Una settimana sull’ottovolante. Editoriale

di Francesco Maringiò

È stata una settimana che ha plasticamente messo in evidenza le tendenze che attraversano il mondo: dai golpe in America latina ad accordi tra Cina e mondo arabo. E l’Europa? Schiacciata dalle sue politiche di guerra, rischia di affrontare un inverno senza elettricità.

In Francia è già tutto pronto. App sul telefono, piani delle prefetture, avvisi e notizie che si inseguono: stanno preparando la popolazione alla possibilità di far fronte ad un inverno senza corrente per diverse ore al giorno. L’avviso potrebbe arrivare fino a tre giorni prima e stanno già preparando psicologicamente la popolazione ad affrontare questa evenienza. L’ultima volta che era successo era il 1978. E l’Italia? A differenza dei francesi non siamo dei produttori netti di elettricità, anzi: importiamo dal 10 al 25% di corrente proprio dai cugini d’oltralpe. Eppure qui da noi di questa eventualità non se ne parla assolutamente.

È fin troppo evidente il collegamento tra questo scenario e le politiche europee sull’energia a seguito del decoupling forzato dalla Federazione Russa. Uno scenario indubbiamente da incubo perché non si tratta di dover rinunciare solamente a qualche ora di corrente, ma esporre i più fragili alle conseguenze più dure: che ne sarà di chi ha bisogno di cure domiciliari, di dover conservare dei farmaci in frigo oppure vive solo e può aver bisogno di chiamare aiuto? È la nuova normalità della guerra. L’accettazione di ciò che solo poco tempo fa sarebbe stato inaccettabile in nome di una sorta di stato d’emergenza. Del resto, nessun media pubblico o privato, nazionale o locale ha avuto nulla da obbiettare al fatto che non solo ai singoli cittadini, ma persino ai parlamentari, sia stato impedito di conoscere i dettagli dell’invio delle armi italiane all’Ucraina e sia ignoto il ruolo effettivo svolto dal nostro paese in quel contesto che pure –come stiamo vedendo – ha un impatto devastante sulle nostre vite.

Tutto questo avviene in un mondo profondamente segnato da rapidi cambiamenti, dove spinte regressive si accompagnano a situazioni del tutto nuove, che aprono la possibilità di cambiamenti radicali dei rapporti di forza nel mondo.

Partiamo dalle spinte regressive: oltre al quadro europeo, questa settimana è venuta alla luce quella che Evo Morales ha definito «la guerra ibrida della destra internazionale [che] ha perpetrato due colpi di stato contro governi del popolo nelle ultime 48 ore». Il riferimento è al golpe che ha fatto cadere Pedro Castillo in Perù e la campagna giudiziaria contro Cristina Kirchner in Argentina, che ricorda molto il processo farsa che ha impedito la candidatura prima e poi ha permesso l’incarcerazione di Lula da Silva in Brasile. Evo la chiama guerra ibrida, perché è una guerra che impiega «mezzi di comunicazione e operazioni politiche e della giustizia per perseguitare, accusare e defenestrare i leader che difendono il popolo e si oppongono alle politiche neoliberiste».

Sarà un caso, ma le spinte regressive e le pressioni contro politiche e governi che difendono gli interessi popolari, avvengono nel cono d’ombra delle aree del mondo sotto egemonia statunitense. Ma volgiamo lo sguardo fuori da questo cono d’ombra. L’evento centrale della settimana è stato senza ombra di dubbio la visita di stato di Xi Jinping nel mondo arabo, che cambia completamente la percezione della Cina nel mondo. Non solo per gli accordi siglati (34 contratti dal controvalore di 30 mld $) con l’Arabia Saudita ed i vertici politici con alcuni dei principali paesi dell’area, ma perché si rafforza il processo di internazionalizzazione della valuta cinese. Il presidente cinese Xi Jinping ha affermato venerdì a Riad che la Cina e le nazioni del Golfo dovrebbero utilizzare al meglio la Borsa del Petrolio e del Gas di Shanghai come piattaforma per effettuare il pagamento in Yuan degli scambi di petrolio e gas. È un cambio di paradigma totale: transazioni che finora sono avvenute esclusivamente in Dollari, avverranno ora in Renminbi, la divisa di Pechino. È un fatto enorme in sé, ma se pensiamo che il corollario di questo è anche il rafforzamento di infrastrutture finanziarie alternative a quelle centrate sulla primazia degli Usa, abbiamo immediatamente chiara la portata di un mondo in rapido cambiamento. Gestire transazioni finanziarie fuori dal sistema Swift, per esempio, depotenzia sempre più la minaccia all’uso di sanzioni ed embarghi nei confronti di un paese, rende il commercio internazionale indipendente dall’egemonia di una sola moneta, apre quindi le porte ad una fase nuova della storia delle relazioni internazionali. Come scrive Pepe Escobar «lentamente ma inesorabilmente sta emergendo la visione di un mondo irrimediabilmente fratturato, caratterizzato da un doppio sistema di commercio e circolazione: uno ruoterà attorno ai resti del sistema del dollaro, l’altro si sta costruendo attorno all’associazione dei BRICS, dell’EAEU e della SCO».

È in questo processo dialettico che si delineeranno i confini del nuovo mondo. Lo scriviamo da tanti anni, ma mai come in questa fase la descrizione plastica ed astratta delle analisi, assume la forma delle notizie che leggiamo tutti i giorni sui giornali. Bisogna prenderne consapevolezza, perché il ruolo dell’Europa e del nostro Paese nel favorire una democratizzazione dei processi politici mondiali o una loro involuzione è determinante. Ed è direttamente proporzionale ad immaginare un futuro fuori da un orizzonte di guerra e crisi, o accelerare il nostro declino.

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