa perché spostano il problema del debito più avanti, cioè per tentare di far fronte al deficit, che è un dato congiunturale di flusso. Lo trasformano in esposizione strutturale di stock trasformandolo in debito che massacrerà le generazioni future di lavoratori. E’ lo stesso identico meccanismo. Dalle finanziarie lacrime e sangue di oggi si passa ad uno stato di lacrime e sangue permanente. La parte di deficit che si capitalizza, quindi, è una mannaia per le generazioni del futuro.

Insomma, è scattata la trappola della speculazione finanziaria…
E’ chiaro che così si pone il problema non della crisi finanziaria ma di una crisi del modello di accumulazione, in crisi è l’intero sistema capitalista. La finanza speculativa che doveva essere quella in crisi si sta riaffacciando in modo prepotente inventando altre armi e nuovi terreni di combattimento. La speculazione finanziaria, come un avvoltoio, è lì e aggredisce chi non accetta le regole di dominio. E scatena attacchi sempre più pesanti contro il salario diretto, indiretto e differito. Per uscire dal debito greco si stanno approntando nuovi strumenti di finanza creativa che dilazionano l’indebitamento e creano le premesse di nuovi collassi.

Le proposte per tentare di mettere un argine a questa situazione?
La cosa assurda è che chi dovrebbe confezionare proposte in grado di tirarci fuori da questa situazione sta in realtà pensando agli interessi di una parte del paese, i ricchi e i soliti noti, come dimostra l’ultima legge finanziaria di Tremonti. Una prima risposta può essere lanciare una campagna del mondo del lavoro non contro l’Europa, ma contro le regole del massacro sociale imposte dalle compatibilità economico-finanziarie dell’euro. La seconda questione che va posta all’ordine del giorno è rilanciare una serie di politiche di una efficiente nazionalizzazione e statalizzazione delle banche e dei settori strategici dell’economia. Il debito sovrano sta diventando un nodo nei paesi deboli perché con i soldi pubblici si sono finanziate le banche. Quindi la prima nazionalizzazione deve essere del sistema bancario. E poi porre immediatamente il nodo di energia, trasporti e comunicazioni come settori strategici in mano allo Stato. Sembrerebbe un ritorno agli anni 50-60, quando si creò in Italia una forte economia mista, con un welfare vero e un futuro per i giovani.

Ultimamente hai partecipato ad alcuni incontri internazionali a Cuba, Bolivia, Spagna, Irlanda. Quali sono i temi del confronto?
Gli economisti critici eterodossi nelle loro varie componenti stanno cercando di trovare un accordo su un programma minimo di controtendenza da proporre e insieme praticare con il ruolo centrale del sindacalismo conflittuale di classe. Esistono varie alternative possibili alla attuale competizione globale e poi fino alla maggiore determinazione del superamento del modo di produzione capitalista, ognuna con distinti gradi di probabilità in funzione di ragioni tecnico-economiche o politico-sociali. In ogni caso, qualsiasi proposta attuabile dovrà fare i conti, in primo luogo, con la tecnologia. Il cambio tecnologico può rappresentare un progresso tecnico e sociale se è frutto di una decisione collettiva dei lavoratori, maggioritaria, responsabile, aperta al dialogo, negoziata e contrattata.

E le proposte concrete e immediate ?
Penso che il discorso sulle nazionalizzazioni, edilizia pubblica, lavoro e salario pieno e a totalità di diritti veri, di uscita dall’euro e, importante, l’azzeramento del debito siano i primi punti qualificanti. Siccome l’economia finanziaria non crea risorse perché sul medio periodo è un gioco a somma zero, perché quindi ci devono entrare gli Stati, quindi i lavoratori su cui si scarica tutta la durezza e drammaticità della crisi? In Grecia non bisogna dilazionare ma dare un taglio netto. E’ quello che poi è stato fatto in Sud America, ad esempio quando in Argentina hanno girato le spalle al Fondo monetario internazionale. Se tu entri nella logica della diminuzione del tasso di interesse e allungamento del debito il ricatto diventa continuo.