Un anno vissuto pericolosamente. Editoriale

di Marco Pondrelli

L’anno che si è appena concluso è stato segnato da eventi molti importanti. L’avvio dell’operazione militare speciale ha dato un forte scossone alla politica internazionale. La questione ucraina, come su questo sito molte volte abbiamo sottolineato, è stata aperta dal colpo di Stato del 2014, da allora gli Stati Uniti e la Nato hanno iniziato la guerra contro la Russia, purtroppo la politica e l’informazione italiana hanno preferito ripetere a pappagallo le verità atlantiche anziché analizzare seriamente il problema.

In questi mesi ci è stato raccontato che in Ucraina è in atto un’aggressione del Male contro il Bene, una pericolosa autocrazia, guidata ovviamente dal nuovo Hitler, sta attaccando una democrazia, per questo non possiamo stare a guardare ma dobbiamo sostenere l’Ucraina attraverso l’invio di armi e nuove sanzioni contro Mosca. Queste scelte hanno precipitato l’Europa in una nuova crisi, ingenti capitali, come scritto da Domenico Moro, hanno trovato rifugio oltre Atlantico, l’inflazione è esplosa e la recessione è alle porte. Chiariamo subito che se veramente fosse in atto un’aggressione nazista questo sarebbe un giusto prezzo da pagare, il problema è che non c’è alcun Hitler e il problema ucraino poteva essere risolto per via diplomatica.

Recentemente l’ex Cancelliere tedesco Angela Merkel ha ammesso che gli accordi di Minsk sono stato un mezzo per garantire all’Ucraina il tempo per riorganizzarsi e avviare un’offensiva verso le Repubbliche popolari. Gli accordi di Minsk prefigurando una riforma costituzionale ucraina in senso federale rassicuravano Mosca sia in merito alla sicurezza delle popolazioni russofone, sia in merito all’adesione di Kiev alla Nato. Il non rispetto di quegli accordi ha rappresentato la vittoria della parte più oltranzista rappresentata dai nazisti ucraini e dagli Stati Uniti.

Per trovare oggi una via per la pace occorrerebbe ripartire da qui, siamo ben consci che questi accordi sono finiti ma le domande a cui davano risposta (sicurezza dei russofoni e adesione alla Nato) rimangono sul tavolo, se si vuole la pace occorre parlare con la Russia e trovare un accordo su questi punti. Purtroppo gli USA non sono interessati al dialogo, essi vedono in questa guerra lo strumento per colpire Mosca e l’Europa in particolare la Germania, il cui indebolimento dovrebbe essere compensato dal rafforzamento polacco. Dentro questo quadro la guerra è destinata a durare ancora.

Il secondo punto su cui vogliamo concentrarci sono le elezioni in Italia. La vittoria del centro-destra è stata netta con una chiara affermazione di Fratelli d’Italia, questo partito è stato all’opposizione del governo Draghi e, seppur svolgendo il ruolo dell’opposizione di Sua Maestà, è stato premiato. Il primo punto che emerge è che il governo Draghi tanto era popolare su giornali e tv, tanto era forte in Parlamento quanto debole nel Paese, l’Italia ancora spossata dal Covid e mai ripresasi dalla crisi del 2008 ha ricevuto un altro duro colpo con la crisi ucraina. Il governo Draghi ha ignorato il malessere sociale e i partiti che più di tutti si sono spesi per sostenerlo (a partire dal Pd) sono stati duramente puniti dagli elettori.

Il dopo voto vede, assieme alla luna di miele del governo, una grossa crisi del Pd svuotato da una parte da Calenda e dall’altra da Conte. La nota dolente è che non si vede all’orizzonte una presenza comunista credibile. L’operazione Conte si colloca dentro il quadro delle compatibilità sia atlantiche che europeiste, per quanto con esso potrebbero esserci convergenze tattiche non è da qui che i comunisti debbono partire per riorganizzarsi. Questo vuoto è lo stesso che si percepisce rispetto alla battaglia contro la guerra che l’Italia sta, indirettamente, combattendo in Ucraina. Dalla manifestazione di Roma è venuto un segnale per la pace ma essa era stata convocata su una piattaforma criticabile, sia per la presenza di esplicite critiche alla Russia, sia per l’assenza della denuncia del ruolo di provocazione della Nato. Allo stesso tempo dopo l’audio nel quale Berlusconi parlava della crisi ucraina criticando il governo di Kiev e difendendo Putin, tutta la politica italiana (compresi i 5 stelle) si sono scatenati in dichiarazione che avevano un denominatore comune: la fede atlantica.

La mancanza di un movimento per la pace che abbia al suo interno una matrice se non antimperialista almeno non pregiudizialmente anti russa e la mancanza di una forte presenza politica dei comunisti in Italia, hanno la stessa causa. Non ci siamo ancora ripresi dalla sconfitta del 2008 che ha cause remote, che non abbiamo mai seriamente indagato. Dall’altra parte il compito dei comunisti oggi non è solo teorico, non possiamo limitarci a dire che la ragione è dalla nostra parte e prima o poi le masse lo capiranno. Occorre una strategia e occorre una tattica, al momento non abbiamo né l’una né l’altra.

Un primo passo sarebbe quello di unire le tante associazioni, i tanti gruppi organizzati o meno che operano oggi in Italia e che sulle questioni fondamentali dicono cose molto simili, dare a queste forze una proiezioni nazionale non per fare un nuovo Partito ma per unire i tanti comunisti divisi. Dall’altra parte è importante capire le trasformazioni della classe operaia italiana e decidere quali sono le parti più avanzate con cui costruire il nucleo di un nuovo protagonismo comunista. Infine dobbiamo domandarci se ci sono forze con cui pensare ad alleanze per perseguire obiettivi tattici. Sono temi che meritano un confronto che ci auguriamo possa partire già all’inizio di quest’anno, ben sapendo che il cammino che ci attende è lungo e che non potrà avere risposte immediate tantomeno elettoralistiche.

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