Zelensky in Italia ed il governo fuori dal mondo. Editoriale

di: Francesco Maringiò

È sempre difficile fare delle previsioni, soprattutto di fronte a scenari in rapida trasformazione ed evoluzione, ma la frenetica attività diplomatica delle ultime ore pare imprimere un’accelerazione al contesto globale, soprattutto con riferimento alla guerra ucraina. C’è stato un importante incontro tra Cina e Stati Uniti e, contemporaneamente, la diplomazia cinese è attiva in Europa: prima il ministro degli esteri ha visitato Germania, Francia e Norvegia e da lunedì il rappresentante speciale della Cina per gli affari eurasiatici sarà a Kiev, prima tappa di una missione europea che, dopo aver toccato Polonia, Francia e Germania, si concluderà a Mosca.

In questo contesto è avvenuta anche la visita di Zelensky in Italia ed in Vaticano ma, mentre l’azione della curia romana pare essere in piena sintonia col tentativo di costruzione di una soluzione politica e diplomatica della crisi (anzi: è uno degli attori attivamente impegnati in questa direzione), l’attività del governo Meloni va in tutt’altra direzione.

Facciamo un passo in dietro. Il conflitto ucraino ha pesantemente segnato il contesto europeo. C’è stato un compattamento quasi unanime dei paesi del vecchio continente alla direzione di marcia impressa dagli Stati Uniti, nonostante gli evidenti interessi confliggenti. Se infatti gli Usa ci guadagnano dal protrarsi del conflitto ucraino, per l’Europa è un bagno di sangue. Anche la rivista inglese The Spectator ha dovuto ammettere che la strategia atlantica delle sanzioni è un vero fallimento, concludendo che «l’Occidente ha intrapreso la guerra delle sanzioni con un senso esagerato della propria influenza nel mondo. (…) L’economia russa non è stata distrutta; è stata semplicemente riconfigurata, riorientata per guardare verso est e verso sud piuttosto che verso ovest».

Come abbiamo più volte scritto, è l’Europa la vera sconfitta di questo conflitto e quella che pagherà il prezzo più alto in termini strategici, politici e, soprattutto economici. E non per caso è nel continente europeo che si regista la spaccatura più profonda sul posizionamento da avere in merito alla vicenda ucraina, una disarticolazione che non riguarda semplicemente i singoli stati, ma che investe la loro dialettica interna. Da questo punto di vista il caso più emblematico è rappresentato dalla Germania, dove il cancelliere e la ministra degli esteri giocano palesemente una partita diversa, se non opposta. Aperto al dialogo, pur nelle stringenti maglie della fedeltà atlantica e del sostegno alla guerra il primo, falco dell’integralismo atlantico e della subalternità dell’Ue agli Usa la seconda. Evidentemente il sabotaggio del gasdotto Nord Stream non ha insegnato molto ai tedeschi. O, al contrario, ha insegnato fin troppo.

Alzando lo sguardo al mondo intero, ci rendiamo conto che i discorsi diffusi ossessivamente da un anno e mezzo sui media italiani ed occidentali, con la loro narrazione unilaterale e belligerante del conflitto ucraino, non hanno affatto presa sulla maggioranza dei paesi e di popoli che vivono fuori dal sempre più ristretto recinto dell’Occidente. Per questa ragione la posizione della Cina alle crisi in tutto il mondo, inclusa quella Ucraina, prende sempre più peso e, col passare del tempo, essa si articola in iniziative concrete che si configurano come una alternativa concreta alla gestione imperialistica delle questioni internazionali. Già nei mesi scorsi, con il successo nella mediazione tra Arabia Saudita ed Iran, è apparso evidente agli occhi del mondo il diverso peso che la Repubblica Popolare si è conquistata nell’agone internazionale. Immaginiamo, solo per un momento, cosa potrebbe accadere se riuscisse, contrariamente ai desiderata di guerra dell’occidente, nell’impresa di giungere al cessate il fuoco o all’avvio di negoziati di pace in Ucraina.

La visita di Zelensky a Roma avviene dunque in un momento nel quale le cose paiono, se non cambiare di verso e narrativa, almeno subire una netta accelerazione. Era l’occasione perfetta per l’Italia per riposizionarsi nel dibattito europeo ed atlantico ma, invece, ha preferito colpevolmente proseguire nella retorica bellicista ed ingrassare le fila dei falchi.

Nella diplomazia i dettagli contano. La visita era classificata come “ufficiale” e non “di stato” ed infatti il cerimoniale sia del Quirinale che dello stato pontificio hanno rilasciato poche immagini, nessuna dichiarazione pubblica, né comunicati congiunti. Il governo, invece, ha voluto giocare fino in fondo la carta della foto-opportunity: il ministro degli Esteri era prima all’Aeroporto e poi, assieme a quello della Difesa a palazzo Chigi (il corrispettivo del Vaticano, per dirne una, non era neanche a Roma), mentre la Presidente del Consiglio dei ministri ha organizzato anche una conferenza stampa, con tanto di domande filtrate da parte della stampa, per esibire a favore di telecamere la recita sul ruolo dell’Italia. Mentre il Vaticano, in sintonia col mondo che cambia e con i BRICS (1), fa politica e diplomazia, il governo Meloni gioca alla “politica-influencer” e dichiara solennemente in conferenza stampa: “scommettiamo sulla vittoria Ucraina”. Non solo, il governo si fa alfiere della richiesta di ingresso dell’Ucraina nell’Ue e continua con la narrazione che la colloca in piena sintonia con quanti in Europa si battono contro “l’autonomia strategica” richiesta dalla Francia o il negoziato. Mentre la Roma del lungotevere vaticano appare più in sintonia con la proposta di pace cinese ed il dialogo tra Kyev e Mosca, la Roma di Palazzo Chigi pare più in sintonia con Varsavia (che ritiene «ci sia bisogno di più America in Europa») o Praga (che invoca una strategia atlantica per bilanciare «la forza economica, politica e finanziaria della Cina»).

Come se non bastasse, da diverse settimane impazza sui media italiani e stranieri la minaccia italiana di fuoriuscita dal Memorandum sulla Via della Seta, firmato con la Cina nel 2019. Un evento che, se si dovesse davvero verificare, non potrebbe non essere visto da Pechino che come un vero e proprio affronto che rischierebbe di farle perdere la faccia e, quindi, la obbligherebbe a prendere drastici provvedimenti. E questo avviene proprio mentre si registra un importante riequilibrio della bilancia commerciale tra i due paesi, con l’export del made in Italy che decolla grazie all’import cinese. Se l’insipienza del governo riuscisse contemporaneamente ad estraniarci dai possibili colloqui di pace ed a rompere i rapporti con la Cina, condannerebbe il paese ad un lungo inverno di irrilevanza e povertà.

Per scongiurare tutto questo, non c’è altra strada che l’apertura di una nuova stagione di lotta: l’esempio francese è lì a dimostrarci che è possibile e la vittoria del referendum contro l’invio delle armi aiuterebbe ad invertire i rapporti di forza. Cambiare il corso delle cose non è impossibile, basta volerlo!

NOTE:

(1) La prestigiosa rivista Crux, spiega come « la posizione di Francesco anticipa il futuro della Chiesa come forza geopolitica, che sarà molto meno acquiescente nei confronti dell’Occidente». Cfr.: https://bit.ly/3VY0rfW

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Per approfondire la guerra ucraina, leggi la Rivista MarxVentuno: La guerra ucraina. Cause impatto conseguenze

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