di Marco Pondrelli
Che la nostra epoca sia segnata dalla guerra è un dato di fatto. Dopo l’89 anziché la fine della storia abbiamo conosciuto il moltiplicarsi delle guerre, i giovani che oggi fanno politica non hanno visto altro che un mondo fatto di conflitti e invasioni. Il termine guerra è diventato ricorrente nel dibattito politico, probabilmente bisogna tornare agli anni ’30 e ’40 del secolo scorso per trovare un simile utilizzo di questa parola nei discorsi ufficiali.
La responsabilità di questi conflitti non sta in capo alla Russia o a Putin, chi dagli anni ’90 e ricorso alla guerra come prolungamento della propria politica di potenza sono gli Stati Uniti d’America. Certamente gli interventi militari non sono nati con la fine dell’Unione Sovietica, basti pensare alla guerra in Corea, a quella in Vietnam ed ai tanti interventi più o meno ufficiali avvenuti in America Latina o in Africa, la differenza è che mentre durante la guerra fredda c’era un equilibrio e una parvenza di diritto internazionale dall’89 siamo entrati in un mondo unipolare. In questo periodo sono stati colpiti gli Stati che non erano pronti a sottomettersi al voleri di Washington, ricorrendo alle motivazioni più varie: dai diritti umani, alla lotta al terrorismo per finire al pericolo delle armi di distruzione di massa.
La stesse cause del conflitto ucraino non sono certo da ricercarsi in quello che è accaduto il 24 febbraio o nella politica di potenza di Putin. In questo la capacità di mistificazione dell’impero è enorme, ignorando alcuni passaggi fondamentali (espansione della Nato ad est, colpo di Stato del 2014) e focalizzando l’attenzione solo sulle risposte della Russia. Lo stesso discorso vale per la Repubblica Democratica di Corea, ci si indigna per i test missilistici di questo Paese ma si tace sulle esercitazioni congiunte della Corea del Sud con gli Stati Uniti che simulano l’invasione del Nord.
Un altro esempio di mistificazione e di falsificazione la si ritrova rispetto al XX Congresso del Partito Comunista Cinese. Dopo la relazione del Segretario Xi Jinping i mass media occidentali hanno subito all’unisono sostenuto la tesi che, oltre ad essersi proclamato nuovo Mao e Imperatore a vita (così come Putin è il nuovo Stalin e il nuovo Zar) il Presidente cinese avrebbe minacciato o meglio promesso di ricorrere all’uso della forza per annettersi Taiwan. Come sempre in questi casi alla malafede si somma un’ignoranza cronica sull’argomento che si affronta.
A molti opinionisti sfugge che anche gli Stati Uniti hanno accettato il principio di una sola Cina rappresentata dalla Repubblica Popolare Cinese, che infatti dal 1979 siede alle Nazioni Unite con diritto di veto. Pur mantenendo una certa ambiguità nei rapporti con Taiwan (Carter parlò di rapporti culturali mentre oggi vengono vendute le armi, che evidentemente sono parte della cultura statunitense) gli Stati Uniti non riconoscono l’isola di Formosa come uno Stato autonomo.
Nella relazione al XX Congresso Xi Jinping ha affermato ‘la risoluzione della questione di Taiwan è una questione che riguarda il popolo cinese stesso, che deve essere decisa dal popolo cinese‘, questa frase contiene due punti fondamentali. Innanzitutto la questione di Taiwan è un problema interno cinese, non è una controversia internazionale sulla quale gli Stati Uniti o l’Europa possono entrare. Questo vale per Taiwan così come vale per Hong Kong, il Tibet o lo Xinjiang. La seconda considerazione e che l’unificazione di Taiwan alla madrepatria deve ‘essere decisa dal popolo‘, ciò significa che Pechino non pensa ad invasioni ma ad un percorso di condivisione che deve riguardare entrambe le sponde dello Stretto.
La Cina è il più grande mercato di esportazione per Taiwan, i rapporti economici e commerciali sono sempre più stretti. Pechino è diventata fondamentale per l’economia di Taipei. Dall’altra parte in tutti i documenti ufficiali sia del Partito che dello Stato cinese un passaggio fondamentale è sempre dedicato alla stabilità internazionale, la Cina sa che per raggiungere gli ambiziosi obiettivi che si è data serve un contesto di pace, non vi è quindi nessuna volontà di invadere l’isola.
Nella stessa relazione Xi Jinping ha detto: ‘non rinunceremo all’uso della forza e prenderemo tutte le misure necessarie per fermare tutti i movimenti separatisti‘, questa affermazione non è in contraddizione con i ragionamenti appena svolti. La Cina oggi è disposta a tollerare una divisione di fatto con Taiwan nella certezza che essa verrà, consensualmente, superata in futuro, quello che non è disponibile ad accettare è una dichiarazione unilaterale di indipendenza. Se gli Stati Uniti fomentassero il separatismo, così come hanno fomentato la russofobia in Ucraina, ci troveremo presto di fronte ad un’altra crisi internazionale. Questa crisi sarebbe potenzialmente più grave di quella a cui stiamo assistendo in Ucraina, questo perché gli USA hanno ben chiaro che il fronte principale del conflitto per l’egemonia mondiale del XXI secolo passa dall’Indo-Pacifico.
Solo il passaggio ad un sistema multipolare può garantire la sicurezza globale, i politici che tifano per la guerra lo fanno spesso senza capire la gravità delle parole che pronunciano, quando l’oramai dimissionaria (e certamente non rimpianta) Prima Ministra inglese affermò di essere pronta al conflitto nucleare dimostrò non solo la propria pochezza ma anche la pericolosità di una classe dirigenti la cui incompetenza e pari solo alla sua arroganza e al disprezzo del popolo.
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